“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

domenica 12 ottobre 2008

Palestina: imparare dal Sudafrica

di Savera Kalideen e Haidar Eid *

Il valore strategico della solidarietà internazionale con il popolo palestinese di Gaza e Cisgiordania, con i rifugiati della diaspora e con i palestinesi che vivono in Israele fa sorgere alcune domande fondamentali. Le più immediate ed urgenti sono: di quale natura dovrebbe essere la solidarietà internazionale e come potrebbe migliorare il sostegno alla lotta palestinese per l’autodeterminazione? La solidarietà internazionale deve innanzi tutto affrontare i modi in cui il sionismo colonialista ha perseguito e continua a perseguire la politica di bantustinazzione [tipica] del Sudafrica dell’apartheid. È anche imperativo trattare i gravi danni che gli Accordi di Oslo hanno causato alla lotta palestinese, dato il grado di confusione che questi hanno creato nell’arena internazionale.Un’analisi storica dell’attuale pantano palestinese non può separare l’apartheid ed il sionismo dal colonialismo. Come argomenta in modo molto persuasivo Samir Amin nel suo [libro] Unequal Development [Sviluppo disuguale], nel Sudafrica del XIX secolo, il capitalismo ed i colonialisti espropriarono le comunità rurali africane della terra che soddisfava i bisogni di una parte consistente del proletariato, per sfruttare l’enorme ricchezza mineraria del paese. La popolazione originaria fu relegata in zone aride e non ebbe altra possibilità che trasformarsi in manodopera a basso costo per le miniere e le fattorie europee e, successivamente, per la nascente industria sudafricana. L’esproprio iniziale trasformò lentamente una società vitale e dinamica in mera manodopera di riserva, con una perdita graduale della sua indipendenza e portò, in ultima istanza, alla creazione dell’apartheid e dei Bantustan. Tuttavia, questo processo ricevette opposizione: durante l'esproprio e la conversione del Sudafrica in un paradiso della supremazia razziale, la comunità internazionale fu mobilitata dalla lotta interna sudafricana e da una campagna di difesa coordinata dai sudafricani per protestare contro la flagrante creazione di una manodopera in eccesso e contro l’inumano e razzista sfruttamento dei neri sudafricani. Oggi è il razzista stato israeliano ad esser condannato di spogliazione della popolazione originaria, di adottare contro di essa una politica genocida e, più di recente, perfino di minacciare un “olocausto” nella Striscia di Gaza. Nel corso degli anni, sudafricani come l’arcivescovo Tutu, Blade Nzimande e John Dugard hanno accusato Israele di essere peggiore dello stato dell’apartheid. Questi sudafricani che vissero la segregazione razziale individuano alcune pratiche che rendono l’apartheid israeliana qualitativamente peggiore dell’apartheid sudafricana, come l’uso di caccia F-16 e di elicotteri per colpire civili indifesi, la demolizione delle case, la detenzione delle famiglie di chi è sospettato di essere “militante” .Similitudini tra i due stati dell’apartheid si riscontrano nelle politiche sulla cittadinanza, nell'uso della detenzione senza processo e nelle leggi che limitano la libertà di movimento e il diritto a vivere nella propria casa con la propria famiglia. Così come la segregazione razziale sudafricana concedeva la cittadinanza ai sudafricani bianchi e relegava i neri in “homelands, terre indipendenti” (cioè i Bantustans), il sionismo concede a tutti gli ebrei il diritto alla cittadinanza nello Stato d’Israele e nega la cittadinanza ai palestinesi, che sono gli abitanti originari di questa terra. Mentre l’apartheid sudafricana utilizzava la razza per determinare la cittadinanza, lo Stato d’Israele utilizza l’identità religiosa. Così come in Sudafrica vennero emanate leggi che criminalizzavano la libertà di movimento dei neri nella loro terra di origine, Israele utilizza infrastrutture d’occupazione militare atte alla segrazione: i checkpoint, gli insediamenti e le strade per i soli ebrei, il muro, oltre a una miriade di norme che governano la vita quotidiana palestinese e che sono progettate specificatamente per restringere le libertà personali di vita e lavoro.Dal 1967, Israele ha imprigionato un quarto della popolazione maschile palestinese ed oggi nelle sue prigioni sono detenuti in più di 11.000, migliaia dei quali non hanno assistenza legale. Molte di queste persone incarcerate hanno trascorso anni in prigione per “crimini” come l’entrare illegalmente in Israele. Migliaia di famiglie palestinesi vivono sotto la minaccia di una separazione forzata o sono già separate perché non hanno i permessi necessari per vivere insieme, permessi che Israele si rifiuta di rilasciare dal 2000. Queste politiche colpiscono il cuore della vita familiare, poiché i palestinesi sono obbligati a chiedere ad Israele i permessi di riunificazione familiare se vogliono vivere insieme.Durante gli anni dell’apartheid, il Sudafrica fu sottoposto alla pressione della comunità internazionale e di organizzazioni multilaterali come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che approvò innumerabili risoluzioni contro quel paese a causa del trattamento inumano verso i neri. Questo portò un aiuto indispensabile agli oppressi, mentre oggi ai palestinesi è negata perfino questa minima consolazione, poiché gli Stati Uniti continuano ad utilizzare il loro diritto di veto per assicurarsi che Israele sfugga alla censura dalla comunità mondiale.Per decenni, la solidarietà internazionale col popolo palestinese ha svolto un ruolo estremamente importante, benché dialettico, nell’incrementare la lotta. Esiste un’indubbia relazione proporzionale tra le differenti forme di lotta nei territori occupati e l’attenzione e la solidarietà internazionali che questa è capace di suscitare. E' inquietante come sia fermamente radicata nella società civile internazionale la credenza che, in sostanza, la lotta palestinese si sia risolta, nonostante negli ultimi quindici anni Israele abbia rifiutato ciascuno dei compromessi indicati negli Accordi di Oslo, e nonostante gli otto anni trascorsi dall’inizio della seconda Intifada palestinese, tutt'ora in atto. Da qui l’urgenza di una campagna di solidarietà internazionale che denunci con piena chiarezza le similitudini tra apartheid e sionismo, così come tra le esperienze comuni dei palestinesi di oggi, in quanto popolo diseredato, e i neri sudafricani sotto l’apartheid.Tutti siamo stati testimoni di come la comunità internazionale negò legittimità ai risultati delle elezioni del 2006 in Palestina, e di come il popolo palestinese sia stato punito collettivamente per la temerarietà nello scegliere i propri dirigenti. I sudafricani dovettero aspettare 27 anni prima che i dirigenti ed il partito politico che avevano scelto per governarli, fossero messi in libertà . Durante tutti quegli anni respinsero ogni falso dirigente che fu loro imposto, anche quando questi quisling [collaborazionisti] erano celebrati da personaggi del calibro di Margaret Thatcher e Ronald Reagan. In una data tanto recente come il 1987, la Thatcher era sufficientemente sicura per affermare che “Nelson Mandela non sarà mai presidente del Sudafrica.”Come il governo Thatcher, altri governi del mondo furono obbligati ad isolare lo stato dell’apartheid sudafricano. Non l’avrebbero fatto se non fosse stato per la pressione dei propri popoli. Israele deve essere isolato esattamente come lo fu il Sudafrica dell’apartheid. Oggi esiste una crescente lotta di massa all’interno della Palestina, come anche altre forme di lotta, esattamente come nel Sudafrica della segregazione razziale. Il rafforzamento del movimento di solidarietà internazionale con un’agenda comune farebbe risuonare la lotta palestinese in tutti i paesi del mondo. Di conseguenza il mondo stesso si chiuderebbe agli israeliani fino a quando essi non lo aprissero ai palestinesi.
*Savera Kalideen è un’ attivista sudafricana; Haidar Eid appartiene alla Campagna di boicottaggio per il disinvestimento e le sanzioni (BDS) ed è attivista per uno Stato unico in Palestina.
Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

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