“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

martedì 27 gennaio 2009

PERCHÉ ISRAELE HA NUOVAMENTE PERSO LA GUERRA

DIECI DOMANDE E DIECI RISPOSTE SULL’INVASIONE DELLA STRISCIA DI GAZA

Uno degli analisti più lucidi a proposito dell’attacco israeliano a Gaza si è dimostrato essere Loretta Napoleoni che il 14 gennaio sull’Unità ha scritto: “Israele procede nella sua operazione di ‘ripulitura’ della striscia di Gaza indifferente alle proteste del mondo. C’è una sola cosa di cui si preoccupa: il tempo”. Spiegava poi la Napoleoni che la guerra deve essere interrotta entro e non oltre il 21 gennaio perché quel giorno Obama sarà al posto di Bush e se il conflitto dovesse continuare dovrà dire la sua.
Una previsione quella di Loretta Napoleoni, azzeccata in pieno. Israele ha unilateralmente dichiarato la fine dell’attacco il 18 gennaio, appena tre giorni prima dell’effettivo insediamento del nuovo presidente americano.
Questa decisione israeliana spiega molte cose sul significato della sua violentissima aggressione a Gaza. E una su tutte: con la fine dell’era Bush non è così certo che Israele avrà sempre e comunque al suo fianco gli Stati Uniti. Almeno questo è l’auspicio del mondo civile.
Per meglio capire i 22 giorni di follia che hanno sconvolto una delle zone più povere e sovraffollate del pianeta ecco 10 domande 10 risposte.
Vedi testo su:

domenica 25 gennaio 2009

Palestina e Israele. Le impossibili simmetrie

Palestina e Israele. Le impossibili simmetrie

Contributo al seminario "La guerra israelo-occidentale contro Gaza", Roma, 24 gennaio*

La lotta di liberazione del popolo palestinese sembra aver perduto molti amici negli ultimi sette/otto anni. In parte può essere – come prevedevamo con Stefano Chiarini – l’effetto più immediato dell’11 settembre (valutazione questa che ci convinse a fondare il Forum Palestina nell’ottobre del 2001), ma in parte – e forse quella più rilevante – questo nuovo tradimento dei chierici verso i palestinesi è dovuto alla capitolazione politica, culturale e morale che ha conformato gran parte della sinistra italiana e che l’ha portata al dissolvimento. Questo passaggio di campo è avvenuto quasi repentinamente, in meno di otto anni.

Fino a quando il mondo è stato diviso in due dal bipolarismo USA/URSS, i partiti della sinistra, i sindacati e le associazioni erano schierate con nettezza contro l’occupazione militare e coloniale israeliana dei territori palestinesi. Alcuni manomettono questo dato affermando che fino agli anni Ottanta l’Intifada palestinese era pacifica e utilizzava al massimo solo i sassi creando cioè una asimmetria evidente tra le truppe israeliane armate di tutto punto e i giovani shebab che usavano fionde, sassi, disobbedienza civile e morivano a grappoli sotto il fuoco dei soldati israeliani e dei coloni. Era una asimmetria accettabile per la coscienza civile della sinistra europea. Nessuno si è chiesto se lo fosse anche per i giovani palestinesi che subivano quella repressione senza potervi rispondere adeguatamente.

Con gli anni Novanta e gli accordi di Oslo, la coscienza politica della sinistra europea ha smobilitato e si è in qualche modo affrettata a correggere questa asimmetria evidente e legittima tra occupanti e occupati, impugnando la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese come se l’obiettivo della causa palestinese fosse stato raggiunto e i fattori asimmetrici fossero dissolti.

Israele e ANP acquisivano così lo stesso peso, gli stessi diritti, il rispetto delle medesime aspettative e quindi irrompeva nella scena politica – diventando egemone - la posizione dell’equidistanza tra palestinesi e israeliani riassumibile nel mantra dei due popoli per due stati. Ma dal 2001 in poi questa equidistanza, questa impossibile simmetria ha assunto via via come dominante il carattere della complicità con il progetto israeliano e dell’abbandono del sostegno alla causa palestinese.



Il passaggio alla complicità con Israele che abbiamo visto all’opera in questi giorni di carneficina a Gaza e con l’intero schieramento politico a sostegno della versione di Tel Aviv, ha avuto come snodo proprio quella equidistanza contro cui ci siamo battuti fin dall’inizio e che si regge su una simmetria artificiale tra i diritti dei palestinesi e il progetto israeliano.

La sintesi di questa equidistanza è stata proprio la parola d’ordine due popoli due stati. Eppure anche ad occhio in questa simmetria quasi perfetta c’erano delle discrepanze ben visibili:

- Lo stato israeliano esiste da sessanta anni e quello palestinese No;

- Le mappe dimostrano che lo stato palestinese così come sono andate le cose non può esistere;

- Tutti quando parlano dei diritti di ambedue, parlano sempre di diritto alla sicurezza di Israele ma mai di diritto alla sicurezza anche per i palestinesi.

“Noi auspichiamo mobilitazioni unitarie a sostegno del popolo palestinese e dei suoi diritti, primo fra tutti quello ad una patria libera e dello Stato di Israele, ad una piena integrità e sicurezza” scriveva un documento dei DS nell’aprile del 2002, concetto confermato da una intervista a Fassino su La Repubblica del 7 aprile che però aggiungeva “Rappresentare Israele come uno Stato militarista, aggressore o come qualcuno dice fascista è una sciocchezza” per avanzare poi le sue proposte di soluzione “Primo mettere fine ad ogni attività terroristica contro Israele, secondo fermare l’intervento militare e riannodare i fili del negoziato, terzo una iniziativa internazionale nel ricostruire il percorso di pace”.

Ma anche il PRC di Bertinotti proprio in quei giorni maturava posizioni non troppo dissimili da quelle di Fassino. Nel documento per il congresso che si sarebbe svolto tra marzo e aprile 2002 – con la Cisgiordania messa a fuoco e fiamme dall’offensiva israeliana – ci si limitava ad una frase che auspicava la necessità di “accompagnare la composizione del conflitto israelo-palestinese”. Un anno dopo nel documento per il CPN del maggio 2003, la questione palestinese veniva liquidata nelle seguenti sette parole “Il conflitto tra Palestina e Israele continua.” Punto, tutto qua..



La questione palestinese cioè una lotta di liberazione dall’occupazione militare e coloniale che dura dal ’48, veniva ridotta ad un conflitto simmetrico, tra due parti di uguale potenza e diritti da rivendicare, che andava ricomposto.

Da allora l’intero arco della sinistra non è mai più andato oltre il mantra “Pace in medio oriente, due popoli, due stati”. La questione della sicurezza di Israele è diventata lo snodo irrinunciabile intorno a cui tutte le altre questioni – a cominciare dal Muro dell’apartheid condannato dalla Corte Internazionale dell’Aja - andavano subordinate.

Ma come può reggere una simmetria sul tema della sicurezza tra una potenza nucleare e con armamenti enormi e sofisticati, che dovrebbe essere garantita da un popolo senza esercito e dotato di armi leggere o al massimo di qualche missile artigianale o dei corpi dei propri martiri?

Come è possibile che uno stato che non esiste debba e possa assicurare la sicurezza ad uno che esiste ed è tra le maggiori potenze militari del mondo?

Eppure questa evidente sproporzione ha prodotto anche nelle file dei movimenti, della sinistra, della solidarietà, una sorta di simmetria del dolore e delle forme di lotta. Particolarmente dannosa è stata la chiave di lettura sulla spirale guerra-terrorismo come aspetti complementari del problema ed anche quella semplificazione eurocentrista che liquida il tutto come risultato di un conflitto tra opposti fondamentalismi. Neanche Fanfani sarebbe mai stato così banale.



Ci siamo dilaniati in questi anni su piattaforme che mettevano sullo stesso piano le truppe israeliane e gli attentati suicidi, e in questi giorni abbiamo visto lo stesso sui bombardamenti israeliani su Gaza messi sullo stesso piano dei razzi Qassam sparati dai palestinesi. I primi hanno causato 1315 morti e 6ooo feriti, i secondi hanno causato 13 morti di cui dieci militari. Creare una simmetria di dolore tra queste cose e farne una discriminante politica è francamente inaccettabile. Per questo la gente è venuta a manifestare a Roma e non è andata ad Assisi.

Questa spasmodica ricerca di una posizione equidistante (quel né né che ci rimbalza nelle orecchie dalla vergognosa guerra umanitaria in Jugoslavia ed anche prima) ha depotenziato qualsiasi azione efficace contro l’occupazione e l’offensiva israeliana sia sul piano mediatico che su quello diplomatico.



Dietro quella categoria comune di “Pace in Medio Oriente, due popoli, due stati” - inteso come massimo contenuto possibile di mobilitazione – si è cancellata la storia, la complessità, la verità e il senso di giustizia verso i palestinesi. In qualche modo si è introiettata quella logica dei due pesi e due misure che tanta rabbia provoca nelle popolazioni di tutta l’altra sponda del Mediterraneo.

Sotto questa cornice inossidabile e rassicurante si è infatti applicato un vergognoso embargo a Gaza nel 2006 quando la popolazione già era in emergenza umanitaria ma ci si è ben guardati dal sospendere l’accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele. Si continua a negare il diritto al ritorno dei profughi palestinesi ma nessuno mette in discussione il diritto di un cittadino ebreo del Canada di insediarsi in Israele o in una colonia israeliana in Cisgiordania. Si applicano sanzioni all’Iran che ancora non ha le armi nucleari e accetta le ispezioni dell’AIEA ma non si applicano sanzioni ad Israele che già dispone di un arsenale nucleare e non accetta le ispezioni dell’AIEA.

Soprattutto si è accettato quel dogma della sicurezza – che i palestinesi dovrebbero assicurare a Israele ma non viceversa – il quale è un fattore che annulla tutti gli altri. La sicurezza è diventata come una fede che non ha bisogno e non dà spiegazioni. Va accettata senza discutere. Questo è valido da un capo di stato fino ad un bigliettaio della metropolitana di Roma che invoca la sicurezza per non dare spiegazioni e che solo davanti ad un tesserino da giornalista non ha potuto commettere un abuso di potere. Accettare il terreno della sicurezza significa voler rendere simmetrica una situazione che non lo è e non lo sarà mai.



Quando sentiamo che la parola d’ordine “pace in Medio Oriente, due popoli due stati” è regolarmente alla base delle dichiarazioni di Bush e di chi marcia ad Assisi, di Olmert e della sinistra europea, di Mubarak e della destra europea, non possiamo non chiederci se c’è qualcosa che non quadra. Come mai un progetto così definito e con un consenso così unanime non ha fatto un passo in avanti (anzi) negli ultimi quindici anni? Prima l’ostacolo era Arafat, ma Abu Ammar è stato prima isolato, assediato e poi forse ucciso. Poi l’ostacolo è diventato Hamas che ha vinto le elezioni. Domani sarà il contenuto delle preghiere del venerdi alla moschea di Al Aqsa a Gerusalemme e dopodomani il contenuto dei libri di testo degli alunni palestinesi e così via…



Noi dobbiamo rovesciare la logica ed anche rovesciare il tavolo dove ci vorrebbero costringere a ragionare ed agire.

Se in Medio Oriente il problema sono i rapporti di forza con Israele e la solitudine dei palestinesi traditi dai regimi arabi reazionari e filoimperialisti, il problema qui da noi – nei nostri dibattiti e nella nostra azione politica – è liberarsi dalla cultura e dalla logica eurocentrista e rompere il tabù del dibattito sul sionismo per affrontarlo in quanto ideologia e progetto politico coloniale perfettamente aderente alla logica colonialista nata proprio qui in Europa.

Tant’è che volevano dedicare la Fiera del Libro di Torino a Israele senza parlare della Palestina. Pensavano di poterlo fare senza problemi e con grande normalità, consumando così un vero e proprio politicidio della cultura, della identità e della storia dei palestinesi come se non esistessero, come se i popoli colonizzati fossero un dettaglio irrilevante della storia contemporanea. (e fortunatamente glielo abbiamo impedito).



Anche su questo è scattata un’altra impossibile simmetria contro cui dobbiamo batterci apertamente e cioè che chi è antisionista è anche antiebraico (non uso la categoria antisemitismo perché è sbagliata in tutti i sensi). Questa impossibile e inaccettabile simmetria ha trovato espressione anche nelle parole della più alta carica istituzionale della nostra repubblica: il Presidente Napolitano.

Una domanda. Ma chi si oppone alla destra al governo e alla sua ideologia xenofoba, razzista, prevaricatrice è forse anti-italiano? O chi ha lottato contro i neoconservatori statunitensi è antiamericano? Oppure la politica, le ideologie, il posizionamento politico, la storia, hanno una loro logica e un loro ruolo negli sviluppo degli avvenimenti?

I sionisti italiani (che non sono necessariamente ebrei ma sono coloro che aderiscono appunto ad un progetto politico) sostengono che il sionismo è come il Risorgimento italiano. Vogliamo discutere di almeno un paio di questioni?

La prima è che va detto che non tutti gli ebrei europei erano o sono sionisti. C’erano infatti anche i Bundisti (che avevano l’egemonia fino agli anni Trenta essendo legati alle correnti ideologiche del movimento operaio in crescita in tutta Europa). Vogliamo dirlo che i sionisti hanno collaborato con le forze più reazionarie europee per indebolire e annientare i bundisti? Vogliamo dirlo che l’insurrezione del Ghetto di Varsavia è stata guidata dai bundisti e dai comunisti anche contro quei sionisti che collaboravano con l’occupazione nazista?

Secondo. Se il Risorgimento italiano ha portato ad una delicata (e oggi vediamo ancora quanto fragile) unità nazionale del paese, possiamo negare che quella del Tirolo e di alcuni parti della Slovenia e della Croazia è stata una annessione colonialista prima e fascista poi? Che il Risorgimento e il nazionalismo di stampo liberale ha prodotto anche il colonialismo italiano in Africa, l’ideologia della Quarta Sponda e della Grande Proletaria che si è mossa?



Dentro la storia, le forze in campo si dividono per classi sociali, per ideologia, per interessi materiali e ambizioni politiche. L’unicità dell’ebraismo intorno al sionismo e dunque intorno al progetto di uno stato ebraico in Israele, è una menzogna smentita dalla storia e dall’attualità.

Ci sono stati nella storia e ci sono oggi migliaia di ebrei in Israele e nel mondo che non sono affatto sionisti e al contrario si battono - in quanto soggetti politici - contro il progetto sionista.

Il peso dello sterminio degli ebrei in Europa da un lato ha trasformato un orrore indiscutibile in uno standard acritico che devia e condiziona continuamente il dibattito sulla questione palestinese, dall’altro ha innescato un blocco nel dibattito e nell’analisi storica che ha privato la sinistra di ogni supporto intellettualmente attivo che l’ha inchiodata alla ritirata culturale e politica davanti alla spregiudicatezza degli apparati ideologici dello stato israeliano.

Avendo accettato senza reagire che gli storici, i giornalisti, gli intellettuali, i registi italiani, europei, israeliani e palestinesi venissero ostracizzati o ridotti al silenzio dagli anatemi dei gruppi sionisti (vedi Asor Rosa o Santoro, Costanzo e tanti altri), la sinistra da dove poteva attingere le idee per rinnovare una identità internazionalista adeguata alle sfide del XXI° Secolo?



La riuscita della grande manifestazione di sabato scorso e la campagna per il boicottaggio della Fiera del Libro dedicata a Israele a maggio, hanno dimostrato che se c’è ed agisce concretamente una soggettività attiva, una rete di associazioni, attivisti, intellettuali con una logica internazionalista e che non abbassa la testa e non capitola davanti agli assalti del blocco sionista in Italia, può accadere che gli intellettuali, i giornalisti, il popolo della sinistra e finanche qualche dirigente politico prenda coraggio e che i palestinesi si sentano – finalmente – meno soli nella loro lotta di liberazione che in qualche modo contribuisce a liberare anche noi stessi dai tabù culturali e dall’opportunismo. Come abbiamo promesso anni fa ad una donna palestinese nei campi profughi in Libano “Noi non molleremo” fino a quando non sarà assicurata una pace - ma con giustizia - per il popolo palestinese e nel Medio Oriente. Come ha detto Gino Strada due anni fa “Oggi è come ti schieri contro guerra e non sulla pace la vera discriminante”. Siamo convinti che nessuna pace sia possibile o accettabile in Medio Oriente senza rendere giustizia al popolo palestinese.

* Sergio Cararo (Forum Palestina)

sabato 24 gennaio 2009

report 24 gennaio

Nonostante una pioggia incessante, hanno partecipato al corteo
regionale per la palestina 1500 persone. Vi è stato una ricca
partecipazione tra la comunità araba, le associazioni, i centri
sociali, i sindacati di base e i gruppi politici. Questo corteo,
osteggiato in tutti i modi, fino a qualche giorno fa era stato
direttamente vietato sotto la spinta di un arco di forze bipartisan
tra centro destra e centro sinistra, ha riaffermato il diritto a
lottare dei palestinesi contro l'occupazione sionista. Ha espresso
una solidarietà diretta, chiedendo il ritiro delle truppe italiane dal
fronte libanese, e ha lanciato la parola d'ordine del boicotaggio al
governo israeliano. E' stata inoltre una giornata che ha riaffermato
il diritto e l'orgoglio da parte della comunità araba e migrante di
scendere in piazza e manifestare.
Il comitato palestina bologna rilancia l'iniziativa rispetto alla
campagna BDS -Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni- contro la
politica distruttiva di Israele, organizzando assieme a diverse
associazioni, sindacati di base e gruppi una assemblea dove
interveranno israeliani rifusnik (gli obiettori di coscienza
dell'esercito israeliano) il 14 febbraio al centro zonarelli alle ore
18.00. In quell'occasione si documenterà lo stretto legame economico
tra la nostra regione e lo stato di Israele, chiedendo la revoca di
tali accordi.

comitato palestina bologna

venerdì 23 gennaio 2009

Don Gallo sulla manifestazione del 24

Comunità San Benedetto al Porto di Genova

Sono con Voi, con tutto il mio cuore.
Da cristiano, casttolico, prete che annuncia e propone il Vangelo mi sarei spontaneamente unito alla Preghiera in Piazza S.Petronio.
L'ONU ha aperto un'inchiesta a Gaza per l'attacco disumano.
Il Papa ha celebrato l'Eucarestia in tutte le Piazze e gli Stadi del mondo.
Tuttavia, con le sorelle e i fratelli islamici, cercherei la laicità, le strade per evitare confusione tra religione e politica.
Nessuna strumentalizzazione, nessun integralismo, nessun fondamentalismo.
L'accoglienza dell'Altro è al centro delle religioni monoteiste.
Buon Lavoro Don Gallo

giovedì 22 gennaio 2009

manifestazione 24 gennaio

Contro l’occupazione sionista
VITA TERRA E LIBERTA´ PER LA PALESTINA

Manifestazione regionale per la Palestina
Bologna sabato 24 gennaio, piazza dell’Unità
Partenza corteo 17.30

La tregua a Gaza, non ferma l´occupazione israeliana in Palestina. Gaza è un cumulo di macerie, e continuano le provocazioni e le vessazioni a danno della popolazione palestinese in Cisgiordania. Si è ampliato il problema dei profughi e dei prigionieri politici palestinesi.
La popolazione palestinese è riuscita a difendere Gaza, e saluta giustamente come una vittoria il ritiro delle truppe israeliane. Vi è stata una ritrovata unità da parte delle organizzazioni e movimenti arabo-palestinesi sul fronte della resistenza contro i sionisti.

Da un punto di vista internazionale si è sviluppato in pochi giorni un vastissimo movimento di solidarietà con la lotta del popolo palestinese che ha attraversato tutte le città del pianeta. In Europa vi è stata una massiccia presenza di arabi che hanno manifestato contro l´imperialismo e il sionismo. I paesi progressisti e socialisti del sud america: Bolivia, Venezuela, Cuba hanno manifestato concretamente il loro appoggio alla causa palestinese.

Noi uomini e donne solidali con la lotta del popolo palestinese possiamo promuovere una campagna che mini e denunci i rapporti economici tra i paesi europei e Israele. Sul piano locale chiediamo la revoca degli accordi commerciali tra la Regione Emilia Romagna e Israele. Inoltre vogliamo l´immediato ritiro delle truppe italiane dal Libano e ci opporremo alla proposta di invio di truppe italiane in Palestina. Promuoveremo la campagna internazionale BDS - Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni - contro la politica distruttiva di Israele, approvata da una vastissima coalizione di forze progressiste palestinesi ed internazionali - quali, sindacati europei, nordamericani e sudafricani - ma ideata e lanciata, sin dal 2001, proprio da una rete di ebrei che lottano contro l´occupazione israeliana della Palestina.

Come segno di solidarietà al popolo palestinesi appendiamo una bandiera palestinese ai nostri balconi e alle nostre finestre. Fate una fotografia e inviatela ai giornali e a forumpalestina@libero.it indicando la città. Infine è importante sostenere la rinascita di una prospettiva popolare araba, che rilanci la lotta della comunità araba contro l’imperialismo e il colonialismo sia nelle terre d’origine sia in Europa.

في محاربة الصهيونية
حياة و ارض و حرية لفسلطين
عاشت المقاومة العربية الفلسطينية
من اجل قومية عربية في مواجهة الأمبريالية

COMITATO PALESTINA BOLOGNA

comitatopalestinabologna@gmail.com
http\\: comitatopalestinabologna.blogspot.com

mercoledì 21 gennaio 2009

intervista all'FPLP


L'agenzia di stampa Ma'an intervista l'FPLP sull'aggressione israeliana a Gaza – 18 gennaio 2009

http://www.pflp.ps/english/

Il 17 gennaio 2009 l'agenzia di stampa Ma'an ha realizzato la seguente intervista con un portavoce del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Nell'intervista l'FPLP discute sulla centralità della resistenza palestinese e sulla persistente aggressione contro il popolo palestinese, in particolare sull'aggressione contro Gaza cui Israele ha dato inizio il 27 dicembre 2008.
L'FPLP ed il suo braccio armato, le Brigate Abu Ali Mustafa (BAAM), al momento sono impegnate in scontri contro le truppe di terra israeliane nella Striscia di Gaza, mentre continuano a lanciare missili attraverso la Green Line verso Israele.
Ma'an ha parlato con un portavoce ufficiale del movimento laico e di sinistra per gettare un po' di luce sull'attuale lotta contro Israele e sullo stato della politica palestinese, sui rapporti con Hamas e con l'Autorità Nazionale Palestinese (ANP).

(La seguente intervista è stata realizzata via email):

Ma'an: Qual è la posizione dell'FPLP sulle motivazioni che hanno spinto Israele a lanciare la sua massiccia aggressione contro Gaza?
FPLP: L'inizio dei massacri e dei crimini di guerra israeliani contro il nostro popolo è in linea con un obiettivo storico – il tentativo di eliminare la resistenza palestinese, in particolare a Gaza. Come già ha provato a fare nel 2006 in Libano, Israele ha tentato di separare la resistenza dal popolo perseguendo l'eliminazione della prima e l'indebolimento della causa palestinese e dei diritti della nostra gente.
I piani israeliani contro il nostro popolo ed i nostri diritti possono essere realizzati – malgrado la complicità degli Sati Uniti, dei regimi arabi e di parte della "leadership" palestinese – solo con l'eliminazione della resistenza palestinese.
Ora Israele sta imparando che, parimenti a quanto accaduto in Libano nel 2006, malgrado la sua brutalità e l'assoluta criminalità, la nostra gente è il cuore, la culla e la forza della nostra resistenza, e che i loro attacchi non sconfiggeranno mai il nostro popolo né la nostra determinazione nella difesa dei nostri diritti al ritorno, all'autodeterminazione e alla sovranità.

Ma'an: Le incursioni aeree, marine e di terra di Israele sono realmente dirette contro Hamas ed i razzi?
FPLP: I razzi sono una rappresentazione allo stesso tempo pratica e simbolica della nostra resistenza all'occupante. Sono un promemoria costante che ricorda che l'occupante è tale, e che, per quanto possa impegnarsi in assedi, massacri, nel chiuderci in prigioni a cielo aperto, nel negarci il soddisfacimento dei bisogni umani primari, noi continueremo a resistere e ci aggrapperemo fermamente ai nostri diritti fondamentali, non permettendo che siano distrutti. Finché un razzo sarà lanciato contro l'occupante, il nostro popolo, la nostra resistenza e la nostra causa saranno vivi.
Questo è il motivo per cui individuano come obiettivo i razzi: rendono l'occupante insicuro, poiché ognuno di essi è un simbolo ed un atto fisico del nostro rifiuto della loro occupazione, dei loro massacri, dei loro crimini e dei loro continui attacchi contro il nostro popolo. Ogni razzo dice che non acconsentiremo alle loro cosiddette "soluzioni", basate sulla cancellazione e sulla negazione dei nostri diritti.

Ma'an: Cosa dite a proposito delle prossime elezioni parlamentari israeliane? Hanno giocato un qualche ruolo nella decisione di attaccare Gaza?
FPLP: Certamente l'attacco è legato alle elezioni israeliane – serve a sostenere l'immagine del partito Kadima ed in particolare di Livni e Barak, sulle spalle e col sangue di più di 1000 morti palestinesi. Che questo sia un fattore dirimente e positivo in queste elezioni la dice lunga sulla natura di Israele e del Sionismo.

Ma'an: Quanti combattenti dell'FPLP e delle BAAM sono stati uccisi durante l'invasione israeliana e/o I bombardamenti aerei?
FPLP: Al momento non rilasciamo statistiche o informazioni di questo genere poiché sarebbero solo un aiuto all'aggressione militare del nemico contro il nostro popolo. Comunque, possiamo dire che membri delle BAAM sono stati fortemente attivi in tutte le forme di resistenza contro gli invasori e gli occupanti.

Ma'an: Le BAAM sono state attive nella resistenza contro l'esercito invasore?
FPLP: Le BAAM hanno lanciato più razzi al giorno, si sono distinte particolarmente per l'utilizzo di bombe sulle strade, di autobombe e di altri congegni esplosivi che hanno procurato seri danni e distrutto carri armati ed altri veicoli militari dell'occupazione. I combattenti delle BAAM hanno partecipato a tutte le battaglie a tutti i livelli.
Stanno inoltre lavorando strettamente e in coordinamento con tutte le altre forze della resistenza in una lotta unitaria per opporsi al nemico ed unificare la nostra resistenza di fronte ai crimini e ai massacri di Israele.

Ma'an: In quale situazione l'FPLP potrebbe firmare un 'cessate il fuoco' con Israele?
FPLP: Ci siamo opposti alla cosiddetta "tregua" o "cessate il fuoco" (in vigore tra il 19 giugno ed il 19 dicembre 2008) perché la consideravamo pericolosa per il nostro popolo e crediamo sia oggi dimostrato che la nostra analisi fosse corretta.
Israele ha costretto ad una fine della "tregua" con i suoi attacchi ed omicidi – e poi l'ha usata come una scusa per attaccare i palestinesi (per esempio, il 4 novembre, bombardamenti aerei hanno ucciso cinque militanti ed un civile); un obiettivo che ha avuto da sempre, e ha usato un piano d'aggressione preparato precedentemente, durante la cosiddetta "tregua".
La resistenza, in maniera unificata, può sempre decidere che tattiche usare in ogni tempo. Noi chiediamo la fine dei massacri, il ritiro delle truppe d'occupazione dalla nostra terra, la piena, immediata ed incondizionata apertura di tutti i confini – in particolare del valico di Rafah - e la fine dell'assedio contro il nostro popolo. Ma non abbandoneremo mai i nostri diritti fondamentali – a resistere, a difendere il nostro popolo, al ritorno, all'autodeterminazione ed alla sovranità – in nome di una cosiddetta "tregua", che è esattamente ciò che Israele desidera.

Ma'an: Quali sono oggi le relazioni tra Hamas e l'FPLP?
FPLP: Al momento le relazioni tra Hamas e l'FPLP sono determinate dalla resistenza.

Ma'an: Ma l'FPLP è un movimento laico. Ciò non crea difficoltà nel lavoro con Hamas, che invece crede in una società ed in un governo islamico?
FPLP: Sia Hamas che l'FPLP militano nel campo della resistenza, della difesa del nostro popolo, della nostra causa e dei nostri diritti fondamentali.
Entrambi rifiutano i cosiddetti "negoziati", la cooperazione con l'occupante e qualsiasi cosiddetta soluzione politica basata sulla negazione e sull'abrogazione dei diritti della nostra gente; entrambi combattono uniti nella resistenza contro i massacri ed il genocidio perpetrati contro i palestinesi. Questa è l'unità ed è la relazione che ci interessa al momento: unità nella lotta, per il nostro popolo, la nostra causa ed i nostri diritti.

Ma'an: Tornando alla politica, qual è la posizione dell'FPLP sulla legittimità di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), il cui mandato è terminato ufficialmente il 9 gennaio?
FPLP: La sola legittimità palestinese che ci interessa al momento è la legittimità della resistenza. Questa è la definizione della nostra unità nazionale: lotta all'occupante e ai suoi crimini, difesa del nostro popolo e dei nostri diritti. La legittimità ora non è quella dell'ANP; essa deriva dallo stare con la resistenza, con la fermezza del nostro popolo, contro i crimini dell'occupante.

Ma'an: L'FPLP crede che, date le circostanze, i palestinesi dovrebbero concentrarsi sulla Striscia di Gaza e meno sulla politica interna? O il ruolo della politica palestinese è più importante che mai?
FPLP: Questo è un momento fondamentale per il movimento nazionale palestinese e per la sua causa, di fronte ad un nemico dedito alla distruzione. La domanda per tutti è: stare con la resistenza o in disparte e permettere così che l'aggressione continui? Ogni briciolo di legittimità politica al momento dipende dalla risposta a questa domanda.

Ma'an: Qual è la situazione dell'FPLP e delle altre organizzazioni della resistenza nella West Bank?
FPLP: Anche la West Bank è sotto assedio, solo di tipo diverso: l'assedio dell'occupazione, degli 11.000 prigionieri politici, della costante confisca della terra, della costruzione delle colonie, dell'innalzamento del muro d'annessione e degli altri crimini continui contro il nostro popolo. Infatti Israele sta approfittando che gli occhi del mondo si siano spostati dalla West Bank a causa dei massacri a Gaza, per procedere ad un numero ancor più grande di confische di terre e di attacchi in Cisgiordania.
Noi non permetteremo che il nostro popolo sia diviso, risieda esso nella West Bank o a Gaza, nei territori palestinesi occupati nel 1948 (i palestinesi all'interno di Israele) o in esilio.

Ma'an: L'FPLP si aspetta che i palestinesi fuori dalla Striscia si solleveranno contro l'occupazione, specialmente alla luce delle recenti atrocità israeliane a Gaza?
FPLP: Noi siamo un'unica nazione, un unico popolo ed un'unica causa, e tutti i piani del nemico per spezzare quest'unità sono destinati a fallire. La nostra determinazione a resistere e a difendere i nostri diritti nazionali al ritorno, all'autodeterminazione, alla libertà e alla liberazione, alla sovranità, ci assicurerà la vittoria e l'unità del nostro popolo, della nostra terra e della nostra causa.

Traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

le prime adesioni al corteo del 24

il corteo x la palestina del 24 partirà a Bologna alle 17.30 da piazza dell'Unità e si concluderà in piazza malpighi.

Ecco un primo elenco di realtà che hanno aderito alla manifestazione:

Ass. Sopra I Ponti, Centro di Cultura Islamica, Comitato Palestina Bologna, Xm24, Crash, TPO, Vag61, Lazzaretto Autogestito, Confederazione Unitaria di Base-Emilia Romagna, Confederazione Cobas, AS.I.A.-RdB, Rete 28 Aprile, Collettivo Universitario Autonomo-Bo, Assemblea No Gelmini-Scienze Politiche, Studenti medi-Iskra, Ya Basta Bologna, Ass.Carlo Giuliani San Lazzaro, Un ponte per, Assemblea Antifascista Permanente, Partito della Rifondazione Comunista, Giovani Comunisti, Socialismo Rivoluzionario, Partito Comunista dei Lavoratori, Rete dei Comunisti, Collettivo Autonomo Modenese, Giovani Mussulmani Modena, Antagonisti Ferrara, Circolo arci sesto senso-Bo, coordinamento contro l'occupazione della palestina - modena,
ASSOCIAZIONE ANNASSIM-Bologna, Spazio Sociale Studentesco, Associazione "Intorno al Cerchio", Associazione Culturale Papillon-Rebibbia Onlus Bologna, Onda Anomala-Bo, Lista Reno, ya basta-parma, coll. spam-parma, lab paz-rimini,


comitatopalestinabologna@gmail.com

manifestazione regionale x la palestina

LA TREGUA NON FERMA LA SOLIDARIETA’
Manifestazione regionale per la Palestina

Bologna sabato 24 gennaio, piazza dell’Unità
Concentramento ore 16.30 partenza corteo 17.30

Il 24 gennaio il movimento di solidarietà con il popolo palestinese organizza un corteo regionale. In questi giorni si sono susseguite polemiche strumentali tese a criminalizzare i migranti che hanno dato un grosso contributo ai movimenti di solidarietà con la Palestina. Il corteo attraverserà le strade del centro cittadino.

Contro l’occupazione israeliana della Palestina

Basta con l’impunità del terrorismo di stato israeliano

Per il diritto al ritorno dei profughi e la libertà dei prigionieri politici palestinesi

Rompere ogni complicità politica, militare, economica tra lo stato italiano-istituzioni della Regione Emilia Romagna e Israele

Le bombe uccidono le persone, l’informazione manipolata uccide le coscienze

VITA TERRA E LIBERTA’ PER LA PALESTINA

martedì 20 gennaio 2009

appendete la bandiera palestinese

Le cose che diciamo di solito le facciamo.
Appendete la bandiera palestinese al vostro balcone e alle vostre finestre

In conclusione della grande manifestazione di sabato 17 gennaio a Roma, abbiamo lanciato l'appello ad appendere le bandiere palestinesi al nostro balcone. Noi abbiamo cominciato a farlo perchè siamo abituati a fare le cose che diciamo. La mobilitazione per la Palestina non è finita sabato 17 gennaio, al contrario adesso viene la parte più difficile e occorre lottare e vincere anche sul piano della comunicazione.

Quindi: appendete le bandiere. Se non le avete cercatele, cucitele, acquistatele.
Fate una fotografia e inviatela ai giornali e a forumpalestina@libero.it indicando la città.
Fate circolare questo messaggio a tutti gli indirizzi che avete a disposizione.

Un abbraccio e buon lavoro
Il Forum Palestina

lunedì 19 gennaio 2009

sulla manifestazione del 17 gennaio

Sabato 17 gennaio a Roma una straordinaria manifestazione di solidarietà con i palestinesi e con Gaza. E adesso?

di Sergio Cararo*

Talvolta per dare una valutazione di un evento politico importante come la straordinaria manifestazione di sostegno popolare alla resistenza dei palestinesi di sabato 17 gennaio, c’è la necessità di darla “a freddo” e non sulla base dell’entusiasmo che deriva da una iniziativa riuscita al di là delle aspettative (anche se queste c’erano ed erano alte). Avevamo promesso che avrenmmo riempito Roma di bandiere palestinesi e questa sfida possiamo affermare di averla vinta.

Un giudizio a freddo dunque perché la sera stessa della manifestazione si è messo in moto un processo che sta portando ad una parziale tregua sul campo che consente alla gente di Gaza e ai suoi resistenti di riprendere un attimo di respiro dopo tre settimane di bombardamenti brutali.

In tutti questi anni di lavoro sulla Palestina, abbiamo cercato di imporre nella mentalità e nella logica della costruzione delle manifestazioni e dei loro tempi, un solido rapporto con la realtà che non sempre ha coinciso con i tempi , le modalità e la cultura dominanti nella “sinistra” italiana e negli stessi movimenti. Questo spiega, in parte, la dissonanza che si è ripetuta spesso tra le scelte operate dalla rete di solidarietà animata dal Forum Palestina ed altre istanze e spiega anche la “forzatura” sulla data del 17 gennaio come convocazione di una manifestazione nazionale a Roma preparandola di fatto in una manciata di giorni.

Sulla situazione a Gaza occorreva che la solidarietà popolare e politica ai palestinesi nel nostro paese entrasse in campo qui ed ora senza attendere “tempi” e procedure congeniali alle nostre relazioni piuttosto che alla realtà.

Quel “fermiamo il massacro dei palestinesi a Gaza”, che è stato lo striscione di apertura del grande corteo di sabato, era non solo il tema che ha unificato tante forze diverse nella manifestazione ma era anche lo spazio politico concreto dentro cui ognuna e ognuno ha pensato di poter dare la spinta possibile per raggiungere almeno l’obiettivo del cessate il fuoco.

Questo fattore, insieme alla ripulsa morale per la vergognosa posizione di complicità del governo e dell’opposizione politica italiani con i massacri di Israele e lo sdegno per una informazione manipolata ed embedded che ha sistematicamente legittimato l’aggressione israeliana a Gaza, è stato la molla che ha spinto migliaia e migliaia di persone a mobilitarsi anche con i mezzi limitatissimi a disposizione per partecipare alla manifestazione di Roma.

La terza spinta alla partecipazione sono stati i contenuti. La manifestazione ha dichiarato preventivamente e pubblicamente che si schierava con il popolo palestinese e senza alcuna equidistanza, che avrebbe chiamato aggressione e non guerra quella in corso a Gaza, che avrebbe chiesto sanzioni e boicottaggio come strumenti per mettere fine all’impunità dei crimini di guerra israeliani senza concedere nulla all’ipocrisia e alle strumentalizzazioni.



Non possiamo nasconderlo, a Roma c’era una spinta politica e morale genuina che si è sobbarcata interamente gli oneri e gli onori della propria scelta, mentre ad Assisi c’era una stragrande maggioranza di funzionariato associativo e di amministratori locali, che hanno celebrato una ritualità stanca ed inefficace del pacifismo bipartizan che era già stato sconfitto politicamente il 9 giugno del 2007 proprio in occasione di una manifestazione contro la guerra in occasione della visita di Bush. Le rare voci più avanzate che si sono sentite ad Assisi o nella società (vedi Santoro ed altri) hanno trovato il coraggio di uscire allo scoperto perché c’era la manifestazione di Roma e la controtendenza politica e culturale che l’ha preceduta, avviata e realizzata.

E forse proprio il ricordo di quella sconfitta e dell’onda lunga che ha innescato quel 9 giugno, ha suggerito ai due partiti “ufficiali” della sinistra di stare nella manifestazione di Roma. Il PdCI – così come in passato, almeno sulla Palestina - lo ha fatto con maggiore convinzione, il PRC (e una parte della comunità palestinese in Italia) lo ha fatto ancora a metà, aderendo ad entrambe, ma se fosse stato un anno fa, solo una minoranza disobbediente del PRC sarebbe stata in piazza a Roma per la Palestina, mentre sabato la partecipazione è stata in qualche modo “ufficiale” e questa segna una diversità rispetto agli anni passati.



Questo passaggio ci serve per ragionare su un paio di questioni.

La prima è che il parametro di ragionamento che può fare la differenza nelle mobilitazioni, è sempre la realtà sul campo. Se la situazione a Gaza richiedeva di fare una manifestazione con il maggior impegno possibile, questa andava fatta anche rischiando una partecipazione inferiore. Lo abbiamo ripetuto spesso in questi anni: qualche volta siamo scesi in piazza in venti a fare dei sit in che avrebbero avvilito chiunque e altre volte siamo scesi in piazza in ventimila. Il problema era l’opportunità di intervenire – in pochi o in tanti – nel posto giusto, nel momento giusto e con le modalità giuste.

La seconda è che abbiamo visto in queste ore la delusione di alcuni compagni nel vedere lo scarso risalto o la strumentalità dei commenti di giornali e telegiornali sulla manifestazione. Per paradosso dobbiamo ammettere che non essendo stata bruciata nessuna bandiera la copertura mediatica è stata inferiore. Come vedete ogni aspetto ha la sua contraddizione. Ma vorremmo far capire a questi compagni delusi che l’obiettivo della manifestazione non era tanto quello di leggersi all’indomani sui giornali o sui telegiornali italiani subalterni al blocco bipartizan filoisraeliano, ma quello di farsi vedere nei telegiornali e corrispondenze che sono stati visti a Gaza, in Cisgiordania, nei campi profughi palestinesi in Libano, nei territori del ’48 e in tutto il Medio Oriente. Era lì che dovevano vedere come l’Italia non fosse quella di Berlusconi, Frattini, Fassino, Nirestein e Colombo ma era un popolo che scendeva in piazza con le bandiere palestinesi e al fianco dei palestinesi, mischiandosi in piazza con i migranti di mezzo mondo, con gli arabi che vivono e lavorano in mezzo a noi, che vedeva in piazza a condividere striscioni e strade musulmani ed atei, ebrei e cristiani, comunisti, e pacifisti, antimperialisti e antisionisti. Che l’ex ministro di polizia Pisanu si preoccupi della preghiera sotto al Colosseo ci dà la cifra di quanto l’establishment sulla sua complicità con Israele stia in crisi e di quanto certe preoccupazioni sull’islam in Italia siano molto più che strumentali. Su questo dato è bene che riflettano anche tante compagne e compagni che si sono disorientati davanti all’impatto di questa realtà nella composizione sociale dei nostri cortei.



La manifestazione di Roma è, in questo, il risultato e la comparazione con quella di maggio a Torino per il boicottaggio della Fiera del Libro e che ha visto veramente l’umanità migliore mischiarsi nei seminari e nelle iniziative per giorni. Vorremmo dire a tutti, che senza quella campagna e senza la campagna di un anno dedicata nel 2008 alla Nakba palestinese, non ci sarebbe stato il risultato della straordinaria manifestazione di Roma, Vogliamo dire anche che chi ci ha lavorato contro a maggio a Torino sulla Fiera del Libro, ha commesso un orribile errore politico o una rivelazione di malafede su cui oggi dovrebbe fare autocritica ed anche un po’ di sana “penitenza”.



Adesso che ci siamo lasciati alle spalle una nuova grande manifestazione, dobbiamo discutere come realizzare le cose che abbiamo messo in cantiere già dai giorni scorsi per il dopo manifestazione.

1) C’è da dettagliare la campagna di boicottaggio di Israele

2) C’è da avanzare sul piano dell’ospedalizzazione in Italia dei feriti palestinesi e dell’invio di medici e materiale sanitario negli ospedali palestinesi di Gaza

3) C’è da aprire un confronto politico leale (e forse anche aspro) sullo scenario politico palestinese e sul progetto di uno stato unico per palestinesi ed israeliani che metta in cantina il progetto due popoli due stati ipotecato dalla realtà sul campo.

Su questo occorre ripartire al più presto senza ritenersi “appagati” da una grande e riuscita manifestazione. Il 17 gennaio era e rimane solo un passaggio di una campagna iniziata da tempo e che non può che proseguire fino ad ottenere Vita, Terra, Libertà per il popolo palestinese.



* Forum Palestina
www.forumpalestina.org

venerdì 16 gennaio 2009

sul divieto del 24 a Bologna

Rilanciamo la solidarietà per la Palestina

Si aggiunge un ulteriore provocazione al corteo x la Palestina indetto
per il 24 gennaio a Bologna, negando ai manifestanti di sfilare in
centro. Fa paura la solidarietà espressa dalla comunista araba nei
confronti della lotta del popolo palestinese di fronte
all'ingigantirsi della manifestazione nazionale del 17 a sostengono
delle ragioni del popolo palestinese . Si sta cercando di spostare
l'attenzione rispetto a questo vasto movimento di solidarietà, attorno
ad un problema di identità religiose. Noi pensiamo che ogni cittadino
possa manifestare liberamente la sua solidarietà, portando in piazza
la propria identità, sia essa politica, culturale o religiosa. Per noi
l'importante è che si interrompa il massacro a Gaza, che sempre più
cittadini manifestino la loro indignazione e che si passi ad una
solidarietà attiva per fermare il genocidio in Palestina.
Le strumentalizzazioni da parte dei politici e dei mezzi di
informazione, vanno condannate, chiediamo a tutto il movimento di
solidarietà con la Palestina di ribattere portanto alla luce gli
interessi economici israeliani nella nostra regione, dai trattati
economici con la Regione Emilia Romagna o all'Università e difenendo
il diritto a manifestare della comunità araba.


COMITATO PALESTINA BOLOGNA
--
Informazioni e contatti:
http://comitatopalestinabologna.blogspot.com/
comitatopalestinabologna@gmail.com
3389255514

giovedì 15 gennaio 2009

i pulman da Bologna x il 17 gennaio

giovedi 15 gennaio
comunicato stampa

Da Bologna partiranno 7 pulman per la manifestazione nazionale per la
Palestina a Roma del 17 gennaio indetta dalla comunità palestinese e
dal Forum Palestina. La partenza è prevista alle ore 9 presso
l'autostazione di Bologna. Inoltre sono previste altre delegazioni in
treno e in automobile, si stima che da Bologna partiranno più di 500
persone. In ogni citta dell'Emilia Romagna sono stati organizzati
pulman per la manifestazione nazionale.
Il 24 si terrà il corteo regionale per la Palestina a Bologna, che
vede l'adesione della comunità araba e palestinese, centri sociali,
sindacati di base, associazioni culturali e gruppi politici cittadini.
Dobbiamo ancora una volta registrare come l'informazione abbia
volutamente schiacciato la notizia del corteo del 24 attorno alla
pretestuosa polemica in merito alla preghiera, la manifestazione del
24 è in solidarietà con il popolo palestinese, e dove ogni realtà
porterà i propri contenuti per manifestare direttamente questa
solidarietà. Noi pensiamo che cosi come la manifestazione nazionale
del 17 porta le ragioni del popolo arabo-palestinese in piazza e
contesta le logiche neo-coloniali degli USA, dell'UE e di Israele, la
manifestazione regionale del 24 avrà le stesse caratteristiche.

COMITATO PALESTINA BOLOGNA

Informazioni e contatti:
http://comitatopalestinabologna.blogspot.com/
comitatopalestinabologna@gmail.com
per info: 3389255514

mercoledì 14 gennaio 2009

LA RESISTENZA IN PALESTINA

Varie fonti confermano che la resistenza palestinese è maggiore di quanto si aspettassero i vertici militari israeliani. Razzi anche dal Libano

Emerge ormai da numerose corrispondenze sia da dentro Gaza che dalle retriùovie israeliane che la resistenza che i feddayn palestinesi stanno mettendo in campo a Gaza è assai superiore a quanto avessero previsto gli stati maggiori dell'esercito israeliano. Su La Repubblica e il Sole 24 Ore di oggi, si dà conto di come le truppe israeliane siano state costrette a ritirarsi sule posizioni di partenza dopo aver tentato di penetrare a Gaza City. Le stesse fonti confermano che tutte le organizzazioni palestinesi - da Hamas ad Al Fatah al FPLP - abbiano unificato le forze e agiscano in modo coordinato ricorrendo a tutti i mezzi della guerriglia urbana impedendo alle truppe israeliane di ottenere progressi consolidati sul piano dell'offensiva militare. Lo spettro del Libano si riaffaccia in molti ambienti israeliani. Tant'è che questa mattina

tre razzi katyusha, sono stati sparati dal Libano e sono caduti nei pressi della città di Kiryat Shmona, secondo quanto riportato dal sito web del quotidiano israeliano Haaretz, in una zona non abitata. Dalle prime informazioni non si hanno notizie di vittime o feriti. Le forze armate israeliane hanno lanciato a loro volta "quattro razzi che sono caduti a nord di Ghajar", ha detto un responsabile della sicurezza libanese. Secondo questa fonte, un gruppo sconosciuto aveva lanciato in precedenza "almeno un razzo" da "un'area situata a quattro chilometri a ovest del villaggio di Shebaa", nel sud del Libano. La popolazione locale è stata invitata a restare nei rifugi antimissile.
Si fa comunque sempre piu' grave il bilancio dell'Operazione 'Piombo Fuso', l'offensiva israeliana in corso nella Striscia di Gaza da ben diciannove giorni consecutivi: secondo fonti mediche locali, il numero dei morti accertati tra la popolazione dell'enclave palestinese, infatti, sfiora ormai le mille unita'. Per la precisione, risultano essere state uccise almeno 975 persone, circa quattrocento delle quali erano donne o bambini. I feriti palestinesi ammontano invece a 4.400. In campo israeliano le vittime restano sempre tredici dal 27 dicembre scorso, di cui solo tre erano militari.

da www.contropiano.org

martedì 13 gennaio 2009

Le Madri di Plaza de Majo contro l'invasione israeliana a Gaza

Le Madri di Plaza de Mayo hanno partecipato all'affollata mobilitazione di ieri, per ripudiare l'attacco di Israele contro il paese palestinese. Con in testa Hebe de Bonafini, Presidentessa dell'Associazione, le Madri hanno salutato ed espresso la loro solidarietà ai dirigenti arabi e palestinesi che hanno indetto la mobilitazione.
La mobilitazione si è diretta all'Ambasciata di Israele di Buenos Aires, in Avenida de Mayo y Chacabuco.
Il giorno prima, lunedì 5 gennaio, l'Associazione Madri di Plaza de Mayo ha emesso un comunicato nel quale esige il ritiro dell'Esercito israeliano dai territori palestinesi. "Le Madri di Plaza de Mayo rivendicano il diritto all'indipendenza del Paese Palestinese e ripudiano il genocidio israeliano nei territori di Gaza e Cisjordania''.
Nel testo del comunicato che porta la firma di Hebe, si legge: ''Le Madri di Plaza de Mayo non appoggiano mai nessun gruppo fanatico religioso, sia islamico, ebreo, cattolico, etc. Il fanatismo religioso è nemico dei paesi e non può essere 'rivoluzionario'. Ma la scusa della lotta contro Hamas non può giustificare il bombardamento indiscriminato della popolazione civile, le torture sistematiche, né il genocidio e l'isolamento contro il paese palestinese. Sappiamo che dietro il genocidio israeliano ci sono gli interessi nordamericani e la necessità dell'Europa e degli Stati Uniti di mantenere funzionante l'industria militarista. Si sogna che il conflitto del Medio Oriente sia il nuovo motore dell'economia capitalista mondiale...Esigiamo la sospensione del fuoco, la sospensione delle torture, il fine dei bombardamenti ed il ritiro dell'esercito israeliano dei territori palestinesi. Le madri del mondo devono unirsi per fermare il genocidio."
Asociación Madres de Plaza de Mayo
traduzione di Ilaria De Matteis

riuscito il presidio ad Ozzano (Bologna)

stamane freddo ma abbiamo resistito!!
con le giovani arabe con i loro bambini abbiamo fatto il presidio sit-in al mercato di ozzano emilia.
le donne si sono avvicendate con i loro figlioletti, alcuni italiani soprattutto donne hanno voluto parlare con noi.
tantissimi hanno letto e non hanno detto pero' nulla.
è venuto un giornalista delle testate locali ed è un buon segno.
comunque qualche scemo ci ha detto ammazziamoli tutti questi palestinesi. e qualche idiota ha chiamato i carabinieri
che comunque hanno constatato la pacificita' del nostro sit-in. è un segno comunque che anche nella piccolissima provincia parlare di palestina provoca reazioni di ogni tipo!!!
sabato replichiamo davanti alla coop dalle 10,30 alle 12.
nadia d'arco
un ponte per...

lunedì 12 gennaio 2009

Gaza e Medioriente, un'analisi della disinformazione televisiva

Sabato 17 gennaio riempiamo Roma di gente, di kefje e bandiere palestinesi. Basta con il massacro dei palestinesi a Gaza.

Report riunione nazionale Forum Palestina

Domenica 11 gennaio a Firenze si è tenuta la riunione nazionale d’urgenza per discutere sulla manifestazione nazionale “Fermare il massacro dei palestinesi a Gaza” prevista per sabato 17 gennaio a Roma. Sull’urgenza della manifestazione e della data dell’11 gennaio l’accordo è stato praticamente totale. Le adesioni crescono vertiginosamente (associazioni, sindacati, partiti, singole personalità, comunità di immigrati) così come la spinta alla mobilitazione.

Sono stati forniti i dettagli sul percorso della manifestazione (partenza ore 15.30 da Piazza Vittorio, vicino stazione Termini) e sulla conclusione del corteo si è presa la decisione di riaprire la trattativa con la Questura per concludere il corteo – significativamente – a Porta S. Paolo, luogo simbolo dell’antifascismo in modo da mandare un segnale inequivocabile a chiunque in questi giorni ha inteso o intenderà strumentalizzare le proteste contro il massacro e la nostra scelta di campo di essere al fianco del popolo palestinese.

La discussione si è concentrata sulla ipotesi avanzata dai compagni di Milano di tenere due cortei nazionali il 17 gennaio: uno a Roma e uno a Milano. Tutti gli interventi delle varie realtà presenti hanno convenuto che era meglio concentrare gli sforzi in un unico appuntamento a Roma per mandare un forte segnale politico contro il governo e la filiera istituzionale che appare a tutt’oggi pressoché omogenea nella complicità con i crimini di guerra israeliani. Significativamente sia l’unione delle comunità islamiche in Italia che l’Udap hanno indicato che si adopereranno per facilitare il massimo afflusso delle comunità di migranti e di palestinesi– la vera novità nella partecipazione delle manifestazioni di queste ultime due settimane per la Palestina - alla manifestazione di Roma ritenuta centrale ed opportuna. I compagni di Milano e Torino presenti – correttamente – hanno assunto questo orientamento e si impegneranno alla riuscita dell’appuntamento nazionale.

A questo punto occorre concentrarsi sulla partecipazione massima alla manifestazione del 17 gennaio a Roma e sulle prospettive di continuità della mobilitazione dopo la manifestazione stessa.

In modo particolare ci si attiverà per articolare anche in Italia la campagna internazionale BDS (Boicottaggio-Disinvestimento-Sanzioni) contro gli apparati economici, politici e militari israeliani.

Nella manifestazione ci sarà uno striscione apposito che darà questa indicazione. A tale scopo sarà attivato un gruppo di lavoro già nelle prossime settimane con l’obiettivo di fornire materiale, indicazioni e proposte da articolare capillarmente in tutti i territori.

L’altra questione su cui lavorare dopo la manifestazione è l’apertura dei corridoi umanitari per fare uscire i feriti da Gaza e far entrare il materiale e il personale sanitario a Gaza. In modo particolare c’è urgenza di concordare l’ospitalità nelle strutture sanitarie italiane dei feriti palestinesi colpiti dalle nuove armi sperimentate dalle truppe israeliane che presentano ferite che gli ospedali di Gaza non sono affatto in grado di curare. Su questo obiettivo è stata convocata una prima manifestazione alla Farnesina martedì 13 gennaio che ha anche l’obiettivo di denunciare la complicità del governo italiano con questo massacro.

Tra le varie questioni va rammentato che a Firenze a fine gennaio ci sarà la sentenza contro gli studenti che quattro anni fa contestarono l’ambasciatore israeliano all’Università. La mobilitazione e la partecipazione di tutti a questa scadenza deve essere sentita come propria da tutta la rete di solidarietà costruita in questi anni intorno alla questione palestinese.

Viene dunque lanciato un appello alla massima partecipazione alla manifestazione nazionale di sabato 17 gennaio a Roma. Questa manifestazione ha tutte le caratteristiche per essere un evento unitario, popolare e di massa dove tutti coloro che vogliono fermare il massacro a Gaza, che sono solidali con il popolo palestinese, che chiedono la fine dell’impunità per i crimini di guerra israeliani e si battono per una pace giusta in Medio Oriente, possono trovare il loro spazio di partecipazione.

Facciamo in modo che sabato 17 gennaio la capitale di uno stato complice dei crimini di guerra israeliani sia riempita da migliaia e migliaia di persone e di kefje e bandiere palestinesi. Mandiamo questo segnale forte e chiaro a chi sta resistendo a Gaza, in Cisgiordania, nei campi profughi palestinesi e nella stessa Israele. Organizziamo pullman, carovane di macchine, lì dove possibile i treni, carovane in bicicletta o arrivate come volete, ma sabato 17 dobbiamo riempire il cuore e le strade della capitale con la Palestina.

Un buon lavoro e un abbraccio a tutte e a tutti

Il Forum Palestina

domenica 11 gennaio 2009

SMISURATA PREGHIERA


Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie

Coltivando tranquilla
l'orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine

per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità

per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere

Fabrizio De André

http://it.youtube.com/watch?v=tNMll_7YsSE

Omaggio a FABER

dedicata a "CHI VIAGGIA IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA"

Appello dall'interno - firmato da cittadini israeliani

A sostegno dell'appello della comunità palestinese per i diritti umani per una azione internazionaleCome se l'occupazione non bastasse, la brutale repressione della popolazione palestinese in corso, la costruzione degli insediamenti e l'assedio di Gaza, ora pure il bombardamento della popolazione civile: uomini, donne, vecchi e bambini, ragazzi.
Centinaia di morti, centinaia di feriti, ospedali sovraccarichi, il deposito centrale di medicinali di Gaza bombardato. Persino l'imbarcazione Dignity del movimento Free Gaza che portava forniture mediche di emergenza e numerosi medici è stata attaccata. Israele ha ripreso apertamente a commettere crimini di guerra, peggiori di quelli che abbiamo visto in un lungo periodo di tempo.
I media israeliani non mostrano ai loro spettatori gli orrori né le voci delle dure critiche mosse contro questi crimini. La storia che viene raccontata è uniforme. Gli israeliani dissidenti vengono denunciati come traditori. L'opinione pubblica compresa quella della sinistra sionista appoggia la politica israeliana acriticamente e senza riserve.
La politica criminale distruttiva di Israele non cesserà senza un massiccio intervento da parte della comunità internazionale. Tuttavia, ad eccezione di alcune condanne ufficiali piuttosto deboli, la comunità internazionale è riluttante ad intervenire. Gli Stati Uniti appoggiano apertamente la violenza israeliana e l'Europa, nonostante qualche voce di condanna, non è disposta a prendere seriamente in considerazione il ritiro del "regalo" concesso ad Israele col potenziamento delle sue relazioni con l'Unione Europea.
In passato, il mondo ha saputo combattere le politiche criminali. Il boicottaggio del Sud Africa fu efficace, Israele invece viene trattato con guanti di velluto: le sue relazioni commerciali sono fiorenti, la cooperazione accademica e culturale continua a intensificasi con il sostegno diplomatico.Questo sostegno internazionale deve cessare. Questo è l'unico modo per fermare la insaziabile violenza israeliana.
Noi chiediamo al mondo di fermare la violenza israeliana e di non permettere il proseguimento della brutale occupazione. Rivolgiamo un appello al mondo perché condanni i crimini di Israele e non ne diventi complice.
Alla luce di quanto sopra, chiediamo al mondo di applicare l'appello delle organizzazioni per i diritti umani palestinesi che esortano:
. "Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a convocare una sessione di emergenza e ad adottare misure concrete, compresa l'imposizione di sanzioni, al fine di garantire l'adempimento da parte di Israele dei suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario.. Le Alte Parti contraenti alle Convenzioni di Ginevra per l'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 1, per garantire il rispetto delle disposizioni delle convenzioni, prendendo le opportune misure per costringere Israele a rispettare i suoi obblighi nel quadro del diritto internazionale umanitario, in particolare dando importanza fondamentale al rispetto e alla protezione dei civili dagli effetti delle ostilità.. Le Alte Parti contraenti di adempiere il loro obbligo giuridico ai sensi dell'articolo 146 della quarta Convenzione di Ginevra, a perseguire i responsabili di gravi violazioni della Convenzione.. Le istituzioni dell'UE e gli Stati membri a rendere efficace l'uso delle linee guida dell'Unione europea per favorire l'osservanza del diritto internazionale umanitario (2005 / C 327/04) al fine di garantire che Israele osservi il diritto umanitario internazionale di cui al paragrafo 16 (b), (c) e ( d) di tali orientamenti, compresa l'adozione immediata di misure restrittive e le sanzioni, così come la cessazione di tutti i rafforzamenti del dialogo con Israele."
Sottoscritto da 540 cittadini israeliani

L'opinione pubblica italiana comincia a voltare le spalle a Israele

Al superamento della soglia degli 800 morti per massacro qualcuno inizia a svegliarsi? Quante carneficine e quanto sangue sarà ancora necessario per aprire gli occhi e vedere le falsità mediatiche e politiche complici dell'assedio sul popolo palestinese e dell'ennesima strage?

Sondaggio
Italiani sempre più colpiti e coinvolti dalle vicende della guerra che ha incendiato la Striscia di Gaza. Lo certifica Renato Mannheimer, statistico e guru dei sondaggi di opinione, in un articolo sul "Corriere della Sera" di oggi che sottolinea come solo il 22% degli intervistati si dichiara più vicina agli israeliani che ai palestinesi. Lo sostengono soprattutto i maschi, i residenti al Nord e gli elettori del centrodestra. Ma le manifestazioni di simpatia per i palestinesi si collocano vicino a questi valori, toccando il 18% toccando quote molto elevate (31%) nell'elettorato di centrosinistra, nonostante la recente evoluzione in senso moderato di una parte della leadership di quest'area. Diminuisce anche significativamente la percentuale degli agnostici e aumenta quella che si dichiara "vicino ai palestinesi". Questi ultimi avrebbero raccolto consensi tra indecisi ed equidistanti, specie nell'ambito della sinistra. Tuttavia la netta maggioranza della popolazione, il 57%, continua a giudicare Hamas un movimento terrorista. In conclusione, scrive Mannheimer, pur prevalente, il carattere filo-israeliano della popolazione italiana sembra man mano erodersi a causa dei consensi che i palestinesi riescono a conquistare tra, chi solo qualche mese, fa si era dichiarato senza opinione.

Israele: boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni















di Naomi Klein - «the Nation»

È ora. Un momento che giunge dopo tanto tempo. La strategia migliore per porre fine alla sanguinosa occupazione è quella di far diventare Israele il bersaglio del tipo di movimento globale che pose fine all'apartheid in Sud Africa. Nel luglio 2005 una grande coalizione di gruppi palestinesi delineò un piano proprio per far ciò. Si appellarono alla «gente di coscienza in tutto il mondo per imporre ampi boicottaggi e attuare iniziative di pressioni economiche contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica all'epoca dell'apartheid». Nasce così la campagna “Boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni” (Boycott, Divestment and Sanctions), BDS per brevità.
Ogni giorno che Israele martella Gaza spinge più persone a convertirsi alla causa BDS, e il discorso del cessate il fuoco non ce la fa a rallentarne lo slancio. Il sostegno sta emergendo persino tra gli ebrei israeliani. Proprio mentre è in corso l'assalto, circa 500 israeliani, decine dei quali artisti e studiosi rinomati, hanno inviato una lettera agli ambasciatori stranieri di stanza in Israele. La lettera chiede «l'adozione immediata di misure restrittive e sanzioni» e richiama un chiaro parallelismo con la lotta antiapartheid. «Il boicottaggio del Sud Africa fu efficace, Israele invece viene trattato con guanti di velluto.... Questo sostegno internazionale deve cessare.» Tuttavia, molti ancora non ci riescono. Le ragioni sono complesse, emotive e comprensibili. E semplicemente non sono abbastanza buone. Le sanzioni economiche sono gli strumenti più efficaci dell'arsenale nonviolento. Arrendersi rasenta la complicità attiva. Qui di seguito le maggiori quattro obiezioni alla strategia BDS, seguita da contro-argomentazioni.
1. Le misure punitive alieneranno anziché convincere gli israeliani. Il mondo ha sperimentato quello che si chiamava “impegno costruttivo”. Ebbene, ha fallito in pieno. Dal 2006 Israele accresce costantemente la propria criminalità: l'espansione degli insediamenti, l'avvio di una scandalosa guerra contro il Libano e l'imposizione di punizioni collettive su Gaza attraverso un blocco brutale. Nonostante questa escalation, Israele non ha dovuto far fronte a misure punitive, ma anzi, al contrario: armi e 3 miliardi di dollari annui in aiuti che gli Stati Uniti inviano a Israele, tanto per cominciare. Durante questo periodo chiave, Israele ha goduto di un notevole miglioramento nelle sue relazioni diplomatiche, culturali e commerciali con moteplici altri alleati. Ad esempio, nel 2007, Israele è diventato il primo paese non latino-americano a firmare un accordo di libero scambio con il Mercosur. Nei primi nove mesi del 2008, le esportazioni israeliane verso il Canada sono aumentate del 45%. Un nuovo accordo di scambi commerciali con l'Unione europea è destinato a raddoppiare le esportazioni di Israele di preparati alimentari. E l'8 dicembre i ministri europei hanno “rafforzato” l'Accordo di Associazione UE-Israele, una ricompensa a lungo cercata da Gerusalemme. È in questo contesto che i leader israeliani hanno iniziato la loro ultima guerra: fiduciosi di non dover affrontare costi significativi. È da rimarcare il fatto che in sette giorni di commercio durante la guerra, l'indice della Borsa di Tel Aviv è salito effettivamente del 10,7 per cento. Quando le carote non funzionano, i bastoni sono necessari.
2. Israele non è il Sud Africa. Naturalmente non lo è. La rilevanza del modello sudafricano è che dimostra che tattiche BDS possono essere efficaci quando le misure più deboli (le proteste, le petizioni, pressioni di corridoio) hanno fallito. Ed infatti permangono reminiscenze dell'apartheid profondamente desolanti: documenti di odentità con codici colorati e permessi di viaggio, case rase al suolo dai bulldozer e sfollamenti forzati, strade per soli coloni. Ronnie Kasrils, eminente uomo politico sudafricano, ha detto che l'architettura della segregazione da lui vista in Cisgiordania e a Gaza nel 2007 è “infinitamente peggiore dell'apartheid”.
3. Perché mettere all'indice solo Israele, quando Stati Uniti, Gran Bretagna e altri paesi occidentali fanno le stesse cose in Iraq e in Afghanistan? Il boicottaggio non è un dogma, è una tattica. La ragione per cui la strategia BDS dovrebbe essere tentata contro Israele è pratica: in un paese così piccolo e così dipendente dal commercio potrebbe effettivamente funzionare.
4. Il boicottaggio allontana la comunicazione, c'è bisogno di più dialogo, non di meno. A questa obiezione risponderò con una mia storia personale. Per otto anni i miei libri sono stati pubblicati in Israele da una casa editrice commerciale chiamata Babel. Ma quando ho pubblicato “Shock Economy” ho voluto rispettare il boicottaggio. Su consiglio degli attivisti BDS, ho contattato un piccolo editore chiamato Andalus. Andalus è una casa editrice attivista, profondamente coinvolta nel movimento anti-occupazione ed è l'unico editore israeliano dedicato esclusivamente alla traduzione in ebraico di testi scritti in arabo. Abbiamo redatto un contratto che garantisce che tutti i proventi vadano al lavoro di Andalus, e nessuno per me. In altre parole, io sto boicottando l'economia di Israele, ma non gli israeliani.
Mettere in piedi questo programma ha comportato decine di telefonate, e-mail e messaggi istantanei, da Tel Aviv a Ramallah, a Parigi, a Toronto, a Gaza City. A mio avviso non appena si dà vita ad una strategia di boicottaggio il dialogo aumenta tremendamente. D'altronde, perché non dovrebbe? Costruire un movimento richiede infinite comunicazioni, come molti nella lotta antiapartheid ricordano bene. L'argomento secondo il quale sostenendo i boicottaggi ci taglieremo fuori l'un l'altro è particolarmente specioso data la gamma di tecnologie a basso costo alla portata delle nostre dita. Siamo sommersi dalla gamma di modi di comunicare l'uno con l'altro oltre i confini nazionali. Nessun boicottaggio ci può fermare. Proprio riguardo ad ora, parecchi orgogliosi sionisti si stanno preparando per un punto a loro favore: forse io non so che parecchi di quei giocattoli molto high-tech provengono da parchi di ricerca israeliani, leader mondiali nell'Infotech? Abbastanza vero, ma mica tutti. Alcuni giorni dopo l'assalto di Israele a Gaza, Richard Ramsey, direttore di una società britannica di telecomunicazioni, ha inviato una e-mail alla ditta israeliana di tecnologia MobileMax. «A causa dell'azione del governo israeliano degli ultimi giorni non saremo più in grado di prendere in considerazione fare affari con voi né con qualsiasi altra società israeliana.» Quando è stato interpellato da The Nation, Ramsey ha affermato che la sua decisione non è stata politica. «Non possiamo permetterci di perdere neppure uno dei nostri clienti: è stata pura logica difensiva commerciale.» È stato questo tipo di freddo calcolo che ha portato molte aziende a tirarsi fuori dal Sud Africa due decenni fa. Ed è proprio questo tipo di calcolo la nostra più realistica speranza di portare giustizia, così a lungo negata, alla Palestina.


Traduzione di Manlio Caciopo per Megachip


Altri riferimenti:

sabato 10 gennaio 2009

GUERRA UMANITARIA - Ascolta, ascolta Israele!

di Stefano Sarfati Nahmad*
Hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi. Non so pensare a nulla di più infame. A distanza di una generazione in nome di ciò che hai subito, hai fatto lo stesso ad altri: li hai chiusi ermeticamente in un territorio, e hai iniziato ad ammazzarli con le armi più sofisticate, carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di notte il cielo come se fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti palestinesi e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una sconfitta per te e per l'umanità intera.
Ascolta Israele!
Io non rinnego la mia storia, la storia della mia famiglia, che è passata dalla Shoah. Però rinnego te, lo Stato di Israele, perché hai creduto di poter far valere il credito della Shoah per liberarti del popolo palestinese e occupare la sua terra. Ma non è così che vanno le cose, non è così la vita. Il popolo di Israele deve vivere di vita propria e non vivere della morte altrui.
Ascolta Israele!
Io non rinnego la mia storia, la storia della mia famiglia che è passata dalla Shoah, ma io oggi sono palestinese. Io sto dalla parte del popolo palestinese e della sua eroica resistenza. Io sto con l'eroica resistenza delle donne palestinesi che hanno continuato fare bambine e bambini palestinesi nei campi profughi, nei villaggi tagliati a metà dai muri che tu hai costruito, nei villaggi a cui hai sradicato gli ulivi, rubato la terra. Sto con le migliaia di palestinesi chiusi nelle tue prigioni per aver fatto resistenza al tuo piano di annessione.
Ascolta Israele!
Non ci sarà Israele senza Palestina ma potrà esserci Palestina senza Israele, perché il tuo credito, ormai completamente prosciugato dalla tua folle e suicida politica, non era nei confronti del popolo palestinese che contro di te non aveva alzato un dito, ma era nei confronti del popolo tedesco, italiano, polacco, francese, ungherese e in generale europeo; ed è colpevole la sua inazione.
Asolta Israele, ascolta questi nomi: Deir Yassin, Tel al-Zaatar, Sabra e Chatila, Gaza. Sono alcuni nomi, iscritti nella Storia, che verranno fuori ogni qualvolta si vedrà alla voce: Israele.
da Il Manifesto del 9/01/2009
*Ebrei contro l'Occupazione (http://www.rete-eco.it/)

Gaza, Perché odiano tanto l’Occidente, ci domanderemo?

di Robert Fisk *
E così Israele ha nuovamente aperto le porte dell’inferno per i palestinesi: morti 40 civili che si erano rifugiati dentro una scuola delle Nazioni Unite, altri tre in un’altra. Non male per una notte di lavoro da parte dell’esercito che crede nella "purezza delle armi". Ma perché dovremmo essere sorpresi?
Abbiamo dimenticato i 17.500 morti – quasi tutti civili, la maggior parte dei quali donne e bambini – dell’invasione israeliana del Libano nel 1982; i 1.700 civili palestinesi morti nel massacro di Sabra e Shatila; il massacro di 106 civili libanesi che si erano rifugiati in una base dell’Onu – più della metà bambini - a Qana nel 1996; quello dei rifugiati di Marwahin – ai quali gli israeliani avevano ordinato di lasciare le proprie case nel 2006 – e che sono poi stati massacrati dall’equipaggio di un elicottero israeliano; i 1.000 morti di quegli stessi bombardamenti e dell’invasione del Libano nel 2006, quasi tutti civili?
Quello che è incredibile è che così tanti leader occidentali, così tanti presidenti e primi ministri, e. temo, così tanti direttori di giornali e giornalisti, si siano bevuti la vecchia menzogna: che gli israeliani fanno molta attenzione per evitare le vittime civili. "Israele fa ogni sforzo possibile per evitare le vittime civili", aveva detto l’ennesimo ambasciatore israeliano solo poche ore prima del massacro di Gaza. E tutti i presidenti e i Primi ministri che hanno ripetuto questa menzogna come pretesto per evitare un cessate il fuoco hanno le mani sporche del sangue della macelleria di ieri notte. Se George Bush avesse avuto il coraggio di esigere un cessate il fuoco immediato 48 ore prima, quei 40 civili - le donne, i bambini, e i vecchi - sarebbero vivi.
Quello che è successo non è solo vergognoso. E’ stata una indecenza. Crimine di guerra sarebbe un termine troppo forte? Perché è così che definiremmo questa atrocità se a commetterla fosse stato Hamas. Quindi temo che si sia trattato di un crimine di guerra. Dopo aver visto così tanti omicidi di massa da parte degli eserciti del Medio Oriente – dei soldati siriani, di quelli iracheni, di quelli iraniani, di quelli israeliani – suppongo che dovrei reagire in modo cinico. Ma Israele sostiene di stare combattendo la nostra guerra contro il "terrorismo internazionale". Gli israeliani affermano che a Gaza stanno combattendo per noi, per i nostri ideali occidentali, per la nostra sicurezza, per la nostra incolumità, secondo i nostri standard. E quindi anche noi siamo complici della barbarie che adesso si abbatte su Gaza.
Ho riferito i pretesti che l’esercito israeliano ha servito in passato per questi scandali. Dal momento che potrebbero benissimo essere tirati fuori di nuovo nelle prossime ore, eccone alcuni: che sono stati gli stessi palestinesi a uccidere i loro rifugiati, che i palestinesi hanno riesumato i corpi dai cimiteri e li hanno collocati fra le rovine, che in definitiva la colpa è dei palestinesi perché hanno dato il proprio sostegno a una fazione armata, o perché alcuni palestinesi armati hanno intenzionalmente usato i rifugiati innocenti come copertura.
Il massacro di Sabra e Shatila fu commesso dai Falangisti della destra libanese alleati di Israele, mentre i soldati israeliani, come ha rivelato la stessa commissione di inchiesta israeliana, rimasero a guardare per 48 ore senza far nulla. Quando venne attribuita la responsabilità a Israele, il governo di Menachem Begin accusò il mondo di “oltraggio del sangue” [blood libel – il termine originale inglese – indica l’accusa rivolta agli ebrei di commettere omicidi per utilizzare il sanguer delle vittime a scopo rituale NdT] . Dopo che l’artiglieria israeliana aveva sparato colpi di mortaio all’interno della base Onu di Qana nel 1996, gli israeliani affermarono che nella base si erano rifugiati anche combattenti di Hezbollah. Era una menzogna. Gli oltre 1.000 morti del 2006 – una guerra iniziata quando Hezbollah aveva catturato due soldati israeliani sul confine – vennero liquidati semplicemente come responsabilità di Hezbollah. Israele sostenne che i corpi dei bambini uccisi in un secondo massacro a Qana potevano essere stati presi da un cimitero. Era un’altra menzogna. Per il massacro di Marwahin non venne mai fornito alcun pretesto. Alla gente del villaggio era stato ordinato di andar via: obbedirono agli ordini israeliani, e poi vennero attaccati da un elicottero da combattimento israeliano. I rifugiati avevano preso i loro bambini e li avevano fatti stare in piedi attorno al camion sul quale stavano viaggiando in modo che i piloti israeliani vedessero che erano innocenti. L’elicottero israeliano li falciò a distanza ravvicinata. Sopravvissero solo in due, fingendosi morti. Israele non presentò neppure le scuse.
Dodici anni prima, un altro elicottero israeliano aveva attaccato una ambulanza che stava trasportando dei civili da un vicino villaggio – ancora una volta dopo che Israele aveva ordinato loro di andar via – uccidendo due donne e tre bambini. Gli israeliani sostennero che nell’ambulanza c’era un combattente di Hezbollah. Non era vero. Ho seguito tutte queste atrocità, ho indagato su tutte, ho parlato con i sopravvissuti. E così hanno fatto alcuni miei colleghi. Naturalmente, ci è toccata la più calunniosa delle diffamazioni: siamo stati accusati di essere antisemiti.
E ora scrivo ciò che segue senza il minimo dubbio: sentiremo nuovamente queste fabbricazioni scandalose. Avremo la menzogna “la colpa è di Hamas” – sa il cielo, di colpe ne hanno abbastanza senza dover aggiungere questo crimine – e potremo benissimo avere la menzogna dei corpi riesumati dal cimitero, e quasi certamente avremo quella “nella scuola delle Nazioni Unite c’era gente di Hamas”, e avremo certamente la menzogna dell’antisemitismo. E i nostri leader faranno grandi dichiarazioni, e ricorderanno al mondo che è stato Hamas a rompere per primo il coprifuoco. Non è vero: lo ha fatto Israele - prima il 4 novembre, quando un suo bombardamento ha ucciso sei palestinesi a Gaza, e di nuovo il 17 novembre, quando un altro bombardamento ne ha uccisi altri quattro.
Sì, gli israeliani meritano la sicurezza. Venti israeliani morti in 10 anni attorno a Gaza sono in effetti una triste cifra. Ma 600 palestinesi morti in poco più di una settimana, migliaia negli anni dopo il 1948 – quando il massacro israeliano di Deir Yassin contribuì a mettere in moto la fuga dei palestinesi da quella parte della Palestina che sarebbe diventata Israele – sono su una scala del tutto diversa. Che ricorda non un normale bagno di sangue in Medio Oriente, ma una atrocità a livello delle guerre dei Balcani degli anni ‘90. E, naturalmente, quando un arabo inizierà a non potere più frenare la sua ira, e rivolgerà la propria collera incendiaria e cieca contro l’Occidente, diremo che questo non ha nulla a che vedere con noi. Perché ci odiano, ci domanderemo? Non diciamo però di non conoscere la risposta.

da The Independent, 7 gennaio 2009

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)

È bello e terapeutico contraffare la Storia

di Mariuccia Ciotta
UN DOCUMENTARIO A CARTONI ANIMATI
VALZER CON BASHIR DI ARI FOLMAN. DOCUMENTARIO D'ANIMAZIONE. ISRAELE 2008
Sulla Croisette, in gara, era iniziata la lunga vita felice di questo documentario-cartoon sul massacro di Sabra e Chatila, diretto dall'israeliano Ari Folman, militare diciannovenne in quel settembre 1982 a Beirut. Più di 25 anni dopo, la strage continua, e il film conquista premi e allori crescenti... Non è un incubo di Ari Folman, che tormentato dai fantasmi della mente decide di esplorare il suo passato alla ricerca della verità e dei suoi dettagli. Ma è la realtà d'oggi. Alla ricerca di un'assoluzione per aver partecipato alla «cosa peggiore che può succedere a un essere umano», il massacro di donne, bambini anziani - 700 secondo stime ufficiali, 3.500 secondo il giornalista israeliano Kapeliouk - Folman sembra dimenticare il presente. Non «vede» quel che è davanti ai suoi occhi, come direbbe Saramago. Forma espressiva inconsueta, il cartone animato, per raccogliere le testimonianze dei commilitoni, anche loro piuttosto smemorati, disegnati in caricature essenziali (Yoni Goodman) con nome cognome e voce. Senza immagini di archivio, dice il regista, era impossibile documentare la guerra «così irreale» vista attraverso ricordi svaporati. Un po' come Persepolis autobiografia d'inchiostro e carboncino. Ma qui la novità sta nell'ambizione di Folman di documentare un fatto storico che va al di là dell'esperienza personale. L'ex soldato israeliano regista (Made in Israel, 2001, film sulle tracce dell'ultimo nazista vivente) dichiara di aver progettato il film come terapia, durata 4 anni, per uscire dal suo rimosso, lo stress post-traumatico che colpisce molti militari, afflitti da incubi e deliri, come l'amico Baaz, primo testimone che racconta il sogno ricorrente dove 26 cani inferociti lo inseguono. Li uccise, quei ventisei cani che abbaiavano troppo, perché davano l'allarme ai villaggi palestinesi presi d'assalto dall'esercito israeliano. Da lì si inanellano le «interviste» ai compagni di allora, giovanissimi, impauriti su carri armati sputafuoco all'impazzata, impreparati a trovarsi in mezzo al sangue, macellati e macellai di ragazzini e di intere famiglie, che per caso si trovavano sulla traiettoria delle loro mitraglie. Folman non è indulgente nel descrivere la guerra «insensata e inutile», e l'invasione del Libano «che non portò a niente». Il suo è un percorso sofferto che dice l'abbrutimento degli uomini in divisa, inebetiti e incoscienti, teen-ager catapultati in mezzo alle pallottole dei cecchini. Danzando il «valzer con Bashir» sotto una pioggia di piombo. Bashir è Gemayel, presidente del Libano, assassinato alla vigilia del massacro di Sabra e Chatila. Ma ecco che Folman passa dal rimorso alla contraffazione della Storia. I ricordi sono pieni di buchi neri, mancano caselle, il filo del racconto si strappa e per uscire dal trauma Folman ci mostra figurine astratte, controluce su un mare in fiamme, attonite di fronte all'evento che accade oltre il loro sguardo e per colpa esclusiva di qualcun altro. «Le milizie falangiste cristiane sono totalmente responsabili del massacro. I militari israeliani non erano al comando», sostiene. L'ex giovane soldato Ari Folman può finalmente tirare un sospiro di sollievo, non ha ucciso civili inermi. In quanto ad Ariel Sharon, allora ministro della difesa, se c'era dormiva. Lo svegliò, come mostra il film, una telefonata inquieta di un fotoreporter che gli chiede se è a conoscenza di quel che accade nei campi. Sharon dal suo letto d'albergo risponde placido: grazie dell'informazione. Punto. Folman avanza il sospetto che Sharon sapesse e che non fece nulla per fermare la mattanza. Gli servirà un altro film per raccontare il flash-back. Per esempio, che Sharon, dopo l'offensiva in Libano e i 18.000 morti quasi tutti civili, e la partenza di 14 mila militanti armati dell'Olp per sempre dal Libano e l'assicurazione americana che i campi profughi sarebbero stati protetti, annunciò che 2.000 terroristi erano ancora stipati a Beirut Ovest e si accordò sfacciatamente con i falangisti, assetati di vendetta dopo l'assassinio di Gemayel, per ripulire Sabra e Chatila. Fu lui a dirigere personalmente l'operazione dal tetto dell'ambasciata del Kuwait affacciato su Chatila, a dare l'ok ai miliziani di entrare nei campi, a felicitarsi per il risultato, a ordinare all'esercito israeliano di circondare i campi e impedire la fuga dei palestinesi. Le accuse lo costrinsero poi alle dimissioni. Una bambina disegnata come un angelo dormiente tra le macerie visualizza la carneficina che sfuma nelle immagini di repertorio girate subito dopo (e perché non rivediamo quelle insostenibili di Jean Chamoun e Pino Adriano?). Un effetto oscenamente invedibile, corpi squarciati, gonfi e accartocciati tra i tratti di matita del cartoon. Ari Folman probabilmente non ha partecipato alla «pulizia» dei campi, ma non potrà dormire sonni tranquilli e con lui i suoi amici di mitra. Mancano 40 ore al suo film, quelle di un genocidio che non è ancora finito.
Il Manifesto 9/01/2009

La furia sacrificale di Israele e le sue vittime a Gaza

di Ilan Pappe (storico israeliano, http://ilanpappe.com/)
La mia visita di ritorno a casa in Galilea è coincisa con l’attacco genocida israeliano contro Gaza. Lo stato, attraverso i suoi media e con l’aiuto del mondo accademico, ha diffuso una voce unanime – persino più forte di quella udita durante l’attacco criminale contro il Libano nell’estate del 2006. Israele è ancora una volta divorata da una furia sacrificale che traduce in politiche distruttive nella Striscia di Gaza. Questa auto-giustificazione spaventosa per l’inumanità e l’impunità non è soltanto sconcertante, ma è un argomento sul quale soffermarsi se si vuole comprendere l’immunità internazionale per il massacro che infuria a Gaza.

E’ anzitutto fondata su bugie pure e semplici trasmesse con una neolingua che ricorda i giorni più bui dell’Europa del 1930. Ogni mezz’ora un bollettino d’informazioni su radio e televisione descrive le vittime di Gaza come terroristi e le uccisioni di centinaia di persone come un atto di autodifesa. Israele presenta sé stessa al suo popolo come la vittima sacrificale che si difende contro un grande demonio. Il mondo accademico è reclutato per spiegare quanto demoniaca e mostruosa è la lotta palestinese, se è condotta da Hamas. Questi sono gli stessi studiosi che demonizzarono l’ultimo leader palestinese Yasser Arafat nel primo periodo e delegittimarono il suo movimento Fatah durante la seconda intifada palestinese.

Ma le bugie e le rappresentazioni distorte non sono la parte peggiore di tutto questo. Quello che indigna di più è l’attacco diretto alle ultime tracce di umanità e dignità del popolo palestinese. I palestinesi di Israele hanno mostrato la loro solidarietà con il popolo di Gaza e ora sono bollati come una quinta colonna nello stato ebraico; il loro diritto a restare nella loro patria viene rimesso in dubbio data la loro mancanza di sostegno all’aggressione israeliana. Coloro che hanno accettato - sbagliando, secondo la mia opinione, di apparire nei media locali sono interrogati e non intervistati, come se fossero detenuti nelle prigioni dello Shin Bet. La loro apparizione è preceduta e seguita da umilianti rilievi razzisti e sono sottoposti all’accusa di essere una quinta colonna, un popolo fanatico e irrazionale. E ancora questa non è la pratica più vile. Ci sono alcuni bambini palestinesi dei Territori Occupati curati per cancro negli ospedali israeliani. Dio sa quale prezzo devono pagare le loro famiglie per poterli ricoverare. La radio israeliana va ogni giorno negli ospedali per chiedere ai poveri genitori di dire agli ascoltatori israeliani quanto è nel suo diritto Israele nel suo attacco e quanto demoniaco sia Hamas nella sua difesa.

Non ci sono confini all’ipocrisia che una furia sacrificale produce. I discorsi dei generali e dei politici si muovono in modo erratico tra gli autocompiacimenti da un lato sull’umanità che l’esercito mostra nelle sue operazioni “chirurgiche” e dall’altro sulla necessità di distruggere Gaza una volta per tutte, naturalmente in un modo umano.

Questa furia sacrificale è un fenomeno costante nella espropriazione israeliana, e prima ancora sionista, della Palestina. Ogni azione, sia essa la pulizia etnica, l’occupazione, il massacro o la distruzione è stata sempre rappresentata come moralmente giusta e come semplice atto di autodifesa commesso da Israele suo malgrado nella guerra contro la peggior specie di esseri umani. Nel suo eccellente volume “I risultati del sionismo: miti, politiche e cultura in Israele”, Gabi Piterberg esamina le origini ideologiche e la progressione storica di questa furia. sacrificale. Oggi in Israele, dalla destra alla sinistra, dal Likud a Kadima, dall’accademia ai media, si può ascoltare questa furia sacrificale di uno stato che è molto più indaffarato di qualsiasi altro stato al mondo nel distruggere e nell’espropriare una popolazione nativa.

E’ molto importante esaminare le origini ideologiche di questo modo di comportarsi e derivare, dalla sua larga diffusione, le conclusioni politiche necessarie.
Questa furia sacrificale costituisce uno scudo per la società e per i politici in Israele da ogni biasimo o critica esterna. Ma ancora peggio, si traduce sempre in politiche di distruzione contro i palestinesi. Senza nessun meccanismo interno di critica e senza nessuna pressione esterna, ogni palestinese diventa un obiettivo potenziale di questa furia. Data la potenza di fuoco dello stato ebraico può soltanto finire in più massicce uccisioni, massacri e pulizia etnica.
La assenza di una qualsiasi moralità è un potente atto di auto-negazione e di giustificazione. Ciò spiega perché la società israeliana non può essere modificata da parole di saggezza, di persuasione logica o di dialogo diplomatico. E se non si vuole usare la violenza come mezzo di opposizione, c’è soltanto un modo per andare avanti: sfidare frontalmente questa assenza di moralità come una ideologia diabolica tesa a nascondere atrocità umane. Un altro nome per questa ideologia è Sionismo e l’unico modo di contrastare questa assenza di moralità è il biasimo a livello internazionale del sionismo, non solo di particolari politiche israeliane. Dobbiamo cercare di spiegare non solo al mondo, ma anche agli stessi israeliani che il sionismo è un’ideologia che comporta la pulizia etnica, l’occupazione e ora massicci massacri. Ciò che occorre ora non è tanto una condanna del presente massacro. ma anche la delegittimazione dell’ideologia che ha prodotto tale politica e la giustifica moralmente e politicamente. Speriamo che importanti voci nel mondo possano dire allo stato ebraico che questa ideologia e il comportamento complessivo dello stato sono intollerabili e inaccettabili e che, sino a quando persisteranno, Israele sarà boicottato e soggetto a sanzioni.
Ma non sono ingenuo. So che anche il massacro di centinaia di innocenti palestinesi non sarà sufficiente per produrre questa modificazione nella pubblica opinione occidentale; è anche più improbabile che i crimini commessi a Gaza muovano i governo europei a mutare la loro politica nei confronti della Palestina.
Ma noi non possiamo permettere che il 2009 sia un altro anno, meno significativo del 2008, l’anno di commemorazione della Nakba, che non sia riuscito a realizzare le grandi speranze che noi tutti avevamo, per la sua potenzialità, di trasformare il comportamento del mondo occidentale verso la Palestina e i palestinesi.
Pare che persino il più orrendo dei crimini, come il genocidio a Gaza, sia trattato come un evento separato, non connesso con nulla di ciò che è già avvenuto nel passato e non associato ad una ideologia o a un sistema. In questo nuovo anno, noi dobbiamo tentare di riposizionare l’opinione pubblica nei confronti della storia della Palestina e dei mali dell’ideologia sionista come i mezzi migliori sia per spiegare le operazioni genocide come quella in corso a Gaza sia per prevenire cose peggiori nel futuro.
Questo è già stato fatto, a livello accademico. La nostra sfida maggiore è quella di trovare un modo efficace di spiegare le connessioni tra l’ideologia sionista e le politiche di distruzione del passato con la crisi presente. Può essere più facile farlo mentre, in queste terribili circostanze, l’attenzione mondiale è diretta ancora una volta verso la Palestina. Potrebbe essere ancora più difficile quando la situazione sembra essere “più calma” e meno drammatica. Nei momenti “di quiete”, l’attenzione di breve durata dei media occidentali metterebbe ai margini ancora una volta la tragedia palestinese e la dimenticherebbe sia per gli orribili genocidi in Africa o per la crisi economica e per gli scenari ecologici apocalittici nel resto del mondo. Mentre i media occidentali non sembrano molto interessati alla dimensione storica, soltanto attraverso una valutazione storica si può mostrare la dimensione dei crimini commessi contro i palestinesi nei sessanta anni trascorsi. Perciò il ruolo degli studiosi attivisti e dei media alternativi sta proprio nell’insistere su questi contesti storici. Questi attori non dovrebbero smettere di educare l’opinione pubblica e, si spera, di influenzare qualche politico più onesto a guardare ai fatti in una prospettiva storica più ampia.
Allo stesso modo, noi possiamo essere in grado di trovare un modo più adeguato alla gente comune, distinto dal livello accademico degli intellettuali, per spiegare chiaramente che la politica di Israele - nei sessanta anni trascorsi - deriva da un’ideologia egemonica razzista chiamata sionismo, difesa da infiniti strati di furia sacrificale. Nonostante l’accusa scontata di antisemitismo e cose del genere, è tempo di mettere in relazione nell’opinione pubblica l’ideologia sionista con il punto di riferimento storico e ormai familiare della terra: la pulizia etnica del 1948, l’oppressione dei palestinesi in Israele durante i giorni del governo militare, la brutale occupazione della Cisgiordania e ora il massacro di Gaza. Come l’ideologia dell’apartheid ha spiegato benissimo le politiche di oppressione del governo del Sud-Africa, questa ideologia – nella sua variante più semplicistica e riflessa, ha permesso a tutti i governi israeliani, nel passato e nel presente, di disumanizzare i palestinesi ovunque essi fossero e di combattere per distruggerli. I mezzi sono mutati da un periodo all’altro, da un luogo all’altro, come ha fatto la narrazione che ha nascosto queste atrocità. Ma c’è un disegno chiaro che non può essere solo fatto oggetto di discussione nelle torri d’avorio accademiche, ma deve diventare parte del discorso politico nella realtà contemporanea della Palestina di oggi.
Alcuni di noi, in particolare quelli che si dedicano alla giustizia e alla pace in Palestina, inconsciamente evitano questo dibattito, concentrandosi, e questo è comprensibile, sui Territori Palestinesi Occupati (OPT) - la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Lottare contro le politiche criminali è una missione urgente. Ma questo non dovrebbe trasmettere il messaggio che le potenze occidentali hanno adottato volentieri su suggerimento israeliano, che la Palestina è soltanto la Cisgiordania e la Striscia di Gaza e che i palestinesi sono solo la popolazione che vive in quei territori. Dovremmo estendere la rappresentazione della Palestina geograficamente e demograficamente raccontando la narrazione storica dei fatti dal 1948 in poi e richiedere diritti civili e umani eguali per tutte le persone che vivono, o che erano abituati a vivere, in quella che oggi è Israele e i Territori Occupati.
Ponendo in relazione l’ideologia sionista e le politiche del passato con le atrocità del presente, noi saremo in grado di dare una spiegazione chiara e logica per la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Sfidare con mezzi non violenti uno stato ideologico che si autogiustifica moralmente, che si permette, con l’aiuto di un mondo silenzioso, di espropriare e distruggere la popolazione nativa di Palestina, è una causa giusta e morale. E’ anche un modo efficace di stimolare l’opinione pubblica non soltanto contro le attuali politiche genocidarie a Gaza, ma, si spera, anche a prevenire future atrocità. Ancora più importante di ogni altra cosa ciò dovrebbe far sfiatare la furia sacrificale che soffoca i palestinesi ogni volta che si gonfia. Ciò aiuterà a porre fine alla immunità dell’occidente a fronte dell’impunità di Israele. Senza questa immunità, si spera che sempre più la gente in Israele cominci a vedere la natura reale dei crimini commessi in loro nome e la loro furia potrebbe essere diretta contro coloro che hanno intrappolato loro e i palestinesi in questo ciclo non necessario di massacri e violenza.

Ilan Pappe insegna nel Dipartimento di storia nell’Università di Exeter.
The Electronic Intifada, 2 gennaio 2009
(traduzione a cura di ISM-Italia, 8 gen 2009; ndt: abbiamo tradotto righteous fury in furia sacrificale al posto della traduzione letterale furia giusta o furia santa o furia giustificabile)
blogmasters g.40, gino pino, Ter