“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

martedì 14 gennaio 2014

7 giorni a Gaza, reportage

di Marcella Masperi

Il 26 Dicembre la delegazione del comitato “Per non dimenticare”, di cui ho fatto parte, è partita alla volta del Cairo, prima tappa del nostro viaggio verso Gaza, con l’ obbiettivo di rompere simbolicamente l’assedio di Gaza e di ribadire il Diritto al Ritorno di tutti i profughi palestinesi dei Campi del Libano, della Giordania, della stessa Palestina occupata, ma anche di tutti quelli dispersi nella diaspora a seguito della pulizia etnica perpetrata dalla criminale entità coloniale sionista, sedicente Stato Ebraico, nel ’48 prima, poi nel ’67 e, purtroppo ancora oggi.


La tabella di marcia prevedeva di rimanere nella capitale egiziana fino al 28 per poter prendere parte con i compagni Gazawi alla fiaccolata organizzata a Gaza City in occasione dell’anniversario dell’infame attacco denominato Piombo Fuso, ennesimo massacro di civili inermi rimasto impunito. Purtroppo però l’Ambasciata Italiana, di cui non sarebbe corretto non sottolineare la sollecitudine e la puntualità con cui ci ha appoggiati e seguiti, ci ha comunicato il giorno seguente il nostro arrivo, che l’Autorità Egiziana, nell’istituto del Ministero degli Esteri, non dava l’autorizzazione necessaria all’attraversamento del Sinai e all’apertura del valico di Rafah per ragioni di sicurezza, adducendo come motivazione lo svolgersi di importanti operazioni militari. Senza scoraggiarci siamo andati tutti insieme sotto l’ Ambasciata per un’intera giornata con lo scopo di far capire che non ci saremmo arresi e di fatto ha funzionato: i funzionari dell’Ambasciata hanno speso l’intera giornata lavorativa a telefonare al Ministero degli Esteri egiziano e la notte del 31 Dicembre è arrivata l’ autorizzazione.

Abbiamo impiegato un giorno e mezzo per percorrere circa 350 km attraverso il deserto del Sinai, completamente militarizzato, con soldati in assetto di guerra, strade transennate e soldati sui palazzi che costeggiavano la strada. Ogni posto di blocco incontrato per noi comportava un’attesa di circa un paio di ore aspettando che arrivasse la scorta che ci avrebbe condotti al successivo check point.

Il 2 Gennaio, verso le 15 siamo arrivati al valico di Rafah, appositamente aperto solo per la nostra delegazione. L’accoglienza è stata da “vip” con tanto di giornalisti e tv locali; ad attenderci ovviamente i nostri referenti Gazawi, l’ associazione non governativa PNGO (Palestinian Non- Governative Organization Network) e altre Ong che si occupano di diritti umani.

Il 3 gennaio siamo andati, come programmato, all’ospedale Al Awda (Il Ritorno) a cui abbiamo potuto consegnare un importante contributo economico frutto dell’impegno di tanti attivisti italiani. Nel primo pomeriggio abbiamo saputo dalla nostra Ambasciata che il giorno seguente non era garantita l’apertura del valico a causa di un attentato ad El Arish, città sulla strada per Rafah che noi avremmo dovuto attraversare. Il giorno seguente, il 4, però abbiamo collettivamente deciso di recarci ugualmente al valico, ma dopo una lunga attesa siamo dovuti rientrare a Gaza City: gli Egiziani non ci hanno aperto la parte di loro competenza.

Nei giorni successivi abbiamo così potuto incontrare i rappresentanti di tutti i partiti politici palestinesi (per citarne alcuni, Fronte Popolare, Fronte Democratico, il Partito della Jiihad, l’Unione Democratica Palestinese ecc) in un meeting collettivo. La richiesta di tutti ad Hamas e Fatah: un governo di unità nazionale! Tutti quanti hanno sottoscritto un documento dove si chiede appunto la formazione di un governo di unità, documento che né Hamas né Fatah hanno firmato. A noi hanno chiesto di essere gli ambasciatori di tutto il Popolo Palestinese di fronte ai nostri governi e di fronte alla Comunità Internazionale premendo per il rispetto del Diritto Internazionale e del Diritto al Ritorno dei Profughi. 

Fatah si è presentato all’incontro da sola, dopo che gli altri se ne sono andati ed ha inviato una rappresentante donna che ci ha consegnato una targa in memoria di Vittorio Arrigoni che verrà consegnata ai familiari l’8 Febbraio a Modena in occasione della consegna del Premio Stefano Chiarini. Hamas non ci ha ricevuti.

Altro incontro fondamentale per capire un po’ di più la realtà di Gaza è stato quello con i rappresentanti dei Comitati Popolari. La popolazione di Gaza infatti è composta per il 75% da profughi che sono suddivisi i 8 Campi. Per la gestione di tutti gli aspetti della vita dei Campi l’attività dei comitati popolari è vitale. Fanno parte dei Comitati indifferentemente membri di ogni partito, ma quando Hamas è andato al governo i suoi membri ne sono usciti.

Tra le organizzazioni incontrate, una delle più significative per capire quanto la società civile palestinese di Gaza sia, nonostante l’ illegale e vigliacca occupazione, organizzata e progressista, è senz’altro l’Unione dei Disabili Palestinesi, che per principi fondativi e concezione dell’integrazione delle persone colpite da disabilità nella società e nel sistema di produzione avrebbe molto da insegnare ai nostri “civilissimi” paesi europei.

Oltre agli incontri squisitamente politici, abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare le testimonianza di cittadini Gazawi , potendoli incontrare durante le visite ai Campi e non solo che ci hanno raccontato la storia delle loro famiglie e hanno dato testimonianza di quanto accaduto durante Piombo Fuso e di quanto accade quotidianamente. Abbiamo incontrato anche un ex prigioniero che ha scontato 15 anni di carcere per aver militato nella Resistenza Armata, Jaber Wishah, oggi operatore per il rispetto dei diritti umani nelle carceri israeliane.

Per quanto riguarda l’occupazione, abbiamo potuto “vederla e sentirla”: abbiamo visitato Beit Hanoun, villaggio a Nord, vicino al confine con gli altri territori palestinesi occupati, collegato ad essi dal valico di Heeretz, nei cui campi i contadini rischiano la vita sotto i colpi dei cecchini sionisti ogni volta che vi si recano per seminare e poi per raccogliere i frutti del loro lavoro nelle loro terre; ci siamo svegliati il 3 Gennaio sentendo i colpi dei razzi sparati su quegli stessi campi dagli aerei dell’esercito occupante sionista, colpi sparati pressoché quotidianamente, così, per ricordare ai Palestinesi che loro ci sono e non gli daranno mai tregua; abbiamo visto con i nostri occhi dalla terrazza dell’albergo, sul mare, le motovedette israeliane seguire piccole barche di legno dei pescatori e sentito i colpi delle mitragliette sparate contro gli scafi e contro le persone.

Durante il nostro soggiorno forzato, protrattosi fino all’8 Gennaio, quando il valico è stato finalmente riaperto, e questa volta anche ai Palestinesi, non siamo stati abbandonati un solo minuto; tutti i nostri ospiti Gazawi non si sono limitati a volerci incontrare nelle loro sedi, ma ci hanno ospitati a cena, ci hanno portato cibo in albergo e ci hanno addirittura chiesto se avessimo bisogno di soldi! Loro che sono sotto assedio e che tutto il mondo vorrebbe cancellare dalla terra, loro si preoccupavano per noi!

Non sarebbe giusto non ricordare anche i ragazzi di ISM ( Marco, Silvia Todeschini, Rosa Schiano, Daniela e altri ancora) che venivano a trovarci tutti i giorni e il gruppo di UNADICUM che abbiamo accolto nel nostro bus all’uscita. E’ importante la presenza di internazionali per tenere aperto un canale di comunicazione con l’esterno e per cercare di fare da deterrente alle incursioni israeliane.

In conclusione la nostra permanenza non prevista a Gaza è stata più che opportuna: siamo riusciti, grazie soprattutto all’ immediata attivazione dei compagni in Italia, che sono stati meravigliosi, e alla loro determinazione nel contattare media, Farnesina, Unità di Crisi, Ambasciata, singole personalità politiche, a creare un tam tam mediatico su Gaza e a riportare l’attenzione sull’ assedio sionista e i diritti negati dei Palestinesi. Per cui, citando i compagni di viaggio: "Missione compiuta!".

E il prossimo passo sarà proprio questo: essere i loro ambasciatori, così come anche dalla Palestina ci chiedono, presso i nostri governi e le istituzioni internazionali creando una campagna internazionale per il riconoscimento del Diritto al Ritorno.

da Forumpalestina

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