“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

mercoledì 30 dicembre 2009

per tutte le news su Gaza Freedom March

per tutte le info aggiornate: www.forumpalestina.org

Rifiutato l'ultimatum delle autorità egiziane.
La Gaza Freedom March non rinuncia ai propri obiettivi

La Gaza Freedom March sta affrontando una sfida politica sul campo molto difficile. Per questo riteniamo che gli attivisti bloccati dalle autorità egiziane abbiamo in questo momento bisogno di tutto il nostro sostegno. A tale scopo è stata convocata una manifestazione giovedi 31 dicembre alle ore 16.00 davanti all’Ambasciata dell’Egitto a Roma in via Salaria 267. Una manifestazione analoga si terrà anche a Parigi.

La situazione sul campo è ancora molto difficile con le delegazioni bloccate al Cairo e il governo egiziano che ha lanciato “una polpetta avvelenata” sul percorso della Gaza Freedom March, ponendo un ultimatum per ieri sera per una delegazione ristretta e di carattere umanitario a cui sarebbe consentito l’ingresso a Gaza. Questa proposta era emersa anche nei colloqui che abbiamo avuto ieri pomeriggio alla Farnesina, segno evidente che era il punto su cui si erano attestate le autorità egiziane e le diplomazie dell’Unione Europea.

Questa proposta è stata oggetto di una discussione amplia e tumultuosa conclusasi in alcuni casi alle 2.00 di notte e che ha visto le delegazioni – inclusa quella italiana – rifiutare l’ultimatum. Purtroppo gli articoli comparsi questa mattina su Il Manifesto e Liberazione sono andati in stampa prima che la discussione giungesse alla conclusione di respingere la “polpetta avvelenata” lanciata dalle autorità egiziane. Ciò ha creato in Italia un po’ di confusione che ci vediamo costretti e rettificare con urgenza.

Questa mattina i pullman messi a disposizione dalle autorità egiziane sono stati “disertati” dagli attivisti della Gaza Freedom March che hanno scelto di tenere il punto politico sull’obiettivo della marcia: rompere l’assedio di Gaza e creare le condizioni affinchè il valico di Rafah non venga sigillato seppellendo un milione e mezzo di palestinesi dentro una prigione a cielo aperto.

Oggi è in corso una assemblea plenaria delle delegazioni al presidio in corso da giorni sotto l'ambasciata francese per discutere e decidere le iniziative nelle prossime ore e nei prossimi giorni.

I nostri compagni in queste ore sono stati costretti a discussioni e decisioni difficili ma che ci sentiamo di condividere pienamente. La battaglia sulla fine dell’assedio di Gaza è una battaglia di enorme valore politico e morale.

Invitiamo tutti ad accentuare le pressioni sul governo egiziano ormai pienamente corresponsabile dell’assedio di Gaza e contemporaneamente a dare vita ovunque sia possibile ad iniziative che ricordino i crimini di guerra commessi dalle truppe israeliane a Gaza un anno fa.

A Gaza è in gioco la libertà e la dignità di tutti

Il Forum Palestina

lunedì 28 dicembre 2009

sostegno delle RdB alla Gaza Freedom March

Le RdB sottoscrivono 7.500 euro per l'ospedale palestinese Al Awda di Gaza. Sostegno alla Gaza Freedom March

La solidarietà con il popolo palestinese è consolidata tra gli iscritti e i delegati delle RdB. Il nostro sindacato in questi anni è stato in prima fila nell'organizzazione delle manifestazione per i diritti del popolo palestinese e nel sostegno concreto alle strutture palestinesi nei campi profughi in Libano e adesso nella Striscia di Gaza. In queste settimane, in tutta Italia, i delegati e gli iscritti alle RdB hanno raccolto circa 7.500 euro attraverso i blocchetti per la sottoscrizione popolare all'Ospedale Al Awda di Jabalya (nord della Striscia di Gaza). Una sottoscrizione finalizzata all'acquisto di una TAC per questo ospedale che durante il massacro dell'Operazione Piombo Fuso si è trovato sulla linea del fronte per giorni e giorni.
Già a marzo una delegazione del Forum Palestina era riuscita ad entrare a Gaza e a consegnare circa 27.000 euro. Tra pochi giorni un'altra delegazione del Forum Palestina (nell'ambito della missione internazionale Gaza Freedom March che vedrà circa 1.500 partecipanti provenienti da tutto il mondo) cercherà di nuovo di rompere il vergognoso assedio a cui sono sottposti i palestinesi di Gaza e porterà la nuova sottoscrizione che anche questa volta sfiora i 20.000 euro. Il nostro sindacato ha deciso di sostenere così concretamente sia la marcia su Gaza che i progetti di solidarietà in corso con il popolo palestinese.

Le RdB con la Palestina nel cuore e fino alla vittoria.

www.rdbcub.it

x la palestina

UN ANNO DA "PIOMBO FUSO"... NOI NON DIMENTICHIAMO! NOI NON PERDONIAMO!

Il 27 dicembre 2008 i cieli di Gaza si riempivano di scie bianche luminose: incominciava "Piombo Fuso", una delle più sanguinose operazioni militari che il criminale stato d'Israele abbia mai condotto contro il popolo di Palestina. Quelle scie nel cielo erano le bombe al fosforo bianco usate deliberatamente dall'aviazione israeliana contro la popolazione civile. A questi primi feroci bombardamenti segue, il 3 gennaio 2009, l'invasione di terra che continua a seminare morte e distruzione.
Tutti i fidi sostenitori dei sionisti correvano a censurare le immagini provenienti dalla Striscia, a tentare di nascondere ai nostri occhi quali orribili barbarie venivano commesse, condannando a parole ogni forma di violenza, proprio mentre restavano fermi per dare a Israele il tempo di colpire... Continuando a raccontarci che Israele si stava solo difendendo da Hamas e dai suoi razzi Quassam – senza precisare che questi razzi, forma disperata di resistenza contro l'occupazione militare della propria terra, negli ultimi otto anni avevano fatto all'incirca 15 morti israeliani, contro le migliaia di palestinesi morti e feriti nello stesso periodo, senza contare i quasi 1500 palestinesi barbaramente uccisi e i 5.000 feriti solamente nei 21 giorni dell'operazione...
Mentre i governi imperialisti di tutto il mondo chiudevano gli occhi (e chi, come i carabinieri italiani, anche il valico di Rafah, contribuendo ad imprigionare la popolazione di Gaza sotto i bombardamenti), forti erano anche le proteste: a Roma un corteo di più di 100.000 persone attraversava le strade della città per chiedere la fine dell'aggressione israeliana, ad Astakos i compagni greci bloccavano una nave carica di armi diretta in Israele, nel Regno Unito si occupavano le facoltà, mentre tutto il mondo arabo scendeva in piazza venendo brutalmente represso dai regimi collaborazionisti.
In quei giorni di massacro furono palesi le politiche genocide dell'imperialismo sionista, che da 61 anni occupa la terra di Palestina perpetrando una sistematica e scientifica strage del suo popolo. Genocidie, sì: perché alle fasi di attacco “diretto” con azioni militari indiscriminate (bombardamento di scuole, moschee, edifici ONU...), e con armi non convenzionali (bombe al fosforo, bombe DIME, uranio impoverito – strumenti di morte che provocano mutilazioni, malattie a lungo termine, o che devastano il territorio, contaminando persino le falde acquifere...), si aggiunge l'occupazione e l'embargo, un'opera di stermino quotidiano, fatta di lutto, miseria, disoccupazione, checkpoint, assassini mirati, raid notturni, sindromi post-traumatiche, depressioni, suicidi, uso di sostanze stupefacenti per sopportare la realtà...
Oggi, ad un anno dalla strage di mano israeliana e complicità occidentale, noi non vogliamo soltanto ricordare: vogliamo anche far ricordare ai sionisti e ai loro sponsor italiani che la rabbia è ancora viva, che il fuoco della resistenza del popolo palestinese brucia più del loro fosforo. Che non ci rassegneremo a considerare la Palestina un'emergenza umanitaria, ma una questione politica che richiede tutto il nostro impegno, convinti come siamo che non ci potrà mai essere nessuna pace, in Palestina e nel mondo intero, se prima non ci sarà giustizia!

FINO ALLA VITTORIA!

Red Net
http://red-net.it/

studenti universitari-Politecnico09 Bologna
http://politecnico09.splinder.com/
politecnico09@yahoo.it

Collettivo Autorganizzato Universitario (Napoli), Coordinamento II Policlinico (Napoli), Collettivo Politico di Scienze Politiche (Firenze), Collettivo 20 Luglio (Palermo), Collettivo Lavori in Corso (Roma), Resistenza Universitaria-Laboratorio politico della Sapienza (Roma), Assemblea di Scienze Politiche (Milano), Rete Studenti (Salerno)

giovedì 24 dicembre 2009

Per ricordare la Palestina

Boicotta i prodotti israeliani!

Mercoledì 30 dicembre
ore 17.00
davanti al supermercato Pam di via RivaReno via Marconi
Bologna


Immagina di essere palestinese e che solo per questo hai perso la tua casa, la tua terra e sei stato cacciato per essere confinato in un campo profughi.
Immagina di aver lottato per mantenere la tua identità, la tua dignità e per poter tornare alla tua terra , per questo sei stato oggetto delle più efferate uccisioni e persecuzioni.
Immagina, inoltre, che perché rifiuti di abbassare la testa ti assediano e ti tolgono i più elementari diritti: il cibo, la casa, la cura sanitaria, lo studio, il lavoro ecc..
Immagina che perché ti sei ribellato a questa violenza hanno scatenato contro di te e la tua gente un’aggressione che ha provocato 1414 morti e più di 6000 feriti.
Immagina che per punire il tuo tentativo di ribellione vengano usate armi che rilasciano veleni cancerogeni. Immagina che tutto questo dura da più di 60 anni e che il tutto avviene con la complicità dei paesi occidentali come l’Italia.
Alla fine e dopo aver subito tutto questo, cosa faresti?
Decine di centinaia di persone, hanno deciso di recarsi a Gaza il 31 dicembre, attraverso la "Gaza Freedom March". Cercheranno di rompere l’assedio che strangola 1.500.000 palestinesi ivi residenti.
Dimostra la tua solidarietà con il popolo palestinese e con la marcia di “Gaza Freedom March” boicottando e non comprando prodotti israeliani.

Boicotta i prodotti israeliani
Contro il sionismo
Con la Palestina nel cuore

Comitato Palestina Bologna

LA GAZA FREEDOM MARCH NON SI LASCIA INTIMIDIRE!

Sostenete con ogni mezzo l'iniziativa

A pochi giorni dalla partenza di centinaia di volontari da tutto il mondo per prendere parte alla Gaza Freedom March, il governo egiziano ha comunicato al comitato organizzatore ed alle ambasciate delle 42 nazioni degli attivisti che non concederà il passaggio nella Striscia di Gaza e minacciato azioni repressive ed arresti. Naturalmente, nessuna delegazione è intenzionata a rinunciare a portare la solidarietà dei nostri popoli alle donne, agli uomini ed ai bambini di Gaza. Quindi, per quanto ci riguarda, la Marcia verso Gaza è già iniziata e confermiamo tutti gli appuntamenti e gli impegni presi.

Invitiamo tutti quelli che non possono essere fisicamente con noi a sostenerci, inviando mail all’ambasciata egiziana a Roma – ambegitto@yahoo.com – chiedendo alle autorità egiziane di non ostacolare la Gaza Freedom March e di lasciarci raggiungere i nostri fratelli palestinesi. Ugualmente, invitiamo a sostenere con urgenza le grandi spese cui stiamo facendo fronte, inviando un bonifico sul conto corrente postale n. 47209002, intestato a Monti Germano, con la causale Gaza Freedom March. Il codice IBAN è IT59 C076 0103 2000 0004 7209 002.

Con la Palestina nel cuore, fino alla vittoria.

Il Forum Palestina

giovedì 17 dicembre 2009

x il 42 anniversario dell'FPLP

Unità e Fermezza: oltre 70.000 hanno manifestato a Gaza per il 42esimo anniversario del FPLP

[per visionare le foto www.pflp.ps]

Oltre 70.000 tra quadri, membri e simpatizzanti del Fronte popolare di liberazione della Palestina, e la popolazione della striscia di Gaza, si sono ritrovati allo Stadio Palestine per il raduno in occasione del 42.esimo anniversario del PFLP il 12 dicembre 2009, rovesciandosi poi nelle strade circostanti e portando bandiere, stendardi e poster dei martiri e dei leader del Fronte.

Fin dalle prime ore del mattino, folle di giovani e vecchi, uomini, donne e bambini si sono messi in viaggio dalle varie province della Striscia e da tutti i campi e i villaggi a Gaza City per il raduno, rispondendo all'appello del Fronte di partecipare con lo slogan "Unità, fermezza e resistenza-fino alla vittoria!"

Il compagno dottor Rabah Muhanna, membro dell'Ufficio Politico del Fronte e leader del suo ramo di Gaza, ha fatto appello al mantenimento e potenziamento della resistenza in generale e alla lotta armata in particolare contro il nemico sionista, richiamando ad una struttura di resistenza coordinata che serva a combattere per guadagnare i nostri diritti. Il compagno Muhanna ha enfatizzato il concetto che la strada dei negoziati, da Oslo ad Annapolis, è chiaramente giunta ad una fine certa e che ci deve essere una dichiarazione da parte di tutte le forze palestinesi della morte dell'opzione definitiva che prevedeva la strada dei cosiddetti "negoziati" e la fine immediata del cosiddetto "periodo di transizione", inclusa la fine completa della cooperazione in merito alla sicurezza con l'occupante.

Ha espresso un appello urgente all'unità nazionale, affermando che è una necessità per la vittoria e che tutti i prigionieri politici nella West Bank e a Gaza devono essere liberati, e che questa unità deve essere stabilita sulla base della causa nazionale palestinese e dell'interesse nazionale palestinese, rispondendo al sacrificio di migliaia di martiri, feriti e prigionieri: assicurare uno Stato indipendente con Gerusalemme come capitale, l'autodeterminazione e il diritto al ritorno. Il compagno Muhanna ha salutato tutti i Palestinesi che vivono nella Palestina occupata nel '48, nella West Bank, ovunque in Gaza, nei campi, e ovunque nel mondo nella diaspora e nell'esilio, esprimendo la totale determinazione del Fronte di lottare per il raggiungimento di una piena vittoria contro il regime di occupazione criminale e fascista. Egli ha sottolineato la storica esperienza del Fronte nell'affrontare il sionismo come estensione della lotta del Movimento Nazionale Arabo.

Ha detto che il Fronte continuerà lungo il sentiero della sua storia nella lotta rivoluzionaria per raggiungere la vittoria e la completa sconfitta del criminale nemico sionista e del campo dietro di esso che lo rende potente e aggressivo e indebolisce il nostro popolo e gli impedisce di progredire, il campo imperialista e le sue componenti e i suoi eserciti reazionari, sotto la selvaggia leadership dell'imperialismo statunitense. Il compagno Muhanna ha concluso il suo discorso con un appello all'unità nazionale, invocando i colori della bandiera palestinese e gli stendardi delle fazioni palestinesi: verde per Hamas, bianco per Fateh, nero per la Jihad Islamica e rosso per l'FPLP, facendo appello al nostro popolo ad essere unito sotto la bandiera nazionale palestinese completa.

Almazah Sammouni, che ha perso la sua famiglia nell'aggressione a Gaza del dicembre 2008-gennaio 2009 ha parlato, dicendo "Non sono venuto qui oggi per piangere o portare il lutto per la mia famiglia, "la famiglia Sammouni, che ha sofferto sotto i colpi e i missili dell'occupazione come migliaia di martiri del nostro popolo, ma sono venuto per esprimere il mio orgoglio per il loro sacrificio e impegno."

Ha fatto appello a tutte le forze palestinesi,in particolare Fateh e Hamas, di unirsi sotto lo stendardo del sangue dei martiri e la promessa di un futuro migliore per il nostro popolo e i nostri bambini, e di lottare per far causa all'occupante e ai suoi leader per i crimini contro il popolo palestinese trascinandoli nelle corti internazionali.

La compagna Amna Rimawi moglie del compagno imprigionato Majdi Rimawi e dirigente del consiglio di villaggio di Beit Rima, uno degli eroi dell'operazione del leggendario 17 ottobre che colpì il ministro del turismo Rehavam Ze'evi, estremista sionista, ha parlato al raduno, esprimendo i suoi saluti per conto delle famiglie dei prigionieri, e facendo appello a coloro che hanno catturato il soldato dell'esercito occupante Gilad Shalit chiedendogli di mantenere le condizioni che hanno stabilito per lo scambio di prigionieri, perché le famiglie e i prigionieri sanno che l'unico strumento per la loro liberazione viene dalla resistenza.

Mohammad Khalidi, un lavoratore palestinese disoccupato, ha parlato indossando la sua uniforme da lavoro, denunciando povertà e disoccupazione causate dall'assedio e dall'occupazione. Egli ha detto : "Siamo qui per affermare la nostra fermezza come lavoratori contro la macchina da guerra sionista, l'assedio ingiusto, e la disoccupazione mortale".

La celebrazione, presieduta dal compagno Hani Al-Thawabteh, membro del Comitato Centrale del ramo di Gaza, e la compagna Shireen Abu-Oun, ha previsto anche momenti di poesia, presentazioni artistiche e dozzine di messaggi di congratulazioni dalla leadership del Fronte all'estero, Hilda Habash, la moglie del fondatore, dottor George Habash, e il segretario generale del Fronte, il compagno prigioniero leder Ahmad Sa'adat.

lunedì 14 dicembre 2009

video BDS a Bologna

video campagna BDS a Bologna
palestina libera!

http://www.youtube.com/watch?v=Bt2nPOb1gMY&feature=player_embedded

giovedì 10 dicembre 2009

Boicottiamo i progetti tra le università israeliane

Comunicato Stampa
10 dicembre Bologna

Boicottiamo i progetti tra le università israeliane e quelle italiane

Ad un anno dai bombardamenti israeliani sulla strisci di Gaza e a pochi mesi dalla condanna che lo stato di Israele ha ricevuto dalla comunità internazionale per crimini contro l’umanità aumentano le collaborazioni tra le università italiane e le imprese ed enti di ricerca israeliani.
Oggi un gruppo di attivisti ha simbolicamente occupato il Dipartimento di Elettronica, Informatica e Sistematica per denunciare il progetto EUWB. Le onde a banda ultra larga – UWB servono per trasmettere e ricevere segnali a enormi velocità, a bassa potenza. Lo studio e l’applicazione di tecnologie a banda larga, nasce principalmente per uso militare: consiste infatti nella possibilità di creare fotografie tridimensionali per rivelare oggetti posti sotto terra o attraverso i muri, localizzare oggetti o persone con bassissimo margine di errore. L'Università di Bologna, attraverso il Dipartimento di Elettronica, Informatica e Sistematica partecipa a un progetto internazionale di ricerca sulle onde UWB, al progetto EUWB (Coexisting Short Range Radio by Advanced Ultra-Wideband Radio Technology), partecipano diverse Università Europee e aziende, fra cui anche un'azienda israeliana, la Wisair Ltd. Per il progetto sono già stati stanziati più di 13 milioni di euro, per un totale, nel 2011, di 20 milioni di euro.
Questa iniziativa si inserisce dentro la campagna internazionale promossa dai comitati di solidarietà con la Palestina denominata BDS, Boicottaggio, Disivestimento, Sanzioni contro lo Stato di Israele.
Nelle prossime settimane saranno organizzate altre iniziative tese a smascherare i rapporti di collaborazione tra le università e centri di ricerca israeliani con quelli italiani.

Chiediamo che i prodotti delle aziende con partecipazione israeliana vengano ritirati da tutti gli uffici pubblici, dalle scuole e dalle università, come i prodotti di marca Lavazza.

Con la Palestina nel cuore

Studenti universitari-POLITECNICO09-Bo
Comitato Palestina Bologna


http://www.politecnico09.splinder.com/
politecnico09@yahoo.it

http://comitatopalestinabologna.blogspot.com/

giovedì 3 dicembre 2009

report forum palestina

Report del convegno sul sionismo

Il convegno del 28 e 29 novembre sul sionismo, ha segnato indubbiamente un passo in avanti nel dibattito e nell’analisi di un progetto coloniale che – come indicato nel titolo dell’iniziativa – rappresenta un ostacolo per una pace in Medio Oriente fondata sulla giustizia.

La quantità e qualità sia dei partecipanti che della discussione sul sionismo – che pure ha evidenziato punti di vista diversi – ha fatto sì che un tabù pervicace nel dibattito della sinistra e dei movimenti sulla questione palestinese venisse finalmente rotto e ricondotto nei termini corretti dell’analisi e della lotta politica.

La scommessa non era affatto facile e non solo per i tentativi di criminalizzazione e strumentalizzazione da parte dei sostenitori del progetto della Grande Israele ma anche perché in tutti questi anni ha prevalso – a sinistra – una sorta di autocensura nella discussione sulla natura e il progetto del sionismo che si è resa via via complice dell’equidistanza tra gli occupanti e gli occupati in Palestina.

Nella giornata di sabato, aperta da un ricordo di Gustavo Pasquali del combattente del Ghetto di Varsavia e militante antisionista Marek Edellman morto il 2 ottobre, ci sono state le relazioni e gli interventi di Mila Pernice, Kutaiba Yunis, Myriam Marino, Jeff Halper, Cinzia Nachira, Stefania Limiti, Vera Pegna. Nel pomeriggio sono intervenuti Wasim Dahmash, Giorgio Forti, Paola Canarutto, Michele Giorgio, Bassam Saleh, Alfredo Tradardi, Sergio Cararo, Fawzi Ismail, un compagno del collettivo autorganizzato universitario di Napoli. La domenica mattina sono intervenuti Shoukri Hroub che ha ricordato il compagno palestinese Khaled Hussein morto recentemente nelle carceri italiane, Diana Carminati, Silvano Falessi, Nicholas Shashani, Martina Pignatti, Stefania Costantini, un compagno palestinese di Gaza, Franco Grisolia, Germano Monti. Le conclusioni sono state tirate da Marco Benevento.

Per diversi motivi non hanno potuto partecipare alcuni relatori come Giorgio Frankel, Domenico Losurdo, Michelle Warshawski, Samir Al Qariouti. Altri due relatori, Mohammed Mohareb e Maurizio Musolino sono stati colpiti da un grave e improvviso lutto ed a loro in apertura è andato il saluto solidale del Forum Palestina a nome di tutto il convegno. I relatori assenti hanno comunque assicurato che invieranno il loro contributo scritto per la pubblicazione degli atti.

Le relazioni e gli interventi si sono integrati tra loro con molto equilibrio creando effettivamente le condizioni per un possibile intellettuale collettivo con le coordinate e la qualità per affrontare tutte le questioni – anche le più controverse – che la situazione mediorientale pone all’agenda politica nel nostro paese e a livello internazionale. Qualcuno ha osservato che la presenza di molti relatori e di molti interventi delle varie reti e associazioni ha sacrificato lo spazio per le domande agli ospiti.

In parte è vero ma in parte riteniamo che le dieci domande iniziali del convegno stesso potessero essere sufficienti ad aprire la discussione e che in qualche modo occorra anche cominciare ad evitare la “personalizzazione” degli eventi dando invece a tutti i relatori la stessa importanza.

Non possiamo negare che la discussione abbia avuto il suo punto di massima divergenza sulla valutazione del sionismo come progetto coloniale. Su questo come è noto ci sono analisi molto diverse anche nel campo di chi solidarizza con la lotta del popolo palestinese contro l’occupazione israeliana. L’idea del sionismo come esigenza di identità e autodeterminazione delle comunità ebraiche perseguitate in Europa (soprattutto in quella centro-orientale), a nostro avviso confligge apertamente con il progetto sionista che – seppur diventato reale solo con la nascita dello Stato di Israele e la Nakba palestinese – aveva nel suo progetto originario molti degli elementi del colonialismo europeo e dell’eurocentrismo. Possiamo dire che questo tema sarà sicuramente uno di quelli da sviluppare e approfondire nel prossimo convegno sul sionismo previsto per maggio 2010.

In tal senso la pubblicazione degli atti del convegno (che già annunciano un ponderoso ed interessantissimo volume) e la campagna di presentazione e dibattiti sulla pubblicazione in tutte le città dove sarà possibile realizzare incontri, servirà a portare il dibattito, l’analisi e la denuncia del sionismo dal campo della storia a quello della politica e dell’informazione.

I tentativi di criminalizzazione dell’antisionismo equiparandolo all’antiebraismo avranno adesso di fronte un ostacolo non irrilevante.

Dai due giorni di convegno è emersa una qualità politica nuova e interessante che si rivelerà utile a tutte le forze che si battono per una pace giusta in Palestina.

I prossimi impegni

In conclusione ringraziando tutte e tutti coloro che hanno contribuito o partecipato attivamente alla riuscita del convegno, vogliamo anche rammentare alcuni appuntamenti del nostro lavoro di solidarietà e informazione sulla lotta del popolo palestinese.

Innanzitutto la delegazione di massa che si recherà a Gaza per la “Gaza Freedom March” il prossimo 27 dicembre con l’obiettivo – come dice la convocazione – non solo di limitare la brutalità israeliana ma di contribuire a fermarla”. Sarà bene che tutte le città dove è attiva la nostra rete attivino un meccanismo di monitoraggio e di tempestività di iniziativa qualora la marcia dovesse incontrare problemi. A Roma ad esempio, è già prevista una iniziativa per il 10 dicembre che vedrà la lettura in piazza del Rapporto Goldstone. Altre iniziative sono previste a Napoli e Bologna nei prossimi giorni di dicembre.

In secondo luogo la prosecuzione della campagna BDS che rimane uno strumento efficace di pressione sulle autorità israeliane e di sostegno concreto alla resistenza del popolo palestinese. Vi ricordiamo a tale proposito che è stato attivato l’apposito sito www.boicottaisraele.it



Un augurio di buon lavoro



Il Forum Palestina

sabato 28 novembre 2009

saremo migliaia

"La Gaza Freedom March non si limiterà a deplorare la brutalità israeliana, ma agirà per fermarla”.


A GAZA A FINE DICEMBRE SAREMO MIGLIAIA PER DIRE BASTA CON L'ASSEDIO



A fine anno, migliaia di volontari provenienti da tutto il mondo si sono dati appuntamento al valico di Rafah, il confine della Striscia di Gaza con l’Egitto, in quella che si annuncia come la più grande operazione di solidarietà internazionale della storia recente. Con la Gaza Freedom March, In tutto il mondo ci si sta mobilitando per porre fine alla tortura del popolo palestinese di Gaza, rispondendo all’esortazione contenuta nell’appello dell’associazione statunitense Code Pink: “Con la Gaza Freedom March, l’umanità non si limiterà a deplorare la brutalità israeliana, ma agirà per fermarla”.

Ad oggi, la Gaza Freedom March vede l’adesione e la partecipazione di associazioni, comitati e forze sociali dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dall'Italia, dall’Irlanda, dal Belgio, dalla Svizzera, dalla Spagna, dalla Grecia, dalla Germania, dalla Svezia, dalla Danimarca, dalla Finlandia, insomma da tutta l’Europa, oltre che dagli Stati Uniti, dal Canada, dal Messico, dalla Nuova Zelanda e dall’Australia. Non mancherà, inoltre, la presenza di volontari dal mondo arabo e quella di attivisti israeliani contro l’occupazione.

La partecipazione italiana sarà all’altezza della situazione. Ancora una volta senza alcun sostegno da parte di partiti o istituzioni decine di volontari hanno risposto all’appello del Forum Palestina e si sono organizzati autonomamente, come autonomamente sono state organizzate tutte le iniziative di solidarietà con il popolo palestinese di questi anni, comprese le grandi manifestazioni durante l’operazione Piombo Fuso.

Alla Gaza Freedom March hanno aderito molte personalità autorevoli della cultura e della politica. Jimmy Carter e Nelson Mandela sono fra quelli di cui è stata annunciata la presenza alla Marcia, ma l’elenco delle adesioni comprende Omar Barghouti (fondatore della Campagna Palestinese per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni - BDS), Mustafa Barghouti (deputato del Consiglio Legislativo Palestinese), Noam Chomsky, il deputato inglese George Galloway, Arun Gandhi, i registi Aki Kaurismak, Ken Loach e Oliver Stone, gli scrittori Naomi Klein e Gore Vidal, il Premio Nobel per la Pace Mairead Maguire, Jeff Halper (fondatore del Comitato Israeliano Contro la demolizione delle Case) e moltissimi altri. Fra i sostenitori italiani della Marcia, gli eurodeputati Luigi De Magistris e Gianni Vattimo, l’ex vicepresidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini, gli ex europarlamentari Vittorio Agnoletto e Marco Rizzo, oltre ad esponenti della cultura, dell’associazionismo e del sindacalismo di base.

Dobbiamo lavorare ancora affinché il sostegno alla Gaza Freedom March cresca e per non permettere che su questa iniziativa cali la solita censura del silenzio, perché portare il nostro messaggio di solidarietà direttamente al popolo palestinese è importante, ma è fondamentale la battaglia politica qui, in un Paese dove la quasi totalità del mondo politico e dell’informazione è letteralmente schiacciata sul sostegno all'oocupazione sionista e alla sua terroristica concezione della sicurezza. Cominciamo a liberare Gaza dall'assedio.



Con la Palestina nel cuore, fino alla vittoria!



Il Forum Palestina


Mail: forumpalestina@libero.it
Sito: http://www.forumpalestina.org

domenica 8 novembre 2009

Le nuove posizioni dell'ANP

Il passo indietro dell'ANP sulla soluzione dei "due popoli due stati" e l'impellenza di un confronto sullo "Stato unico" per la Palestina
Comunicato del Forum Palestina

La dichiarazione dello scorso 5 novembre con cui Saeb Erekat, il capo negoziatore dell’Autorità Nazionale Palestinese, ha definito come fallita la soluzione dei “due popoli per due Stati” e come inevitabile l’alternativa dello “Stato unico”, segna in sé un passaggio significativo.


Arriva da un’istituzione in difficoltà, che ha al suo vertice un presidente in crisi di popolarità e di credibilità agli occhi del suo popolo, Abu Mazen, che dopo aver assecondato negli anni il percorso inaugurato dagli Accordi di Oslo e basato sulla “pace in cambio di terra”, non ha fatto che favorire l’indebolimento della lotta palestinese sul terreno politico e la progressiva espansione delle colonie senza ottenere in cambio alcuna pace. E’ un messaggio rivolto all’esterno, agli USA di Obama, piuttosto che alle organizzazioni politiche e della società civile che l’ANP vuole rappresentare, e in quanto tale esercita una pressione non pienamente maturata a livello collettivo. Ma pone senz’altro le basi affinché finalmente l’unica soluzione possibile per una pace che sia anche giusta sia inserita nell’agenda politica palestinese come terreno di lotta e di negoziato credibile.


Ci siamo confrontati più volte con attivisti, intellettuali ed esponenti politici palestinesi, ma anche israeliani antisionisti, in merito alla soluzione dello Stato Unico, sottolineando proprio come quella che appare come l’unica ipotesi realistica per la fine del colonialismo sionista non trovi ancora ufficialmente spazio nella piattaforma politica dei partiti palestinesi. Oggi in qualche modo il passo indietro dell’ANP obbliga a rivolgere l’attenzione alla possibilità di uno Stato che, senza coincidere con la “Grande Israele” auspicata dai fondatori dell’ideologia sionista, sia realmente democratico con pari diritti per tutti i suoi cittadini.


Da Oslo a Camp David e a Madrid, tutti gli accordi internazionali basati sulla soluzione dei due popoli per due Stati (mentre porzioni sempre più ampie di territorio palestinese venivano strappate dal Muro e dalle colonie) hanno sempre fatto da paravento all’obiettivo sionista di ampliare il territorio israeliano, di rendere sempre più puramente ebraico il carattere dello Stato di Israele, e di mantenere in piedi l’immagine di Stato democratico di fronte alla politica internazionale e all’opinione pubblica mondiale. Ormai la realtà dei fatti dimostra da tempo che è proprio mettendo in discussione i presupposti di Oslo, su cui fino ad oggi si sono fondati i cosiddetti “negoziati di pace” con il coinvolgimento delle potenze occidentali complici dell’occupazione, che la lotta per l’autodeterminazione palestinese potrà concretamente mettere in discussione i presupposti su cui si basano il sionismo e la sua strategia colonialista.


La dichiarazione di fallimento che arriva dal negoziatore palestinese e dai vertici dell’ANP spalanca una finestra sulla realtà e sulla possibilità di ridefinire su nuove basi gli obiettivi strategici della lotta di liberazione palestinese offrendo un’ulteriore occasione di riflessione anche al movimento di solidarietà internazionale che attraverso la campagna BDS si sta allargando producendo risultati concreti ed efficaci.


Assumere oggi la soluzione dello Stato Unico come ipotesi su cui dare battaglia politica significa contrastare apertamente la strategia sionista: è anche per questo motivo che nell’ultima delle 10 domande su cui studiosi, giornalisti e attivisti italiani, palestinesi e israeliani saranno chiamati a rispondere il 28 e 29 novembre a Roma, poniamo il seguente interrogativo: “Il progetto di uno Stato Unico per ebrei e palestinesi è da ritenersi una minaccia o una soluzione possibile per la pace in Medio Oriente?”. A nostro avviso innanzitutto è la realtà che ci sta dando delle indicazioni e di queste occorrerà tenere necessariamente conto.


Il Forum Palestina

venerdì 6 novembre 2009

per il BDS a Bologna

MASHI - ORME IN PALESTINA
organizza la rassegna
PALESTINA. LA TERRA CALPESTATA
racconti e immagini
al VAG 61 in via Paolo Fabbri 110 a partire dalle ore20:00
Lunedi' 09/11/2009

B.D.S. (Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni)
Ore 20:00 pasta
Ore 21:00 incontro con
Enrico Bartolomei della campagna BDS italiana e
Ben Scribner co-fondatore di STOP Agrexco Roma
Proiezione doc. Campi di Fragole di A. Heller

domenica 4 ottobre 2009

E' morto Marek Edelman, partigiano ebreo antisionista

E' morto, il 2 ottobre, Marek Edelman, vice-comandante dell'insurrezione del ghetto ebraico di Varsavia del 1943 contro i nazisti, divenne il reggente della rivolta dopo l'uccisione del leader Mordechai Anielewicz. Ebreo antisionista, nacque a Homel (oggi Bielorussia) nel 1919. Fece parte del Bund, il partito socialista operaio ebraico della Russia zarista, marcatamente avverso alla dottrina del sionismo. Nel 1942, come dirigente della gioventù del Bund, Edelman fondò, nella clandestinità, l'Organizzazione ebraica di combattimento, per la resistenza contro i nazisti.

Nei riguardi dell'epica insurrezione del 1943 Edelman ha sostenuto che, sebbene la sconfitta fosse inevitabile, la rivolta dimostrò le capacità di resistenza degli ebrei una volta sconfitta l'apatia e passività dei dirigenti tradizionali della comunità, passività che portò, prima della rivolta in breve tempo alla deportazione e morte dei due terzi delle 400 mila persone racchiuse dai nazisti nel ghetto della capitale polacca. Marek Edelman riuscì a salvarsi dalla distruzione completa del ghetto fuggendo attraverso le fognature aiutato dai partigiani dell'Armya Ludowa, l'esercito popolare, prevalentemente comunista, cui si associò continuando la resistenza e participando all'insurrezione di Varsavia nel 1944.

Dopo la fine della guerra si rifiutò di trasferirsi sia in Israele che negli Stati Uniti, studiò cardiologia a Lodz, diventando poi cardiochirurgo. Per nulla idialliaci i rapporti tra Edelman e Israele, che furono contraddistinti da una radicale critica dell'ex partigiano alle fondamenta dello Stato d'Israele così come da un laconico biasimo da parte dell'intellighenzia sionista nei suoi confronti. La contigenza più aspra si verificò nel 2002, nel quadro del processo mosso da Israele al leader palestinese Marwan Barghouti: Edelman scrisse una lettera alla resistenza palestinese, riconoscendola politicamente e definendola letteralmente come tale. (dal sito: infoaut.org)

giovedì 1 ottobre 2009

proiezione video-documentario


Sabra e Shatila

L’uscita recente di numerosi film tra cui Lebanon di Samuel Maoz (Israele 2009), mistificano il ruolo degli israeliani in Libano e Palestina. Si cerca attraverso una campagna mediatica di edulcorare le responsabilità militari degli israeliani nel massacro di Sabra e Shatila e più in generale sulla politica colonialista e razzista portata avanti dallo stato di Israele.
Se capovolgere l’invasore con l’invaso è aberrante, non di meno il metterli sullo stesso piano corrisponde a prendere la parte del più forte, l’invasore.
Per questi motivi è importante ricordare cosa successe tra il 16 al 18 Settembre 1982. Nel corso di due notti e tre giorni, furono assassinati nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila in Libano  tra 1.000 e 3.000 civili palestinesi, soprattutto donne, bambini e anziani. Il numero esatto delle vittime è ancora sconosciuto. Questo massacro fu compiuto dalla milizie fasciste libanesi supportate dalle truppe dello stato di Israele. La logistica della strage fu pianificata dall'allora ministro della difesa Ariel Sharon.
E’ per questo che il Comitato Palestina Bologna organizza una serata dedicata ai tragici avvenimenti dell’82.

Proiezione
film-documentario

Massacro
Il film-documentario presenta interviste dirette ai carnefici che hanno partecipato al massacro. Il film collega le disposizioni psicologiche degli autori con il loro ambiente politico, e gli approcci dei loro racconti e il fenomeno della violenza collettiva.

Mercoledì 14 ottobre ore 21.00
HUB via Serra 2/G Bologna

COMITATO PALESTINA BOLOGNA

lunedì 28 settembre 2009

"...CHI RICORDA I NOSTRI 3000 MORTI DI SABRA E CHATILA?"

Chatila non dimentica
di Stefano Chiarini


Ventisette anni fa il massacro nel campo profughi palestinese a Beirut. La condizione dei rifugiati e la giustizia negata alle vittime delle violenze di falangisti e israeliani è una miscela esplosiva capace d'innescare nuove tragedie.

«Perché mai il nostro unico compito/ dovrebbe essere quello di scavare tombe?/ ...quanto profondo è tutto questo sangue». I versi del poeta palestinese Mahmoud Darwish, scritti su un vecchio manifesto di una delle tante organizzazioni non governative (ong) che cercano di alleviare la tremenda miseria dei campi, ben rappresentano l'esasperazione degli oltre 300.000 profughi palestinesi in Libano che si preparano a ricordare, il prossimo 16 settembre, il ventesimo anniversario del massacro di Sabra e Chatila.

Mai la tensione nei campi profughi, e più in generale in Libano, è stata così alta negli ultimi anni. Le minacce di una nuova guerra Usa all'Iraq, alla Siria, al Libano, un crescendo di episodi di violenza nei campi del sud e nella Beqaa, ma soprattutto le discriminazioni di cui sono vittime e il silenzio del mondo sui loro morti e sullo strazio dei loro diritti ha portato i rifugiati ad una cupa esasperazione ormai pronta ad esplodere.

«Da quindici giorni - ci dice Amina, una ragazza di vent'anni di Chatila - i media internazionali parlano delle 3.000 povere vittime dell'11 settembre e della necessità che sia resa loro giustizia, ma chi ricorda i nostri 3.000 morti di Sabra e Chatila? Come mai, se c'è questo senso di giustizia, il responsabile di quell'eccidio, Ariel Sharon, è invitato alla Casa bianca e definito da Bush "uomo di pace"?».

I fratelli di Amina annuiscono in silenzio guardandola con ammirazione. Poi dopo una breve pausa, mentre da dietro una tenda che divide in due l'unica stanza della casa dai muri verdi di muffa compare una sorella più piccola con un vassoietto col tè, uno di loro continua: «Perché tutti considerano normale che gli ebrei, dopo 2.000 anni, siano voluti tornare in Palestina mentre quelli di noi che, dopo appena 50 anni, vogliono fare altrettanto e si rifiutano di marcire in questi campi vengono definiti terroristi o estremisti?» «C'è chi innalza palazzi e chi scava tombe», sentenzia amara un'anziana parente, seduta nelle semioscurità.

I profughi vivono in una sorta di permanente, surreale incertezza fra il passato in patria, «il paese del latte e del miele», e il futuro «del ritorno» a dispetto di tutte le contingenze. L'ospedale di Sabra, ridotto ad uno scheletro di cemento dove vivono in piccole celle centinaia di famiglie con soli quattro bagni ogni piano e un lavello per i piatti e i panni, immerso nell'oscurità di pallide lampadine, si chiama non a caso «Gaza»; l'altro nosocomio vicino all'ambasciata del Kuwait, «Akko».

Sui muri delle case, foto ingiallite dei villaggi di origine mentre nelle vecchie scatole di metallo per i biscotti viene conservato tutto ciò che un giorno potrebbe essere utile a rivendicare la proprietà di terreni, case, beni mobili e immobili. In alcuni casi fanno la loro comparsa anche vecchie e grosse chiavi arrugginite: di casa, del magazzino, dell'ufficio, del negozio. Come se una chiave o persino un contratto di proprietà avessero un qualche valore davanti alla canna di un fucile quando il mondo guarda altrove.

Questo ventesimo anniversario è per certi versi ancora più amaro e triste di quelli che l'hanno preceduto, non solo per i ricordi personali delle 3.000 vittime massacrate dai falangisti sotto la supervisione dell'esercito israeliano tra il pomeriggio del 16 e la mattina del 18 - anziani, donne e soprattutto bambini torturati, menomati, in alcuni casi tagliati a fettine e poi ricomposti sulle tavole a mo' di dolci - ma anche per il fatto che tutto, a vent'anni di distanza, sembra di nuovo ripetersi.

Una veloce lettura degli eventi di quei terribili giorni del 1982 non lascia dubbi sulle responsabilità internazionali, proprio come oggi. I combattenti palestinesi si erano ritirati da Beirut alla fine di agosto in cambio dell'impegno sottoscritto dal governo israeliano con l'inviato Usa Philip Habib, di non entrare a Beirut ovest.

I soldati americani, francesi e italiani, arrivati il 21 agosto, avrebbero vigilato sul mantenimento degli impegni presi da Israele. Invece, ritiratisi i fedayin, gli Usa decisero un ritiro anticipato di 15 giorni, lasciando i campi alla mercé degli israeliani.

Sharon l'11 settembre dichiarò che a Sabra e Chatila «ci sono ancora 2.000 terroristi».

Martedì 14 venne ucciso Bechir Gemayel, il presidente falangista libanese alleato di Israele, mercoledì 15 l'esercito israeliano entrò a Beirut ovest e circondò i campi affidando ai falangisti la loro «ripulitura».

Giovedì 16 iniziò il massacro che sarebbe durato fino a sabato 18.

Lunedì 20 Reagan annunciò il ritorno delle forze multinazionali incaricate di «proteggere i palestinesi».

La strage era compiuta e la coscienza dell'Occidente salva.

*Stefano Chiarini, giornalista del manifesto ed esperto di Medio Oriente, è morto il 3 febbraio 2007. Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2002

da Il Manifesto del 17/09/2009
http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&task=view&id=1496&Itemid=1


Qui per fermare una Nakba infinita
di Antonietta Chiarini


Ancora una volta siamo qui per un appuntamento ormai irrinunciabile: quella che per molti di noi, attraverso le parole e gli scritti di Stefano, era una partecipazione a distanza, ora, dopo la sua scomparsa, è diventata una esigenza profonda.

Siamo qui, e con noi anche Tullia, la figlia di Stefano, per rendere omaggio a queste vittime e per fare testimonianza.

A Sabra e Chatila si cade in un doloroso incantesimo: ci si sente contemporaneamente vittime e responsabili, vittime perché colpiti nella nostra umanità, violati nei sentimenti più cari, umiliati per un'ingiustizia non ancora riparata, qui come nelle altre stragi perpetrate a danno del popolo palestinese e degli altri oppressi della terra; Sabra e Chatila, simbolo di un lungo elenco di città e villaggi aggrediti, evacuati, distrutti, fino alla ferita più recente, Gaza; ma ci si sente anche responsabili perché ognuno di noi, oltre ad appartenere alla razza umana, è anche cittadino di uno Stato e i governi di questi stati, nonché l'Onu, non si sono saputi o voluti imporre, non hanno preteso il puntuale rispetto delle garanzie internazionali né delle risoluzioni prese, né i loro tribunali hanno saputo punire i responsabili di questo orrore: la nebbia della diplomazia e i mezzi di comunicazione abilmente pilotati non permettono di capire la realtà del dramma palestinese.

Per Gaza l'opinione pubblica ha dato vita in tutto il mondo a imponenti manifestazioni di solidarietà, Gaza non si è sentita sola, tuttavia è stata considerata, spacciata per «emergenza». Emergenza?

L'emergenza per i palestinesi è stata la Nakba e dura da più di 60 anni!

Se veramente avessimo capito questo, ogni giorno e in ogni città ci dovrebbero essere manifestazioni per porre fine ad una situazione insostenibile di isolamento e di oppressione, perché sia ridata dignità ad un popolo negato e per recuperare la nostra.

Sabra e Chatila: questo luogo della memoria trasmette così violentemente l'orrore del massacro da farlo sentire attuale e tale rimarrà, una ferita non rimarginata, finché al popolo palestinese non verrà riconosciuto il diritto al ritorno, il diritto alla terra, il diritto ad avere dignità di Stato fra gli stati.

Si può distruggere un villaggio o una città, si possono uccidere gli esseri umani, si può seguire un sogno distorto di potenza lasciando dietro di sé tracce insanguinate del proprio passaggio, ma non si può uccidere la memoria e di questa memoria Stefano ha voluto essere il testimone angosciato e tenace.

È nel suo ricordo che noi siamo qui, perché la memoria delle ingiustizie patite dai palestinesi non si affievolisca ma si rafforzi e si dilati: una testimonianza a mille persone diventano mille testimonianze. Noi siamo qui ancora una volta, e tra noi tanti giovani, per essere testimoni credibili.

A Sabra e Chatila in questa ex-discarica diventata luogo di rispetto e di amore, la battaglia della memoria l'hanno vinta i palestinesi e i loro amici.

da Il Manifesto del 17/09/2009

domenica 27 settembre 2009

Jeff Halper: «Barack ostaggio del Congresso, è il momento del boicottaggio»

L'antropologo israeliano: il presidente ha le mani legate. La società civile si mobiliti per tenere viva la questione palestinese

di Michelangelo Cocco

Jeff Halper coniuga pessimismo della ragione - «Nessuna indicazione che Obama possa fare serie pressioni su Israele; 24mila case palestinesi demolite dal 1967» - e ottimismo della volontà - «Il movimento di boicottaggio sta riscuotendo grandi successi». In giro da Bolzano a Napoli per promuovere «Ostacoli alla pace» (Una città), abbiamo intercettato l'antropologo israeliano fondatore del Comitato israeliano contro la demolizione delle case (Icahd) a Roma [...].

Sulle colonie ebraiche nei Territori palestinesi occupati Obama sembra incapace di raggiungere con Netanyahu perfino un accordo parziale. Come lo spiega?
Israele sa da sempre che il suo asso nella manica è il Congresso, dove gode del sostegno bipartisan di repubblicani e democratici. Così Tel Aviv può permettersi di non ascoltare la Casa Bianca. Quando George W. Bush varò la Road map, il parlamento spedì all'ex presidente una lettera intimandogli di non toccare Israele. Finché Barack Obama non si mostrerà capace di portare il Congresso sulle sue posizioni, di essere duro con Israele, nulla cambierà.

Se Obama portasse dalla sua il Congresso, quali strumenti potrebbe utilizzare per fare pressione su Tel Aviv?
L'economia israeliana dipende dall'accesso privilegiato alla tecnologia militare statunitense. I progetti di sviluppo di armamenti che sottoscrive con l'Europa o la Cina vanno avanti grazie a questa disponibilità di tecnologia «made in Usa». Se Obama dicesse al ministro della difesa Gates: «Stop ai progetti comuni, ai milioni di dollari Usa nel sistema antimissile Arrow», Israele cederebbe alle richieste Usa perché, altrimenti, la sua economia crollerebbe.

Oltre alle colonie, quali sono i principali «ostacoli alla pace» descritti nel suo libro?
Per quanto riguarda gli ostacoli fisici: i checkpoint, il Muro, le demolizioni di case palestinesi. Ma quello che ho provato a dimostrare è che il grande ostacolo è Israele. Non si può sostenere che entrambe le parti debbano negoziare o cessare la violenza. Tutti gli ostacoli sul terreno sono stati creati da Israele, che è la potenza occupante.

E la demolizione delle case palestinesi a Gerusalemme?
Gli Usa chiedono il congelamento delle colonie ma non la fine dell'abbattimento, illegale, delle case palestinesi che va avanti ogni giorno: soltanto a Gerusalemme est 22mila case - 1/3 delle abitazioni palestinesi - hanno ricevuto ordine di demolizione da parte delle autorità occupanti. Da due generazioni viene sistematicamente impedito ai palestinesi di costruire a Gerusalemme, mentre 250mila israeliani si sono stabiliti nella sua parte orientale, come coloni. Il tentativo è quello di distruggere Gerusalemme est come capitale palestinese: una pressione tremenda verso quella che noi chiamiamo «giudaizzazione» di Gerusalemme.

Cosa ci si può aspettare dalla società civile?
La preoccupazione di Obama ora è la riforma sanitaria e il presidente non ha ancora il controllo del suo partito, ma ha dichiarato che la pace in Palestina è interesse nazionale degli Stati Uniti, cioè che il conflitto è contrario ai loro interessi. Noi (la società civile internazionale) abbiamo un ruolo importante: far capire che - contrariamente alle aspettative di tanti governi - la questione palestinese non scomparirà. La resistenza palestinese, noi, l'International solidarity movement, le organizzazioni per i diritti umani, manteniamo viva la questione. E all'estero assistiamo alla nascita di un movimento molto forte che chiede boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds) per Israele.



Intervista a Jeff Halper a Fahrenheit su Radio3:

sabato 26 settembre 2009

L'ultima tentazione, vivere col nemico

di Michele Giorgio

Oggi incontro a New York tra il presidente statunitense, quello dell'Anp e il premier israeliano. Gli stessi americani confessano di avere «poche speranze». Netanyahu, che non ha fatto alcuna concessione sul congelamento degli insediamenti, gongola. Mentre Abu Mazen ingoia amaro, per non aver saputo dire di no GERUSALEMME Sempre più palestinesi acquistano casa nelle colonie
«Come viviamo a Pisgat Zeev?». Maher riflette qualche secondo prima di rispondere. «Mah, bene - dice - anche se abbiamo pochissimi contatti con i nostri vicini. Qualcuno ha capito che siamo palestinesi e ci evita, altri invece ci tollerano». Maher, palestinese di Gerusalemme, ci ha chiesto di non rivelare il suo cognome. Da due anni risiede con la famiglia in un appartamento della colonia ebraica di Pisgat Zeev, costruita a ridosso della zona araba (Est) della città.
Fino a pochi anni fa, un palestinese non avrebbe mai scelto di stare in una colonia, assieme ai «settler» che occupano la zona destinata a diventare la capitale del futuro Stato di Palestina. Nel migliore dei casi sarebbe stato accusato di essere un «collaborazionista» di Israele. «Ma oggi le cose stanno cambiando - sostiene Maher -, a Gerusalemme Est non ci sono case disponibili, costruirne una costa troppo e gli israeliani raramente concedono i permessi edilizi. Per me venire qui è stata una scelta obbligata».
Non sono noti i dati ufficiali del 2008 sulla presenza di palestinesi nelle colonie ebraiche costruite nel settore di Gerusalemme sotto occupazione dal 1967. Quelli del 2007, resi noti dall'Israel center for Jerusalem studies, evidenziano un fenomeno che non è più marginale. Dei 42mila abitanti di Pisgat Zeev circa 1.300 sono palestinesi, oltre 800 i palestinesi che vivono tra i 7mila residenti della Collina Francese e altri 600 risiedono a Neve Yaakov.
Una «presenza» passata inosservata per lungo tempo e che comincia a «preoccupare» gli ultranazionalisti israeliani. Non sorprende perciò l'incontro convocato il mese scorso dall'organizzazione militante «Nuovo Sinedrio» proprio a Pisgat Zeev, per discutere e condannare con parole di fuoco gli israeliani ebrei che vendono le case ai palestinesi. «Chi cede le case agli arabi è un traditore - ha proclamato Hillel Weiss, il portavoce del «Nuovo Sinedrio» -: siamo in guerra, se gli arabi conquistano anche un solo quartiere (colonia, ndr), saranno in grado di conquistare tutti gli altri».
Yusef, che come Maher preferisce non rivelare pienamente la sua identità, vive da un anno a Pisgat Zeev e non sembra avere in mente propositi di «riconquista». Tuttavia lo rallegra l'idea di aver messo piede nella terra che un tempo, prima delle confische, apparteneva al quartiere arabo di Beit Hanina. «Questa è terra palestinese e poi non è stato (il premier israeliano) Netanyahu a proclamare che ebrei e arabi possono vivere ovunque a Gerusalemme?», dice accennando un sorriso beffardo. Certo, spiega, «mi piacerebbe vivere assieme ai palestinesi ma a Gerusalemme est non si trova una casa per meno di mezzo milione di dollari e quelle che costano meno sono state costruite senza permesso e rischiano di venir demolite». «Qui - prosegue - ho comprato da un israeliano una casa di 150 metri quadrati per 245mila dollari e con tutti i documenti in regola».
Yusef aggiunge che a Pisgat Zeev ha trovato quei servizi che il comune non garantisce nella zona palestinese di Gerusalemme. «Ho a disposizione i trasporti pubblici, un servizio efficiente di raccolta dei rifiuti, strade asfaltate, con i marciapiedi e ben illuminate. Preferirei avere dei vicini diversi, ma non si può ottenere tutto nella vita», aggiunge ancora con tono beffardo. Yusef e Maher vivevano, rispettivamente, a Beit Hanina e Beit Safafa, quartieri dove gli abitanti pur pagando, come gli israeliani, le tasse comunali ricevono in cambio ben pochi servizi.
Secondo il ricercatore Khalil Tufakji, autore di «La dearabizzazione di Gerusalemme est», dopo oltre 40 anni di occupazione israeliana le misure anti-arabe si starebbero rivelando un «boomerang». «Il fine della politica (israeliana) nella zona est di Gerusalemme è stato quello di privare di servizi e diritti la popolazione palestinese allo scopo di spingerla a lasciare la città e di contenere la crescita demografica araba. (L'ex premier israeliana) Golda Meir voleva limitare gli abitanti palestinesi al 25%, ma oggi sono almeno il 35% e nel 2040 saranno il 55%, quindi la maggioranza», spiega Tufakji. «Ai palestinesi vengono negati i permessi edilizi - aggiunge - le aree edificabili sono state ridotte al minimo, le residenze revocate con vari pretesti (almeno 4mila famiglie sono state costrette a lasciare la città dal 1967)».
Tutto ciò, prosegue il ricercatore, «sta spingendo tante famiglie arabe a cercare casa nelle colonie ebraiche, approfittando della disponibilità di non pochi israeliani a vendere le loro abitazioni per trasferirsi nelle zone centrali del paese». Tufakji ricorda che l'86% dei terreni palestinesi a Gerusalemme est è stato confiscato e che le aree edificabili sono rare. «E anche quando si ottiene il permesso - spiega - occorre pagare subito 35mila dollari all'amministrazione comunale e, in ogni caso, non si possono costruire case alte più di tre piani». Nel 2004, riferisce Tufakji, delle 1.695 concessioni edilizie rilasciate dal comune appena 116 sono andate ai palestinesi e di queste solo 46 riguardavano abitazioni» A queste condizioni, conclude Tufakji, i palestinesi non possono far altro che comprare o affittare case ovunque siano disponibili a Gerusalemme.
Maher intanto si gode la sua abitazione a Pisgat Zeev e chiede all'Anp di Abu Mazen di creare un fondo speciale per Gerusalemme. «Sarebbe un modo per riappropriarci della nostra terra e per sfidare le politiche israeliane - dice - ora siamo costretti a rivolgerci alle banche israeliane per ottenere un mutuo, mentre le banche palestinesi potrebbero facilitare chi desidera comprare case israeliane». Secondo Khalil Tufakji «sarebbe opportuno» ma, aggiunge, «l'Anp e il mondo arabo non hanno una strategia valida per contrastare le politiche di Israele a Gerusalemme».


http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090922/pagina/09/pezzo/260475/

Israele cerca l’appoggio di Obama sull’indagine a Gaza

di Barak Ravid e Anshel Pfeffer

Mercoledì, Israele ha domandato a un certo numero di membri ad alto livello dell’amministrazione di Obama di appoggiarla nel limitare il grave danno internazionale prodotto dalla relazione della Commissione Goldstone rilasciata questa settimana, nella quale si accusa Israele di aver commesso crimini di guerra durante l’Operazione Piombo Fuso.

Il Ministero degli Esteri, mercoledì, ha deciso di concentrare i suoi sforzi nel tentativo di combattere le accuse contenute nel rapporto rivolgendosi agli Stati Uniti, alla Russia e a pochi altri membri appartenenti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e al Consiglio per i Diritti Umani, che sono coinvolti nelle guerre in Iraq e in Afghanistan.

Il messaggio israeliano sostiene che il rapporto Goldstone minaccia quei paesi, in quanto esso crea grosse difficoltà alla guerra al terrore, e ci si deve perciò impegnare per impedire che esso venga portato davanti alla Corte Criminale Internazionale dell’Aja (ICC). Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha sollevato la questione mercoledì con l’inviato speciale per il Medio Oriente, Gorge Mitchell, mentre il rappresentante del Ministero degli Esteri, Daniel Ayalon, ne ha discusso con l’ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite, Susan Rice, e con altri funzionari di alto livello.

La Commissione Internazionale, nominata dal Consiglio per i Diritti Umani e guidata dal giudice Richard Goldstone, accusa Israele di crimini di guerra e sta trasmettendo le sue raccomandazioni al ICC dell’Aja. Secondo il rapporto: “Alcune delle azioni del governo di Israele potrebbero giustificare una decisione della corte competente che accerti che sono stati commessi crimini contro l’umanità,” e “….la Missione rileva che c’è stato un certo numero di violazioni del Diritto Umanitario Internazionale e della legge per i Diritti Umani.”

Il Ministero degli Esteri ha costituito un forum di esperti legali per seguire qualsiasi azione processuale che potrebbe essere intentata a seguito del rapporto e per essere pronti per una situazione nella quale una causa fosse stata portata di fronte al tribunale dell’Aja.

Ayalon, che stava facendo una visita di lavoro negli Stati Uniti, ha cominciato giovedì a inviare messaggi a membri ad alto livello dell’amministrazione degli Stati Uniti e del Congresso per la necessità di presentare obiezioni nei confronti del rapporto. Egli ha rilevato che la stessa strategia che era occorsa in merito alla Risoluzione 3379 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che metteva in relazione il sionismo con il razzismo, deve essere messa in atto con la relazione Goldstone.

Il Presidente Shimon Peres ha rilasciato una dichiarazione, mercoledì, nella quale si afferma che il rapporto Goldstone “ha fatto una parodia della storia.”

Sempre mercoledì, l’ufficio del Primo Ministro ha deciso che Peres avrebbe dovuto trovarsi in prima linea nella campagna israeliana contro la relazione. Netanyahu e il Ministro degli Esteri Avigdor Lieberman non si sarebbero espressi pubblicamente sull’argomento, ma sarebbero impegnati in una diplomazia nascosta.

Ufficiali superiori del Ministero degli Esteri, mercoledì, hanno dichiarato che la decisione israeliana di non collaborare con la Commissione Goldstone era stata giusta. Essi hanno insistito che questo era il caso, malgrado il fatto che tutti gli israeliani che hanno prestato liberamente testimonianza prima della Commissione Goldstone, come Noam Shalit, padre del soldato israeliano rapito Gilad Shalit, hanno inciso sulla relazione e sullo stesso Goldstone in modo affine a ciascun’altra testimonianza israeliana.

Un funzionario superiore del Ministero degli Esteri ha affermato: “Noi sapevamo che la relazione sarebbe stata inclemente, ma Goldstone ci ha sorpreso sul come è stata dura. Ciò sta proprio a dimostrare quanto eravamo dalla parte della ragione nel non collaborare. Se l’avessi fatto, avremmo legittimato questo scandalo.”

La relazione di 575 pagine descrive 36 casi specifici nel quali l’IDF ha violato in modo evidente le leggi internazionali. Un gran numero di casi sono già stati presi in esame dall’IDF a seguito dell’operazione, all’interno delle unità che avevano preso parte ai combattimenti e da cinque comitati istituiti con ordinanza del capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi. Nella maggior parte dei casi, le indagini hanno stabilito che i soldati hanno operato secondo gli ordini, nonché nel rispetto del diritto internazionale. Tuttavia, non è stato deciso ancora se fare uso del materiale raccolto da parte dell’IDF per confutare le conclusioni del gruppo di Goldstone o di lasciarlo come prova nel caso in cui all’estero vengano formulate delle accuse contro specifici ufficiali delle Forze Israeliane di Difesa.

L’IDF e il Ministero della Giustizia sono preoccupati in quanto il rapporto potrà rendere difficoltosi i viaggi all’estero per ufficiali israeliani. Un gruppo congiunto del Ministero della Giustizia, dell’IDF e del Ministero degli Esteri ha già una squadra di esperti legali, che avvertono gli ufficiali di non lasciare il paese e in alcuni casi ha impedito loro di visitare specifici paesi.

Viene richiesto che ogni soldato e ufficiale si sottoponga ad un incontro informativo di sicurezza prima di intraprendere un viaggio all’estero; lo scorso anno, venne richiesto ad alcuni ufficiali che avevano preso parte ai combattimenti a Gaza, in particolar modo se i loro nomi erano comparsi nei media, di sottoporsi ad un incontro informativo speciale.

Fonti legali hanno affermato che sono stati coinvolti per trattare la questione principalmente esperti civili, piuttosto che l’ufficio dell’Avvocatura Militare Generale.

Diversamente da quanto comporta la sua partecipazione al gruppo congiunto, l’IDF si è rifiutato ufficialmente di confutare le affermazioni contenute nel rapporto Goldstone. L’esercito ha deciso di fornire al Ministero degli Esteri le risposte alle critiche all’estero riguardanti le proprie attività.

Haaretz ha rivelato una direttiva dell’IDF, che fa seguito all’Operazione Piombo Fuso, la quale proibisce di pubblicare i nomi e le foto dei comandanti di battaglione che hanno partecipato all’operazione per il timore di rappresaglie legali nei loro confronti. Pochi mesi dopo, l’IDF ha fatto marcia indietro sulla questione.

Israele è preoccupato in quanto gli ufficiali, e perfino gli alti funzionari governativi ed i ministri che sono coinvolti nell’approvazione dell’operazione, potrebbero rischiare di essere arrestati in un paese che sia firmatario del trattato che riconosce la Corte Criminale Internazionale dell’Aja (ICC) e che è obbligato, di conseguenza, a rispettare i suoi mandati di cattura.

Le autorità sono preoccupate, in modo particolare, per gli ufficiali che sono in visita in paesi che permettono ai loro sistemi legali che prevedono la “giurisdizione universale” di processare – a seguito delle denuncie presentate da privati cittadini o delle iniziative di giudici inquirenti – una persona sospettata di aver commesso crimini di guerra in un altro paese. Sono inclusi tra questi paesi la Gran Bretagna, il Belgio, la Spagna e la Norvegia.

Fino ad oggi, c’è stato solo un caso di un ufficiale che ha corso il rischio di venire arrestato in un paese straniero – il maggiore generale Doron Almong, ex-comandante della regione occupata meridionale (GOC) – che è dovuto restare a bordo dell’aereo con il quale era andato a Londra e ritornare in Israele per la paura di essere arrestato, dopo che un gruppo palestinese aveva intentato un’azione legale contro di lui per crimini di guerra.

http://www.haaretz.com/hasen/spages/1115233.html

(tradotto da mariano mingarelli)
http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&task=view&id=1493&Itemid=76





Gli Stati Uniti affermano che il rapporto delle Nazioni Unite su Gaza è ingiusto nel confronti di Israele


di The Associated Press

Venerdì, l’amministrazione Obama ha criticato seccamente una relazione delle Nazioni Unite che afferma che Israele ha commesso numerosi crimini di guerra all’inizio di quest’anno durante la sua guerra a Gaza. La dichiarazione del Dipartimento di Stato U.S. mette fine a quasi una settimana di reazioni fatte in sordina alle conclusioni che sono già state respinte da Israele.


Il Dipartimento di Stato ha sostenuto che le conclusioni della Commissione delle Nazioni Unite guidata dal giudice sudafricano Richard Goldstone sono state ingiuste nei confronti di Israele, in quanto non hanno affrontato in modo completo il ruolo avuto nel conflitto dai gruppi di miliziani palestinesi di Hamas. Ha affermato che gli Stati Uniti si sono opposti alla raccomandazione che le azioni compiute da Israele siano rinviate alla Corte Criminale Internazionale (ICC).

Il portavoce Ian Kelly ha raccontato ai giornalisti: "Benché la relazione faccia riferimento ad entrambe le parti del conflitto, essa si concentra in modo schiacciante sulle azioni compiute da Israele."

Egli ha sostenuto che, mentre la relazione trae conclusioni di fatto e di legge eccessivamente radicali nei riguardi di Israele, le sue risultanze sulla condotta deplorevole di Hamas e il mancato adeguamento dello stesso al diritto umanitario internazionale durante il conflitto, sono al più approssimative e incerte.

La relazione delle Nazioni Unite, consegnata giovedì, ha criticato Israele per le morti di civili a Gaza, affermando che nell’offensiva era stata utilizzata una forza sproporzionata. Durante le tre settimane del conflitto sono stati uccisi circa 1.400 palestinesi. Israele ha rilanciato l’accusa dicendo che la colpa è stata di Hamas in quanto i suoi combattenti avevano dislocato sia le forze che coloro che lanciavano i missili in quartieri affollati.

La relazione ha dichiarato che anche il lancio da parte di Hamas di razzi sui civili israeliani è un crimine di guerra.

Giovedì, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha criticato ferocemente le conclusioni, affermando che le forze di sicurezza israeliane stavano esplicando il diritto del loro paese di difendere se stesso. Gli Stati Uniti sono rimasti per lo più muti fino a venerdì, limitando la loro reazione ad espressioni di preoccupazione a proposito di argomenti non specificati e sul mandato della commissione.

Il mandato era stato assegnato a Goldstone e ai suoi colleghi dal Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, quest’anno, prima che il Presidente Barack Obama avesse deciso di mettere fine alla politica dell’amministrazione Bush di snobbare l’istituzione, prendendovi parte.

Venerdì, Kelly ha affermato che gli Stati Uniti avevano l’intenzione di mantenere la discussione sulla relazione all’interno del Consiglio e che erano preoccupati molto seriamente riguardo alla raccomandazione che essa fosse sollevata presso altre istituzioni, inclusa la Corte Criminale Internazionale.

Egli ha sostenuto: "Facciamo notare in particolare che Israele possiede degli organismi democratici per indagare e per intentare azioni penali contro eventuali abusi, e noi esortiamo che sia Israele ad utilizzare quelle istituzioni."

Anche degli ufficiali degli Stati Uniti si sono dimostrati preoccupati per la possibilità che Stati Arabi ed altri potrebbero cercare di sollevare la questione del rapporto, la prossima settimana, alla sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Kelly ha detto che era importante per il mondo restare concentrato sul tentativo di rilanciare i colloqui di pace Israelo-palestinesi e ha continuato:

"Noi ci auguriamo che gli impegni assunti presso il Consiglio per i Diritti Umani e le altre istituzioni internazionali e riguardanti il Medio Oriente potranno avere prospettive di futuro sul come si può sostenere l’obiettivo di una soluzione a due-stati."
http://www.haaretz.com/hasen/spages/1115659.html

(tradotto da mariano mingarelli)
http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&task=view&id=1494&Itemid=76

Disonore all'Aja

di Gideon Levy

C’è un nome su ogni pallottola, e c’è qualcuno responsabile per ogni crimine. E’ stato squarciato, una volta per tutte, il mantello di teflon che Israele si era avvolto tutt’attorno fin dall’Operazione Piombo Fuso ed ora devono essere affrontate questioni difficili. E’ divenuto superfluo porre la domanda se a Gaza vennero commessi dei crimini di guerra, in quanto sono già state fornite risposte chiare ed autorevoli. In tal modo, deve essere posta la domanda successiva: di chi è la colpa? Se vennero commessi dei crimini di guerra a Gaza, ne consegue che tra di noi ci sono dei criminali di guerra in libertà. Essi devono essere giudicati responsabili e puniti. Questa è la rigorosa conclusione tracciata dalla relazione dettagliata delle Nazioni Unite.


Per quasi un anno, Israele ha cercato di sostenere che il sangue versato a Gaza era soltanto acqua. Un rapporto si era succeduto all’altro, con effetti ugualmente raccapriccianti: assedio, fosforo bianco, scempio di civili innocenti, infrastrutture distrutte – crimini di guerra in tutti i resoconti. Ora, dopo la pubblicazione della relazione, la più importante e schiacciante fra tutte, compilata dalla commissione diretta dal giudice Richard Goldstone, i tentativi di Israele di screditarli appaiono assurdi e le vuote sbruffonate dei suoi portavoce risuonano patetiche.

Per quanto essi si siano concentrati sugli inviati e non sulle loro comunicazioni: l’investigatore per il Controllo del rispetto dei Diritti Umani raccoglie cimeli nazisti, Rompere il Silenzio è un affare, Amnesty International è anti-semitica. Tutto è propaganda a buon mercato. Come se, questa volta, l’inviato fosse un professore in propaganda. Nessuno può affermare seriamente che Goldstone, un fervente ed attivo sionista, con legami profondi con Israele, sia un anti-semita. Sarebbe ridicolo. Quantunque ci siano stati alcuni agenti che hanno tentato di usare effettivamente l’arma dell’anti-semitismo contro di lui, sebbene riconoscessero che tutto ciò fosse farsesco. Si sarebbe dovuto ascoltare la commovente intervista che la figlia di Goldstone, Nicole, aveva concesso mercoledì a Razi Barkai della Radio dell’Esercito, per capire che lei di fatto amava Israele e ne era un’amica autentica. Ella aveva raccontato, in ebraico, dell’angoscia mentale che suo padre aveva provato e della sua convinzione che, se non ci fosse stato lui, il rapporto sarebbe stato di gran lunga peggiore. Precisò che tutto ciò che lui voleva era un Israele che fosse più giusto.

Nessuno può avere dei dubbi neppure sulle sue credenziali giuridiche, in quanto giurista internazionale al massimo livello con una impeccabile reputazione. L’uomo che aveva scoperto la verità sul Ruanda e sulla Yugoslavia, aveva fatto ora la stessa cosa riguardo a Gaza. L’ex principale procuratore del Tribunale Criminale Internazionale dell’Aja non è solo un’autorità giuridica, ma anche un’autorità morale; quindi critiche nei confronti del giudice non saranno prese in considerazione. E’ tempo, invece, di guardare più da vicino gli accusati. Quei responsabili sono in primo luogo Ehud Olmert, Ehud Barak e Gabi Ashkenazi. Finora, cosa incredibile, nessuno di loro ha pagato alcun prezzo per i loro misfatti.

Piombo Fuso è stata un’aggressione esagerata su una popolazione civile assediata e senza protezione alcuna che non ha mostrato quasi alcun segno di resistenza durante l’operazione. Ciò avrebbe dovuto sollevare una collera immediata in Israele. E’ stata una Sabra e Chatila, questa volta eseguita da noi. Sennonché in questo paese, a seguito di Sabra e Chatila, ci fu una bufera di proteste, mentre dopo Piombo Fuso sono state sciorinate solo pure citazioni.

Avrebbe dovuto essere sufficiente considerare solo la spaventosa disparità nel numero delle vittime – 100 palestinesi uccisi per ognuno degli israeliani – per turbare l’intera società di Israele. Non c’era alcuna necessità di aspettare Goldstone per comprendere quale terribile cosa era avvenuta tra il Davide palestinese e il Golia israeliano. Ma gli israeliani hanno preferito guardare da un’altra parte o starsene con i loro bambini sulle colline attorno a Gaza ed esultare per la carneficina causata dalle bombe.

Sotto la copertura di media impegnati, di analisti ed esperti criminalmente parziali – i quali tutti si sono trattenuti dal divulgare le informazioni – e con un’opinione pubblica compiacente alla quale era stato fatto il lavaggio del cervello, Israele si è comportato come se nulla fosse accaduto. Goldstone ha messo fine a tutto ciò e per questo dobbiamo ringraziarlo. Dopo che il suo compito si è concluso, saranno prese le ovvie iniziative pratiche.

Sarebbe meglio che Israele facesse appello al coraggio per cambiare la rotta, fintanto che c’è ancora tempo, facendo sulla materia indagini reali, e non tramite le inchieste grottesche delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), senza aspettare Goldstone. Olmert e Tzipi Livni devono essere costretti a pagare per la loro vergognosa decisione di non collaborare con Goldstone, sebbene a questo punto il latte è versato. Ora che la relazione prosegue sulla sua strada verso la Corte Criminale Internazionale (ICC) e potrebbero essere emessi presto dei mandati di arresto, ciò che resta ancora da farsi è la costituzione immediata di una Commissione d’Inchiesta per evitare il disonore dell’Aja.

Forse la prossima volta che si darà inizio ad un’altra inutile ed infelice guerra, si prenderà in considerazione non solo il numero delle vittime che si dovranno probabilmente subire, ma anche il pesante danno politico che tali guerre producono.

Alla vigilia del nuovo anno ebraico, Israele sta diventando, meritatamente, un paese emarginato ed odiato. Non dobbiamo dimenticarcelo per un minuto solo.
http://www.haaretz.com/hasen/spages/1115240.html

(tradotto da mariano mingarelli)
http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&task=view&id=1492Itemid=76



Dopo la pubblicazione del rapporto dell’ Onu per i fatti avvenuti a Gaza: Israele al Tribunale per i crimini di guerra!

di Michael Warschawski

La pubblicazione del rapporto dell’Onu per l’accertamento dei fatti sul conflitto di Gaza è un passo importante, a condizione che abbia un seguito. Esso è importante anzitutto per la sicurezza pubblica internazionale: durante i due decenni del predominio dei neo-conservatori negli Stati Uniti, abbiamo assistito agli sforzi congiunti della casa Bianca e di Israele per vanificare le norme del diritto internazionale. Possiamo ricordare lo stupido commento di George W. Bush: egli, nella cornice della guerra globale al terrorismo sostenne che era essenziale annullare le limitazioni poste ai combattenti dalla Convenzione di Ginevra.

E Israele, già nei primi anni ’70 aveva deciso che la Quarta Convenzione di Ginevra non era applicabile nei Territori Occupati.

Il rapporto, e prima di questo il parere consultivo della Corte Internazionale sulle Conseguenze legali della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, ricorda al mondo che la lezione dell’epoca nazista non è stata dimenticata e che il mondo non è una giungla in cui predomina la forza, ma una comunità civilizzata che si sforza di agire secondo le leggi internazionali che proteggono i fondamentali diritti degli esseri umani. E per coloro che obiettano, giustamente, che queste norme internazionali sono violate ogni giorno dalla maggioranza dei Paesi del mondo, noi dobbiamo rispondere che è meglio che ci siano norme e leggi che proteggono i più deboli, anche se non sono generalmente rispettate, che vivere in una società senza leggi che permette al più forte di fare ciò che vuole.

Le risposte dei leader israeliani erano prevedibili: “rapporto prevenuto” “ approccio unilaterale”, e “ noi abbiamo sempre saputo che Goldstone è antisemita…. o un Ebreo che odia se stesso”.

A capo di questa campagna sta, e non poteva essere altrimenti, Ehud Barak, che ha dichiarato che “questo rapporto non solo premia il terrorismo, ma addirittura lo incoraggia” . Barak ha aggiunto che il Ministro della Difesa assicurerà la consulenza legale a quegli ufficiali contro i quali fossero avviati procedimenti legali.

In base ai regolamenti della legge internazionale si suppone che le conclusioni del rapporto saranno ora discusse nel Consiglio per i Diritti Umani e poi nel Consiglio di Sicurezza, che potrebbe poi trasferirle alla Corte Internazionale dell’Aja o a una Corte internazionale speciale, cosicché coloro che sono sospettati di aver commesso crimini di guerra possano essere processati e se ritenuti colpevoli condannati a stare dietro le sbarre per molti anni. In ogni modo, questa stessa legge internazionale ha previsto dei privilegi per le grandi potenze, cioè il potere di veto.

La diplomazia israeliana concentrerà immediatamente i propri sforzi nel convincere alcune di queste potenze a porre il veto e togliere Israele dai guai. E soprattutto farà pressioni sulla casa Bianca.

Così è arrivata la vera prova per Barack Obama : nessuna dichiarazione su “la pace entro due anni” e “il diritto dei palestinesi a uno stato”, ma al momento una trattativa con politiche concrete che contraddicono i valori che egli sostiene e con chiare esortazioni a adire alle vie legali.

Barack deciderà se al sistema delle leggi internazionali sarà permesso di fare ciò che ci si aspetta da esse . Con mio dispiacere, io scommetto che lui starà con Israele, cioè, che gli Stati Uniti useranno il potere di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.Comunque, il veto americano non porrà fine alla storia: numerosi Paesi nel mondo hanno adottato leggi che permettono loro di giudicare persone accusate di crimini di guerra contro l’umanità.

Sta a noi, donne e uomini, in Israele e all’estero, che temono per la sicurezza pubblica internazionale e le leggi internazionali, il compito di unire le forze per porre a questi criminali di guerra il dilemma: rischiare di essere processati se vengono trovati in paesi il cui la legge lo permette, o rimanere chiusi in Israele, abbandonando l’idea di fare turismo in Spagna o un anno sabbatico nel Regno Unito.

Come è accaduto al precedente comandante delle forze aeree israeliane che è stato costretto a rimanere dentro l’aereo all’aeroporto di Londra, quando seppe dell’ordine di detenzione che lo aspettava se avesse messo piede in Gran Bretagna.

La creazione di un “Osservatorio sui crimini di guerra israeliani” può essere uno dei contributi della società civile per dar seguito al rapporto dell’ ONU , in aggiunta alla raccolta del rilevante materiale e delle testimonianze sulle azioni militari di Israele a Gaza , e al monitoraggio dei movimenti di coloro che sono sospettati di crimini di guerra.
http://www.alternativenews.org/michael-wasrschawski/2160-following-pubblication-of-report-of-the-un-fact- finding-mission-on-gaza-israeli-war-criminals-to-trialcourt-.html

(tradotto da Caterina Guarna)
http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&task=view&id=1495&Itemid=76

DOPO IL RAPPORTO ONU SUI MASSACRI A GAZA Sindacato britannico boicotta Israele

di Michelangelo Cocco

Il British trades union congress (Tuc), che con i suoi 6,5 milioni di iscritti è la principale confederazione sindacale britannica, ha aderito alla campagna di boicottaggio disinvestimento e sanzioni (Bds) contro Israele. La decisione è stata presa ieri (a maggioranza assoluta) nella giornata di chiusura del congresso annuale del Tuc a Liverpool e all'indomani della pubblicazione del rapporto della Commissione Onu presieduta dal giudice Richard Goldstone che accusa Israele di aver commesso «crimini di guerra» durante l'offensiva militare contro la Striscia di Gaza (27 dicembre 2008-18 gennaio 2009) costata la vita a oltre 1.400 palestinesi, la maggior parte dei quali civili. Dichiarandosi a favore dei due stati e condannando anche il lancio di razzi Qassam da parte di Hamas, il Tuc chiede al governo laburista di Gordon Brown di «cessare ogni commercio di armi con Israele, imporre il bando all'importazione di merci prodotte negli insediamenti illegali nei Territori occupati». Il sindacato, che ha seguito l'esempio dell'irlandese Irish congress of trade unions (Ictu) e del sudafricano Cosatu, «appoggia le mosse per la sospensione del trattato di associazione Israele-Unione europea». Il Palestine solidarity campaign, la rete di associazioni britanniche che ha spinto per il boicottaggio, festeggia la sua vittoria. Così come gli attivisti palestinesi promotori del Bds, che incassano un altro successo dopo la decisione presa qualche giorno fa dal Fondo pensioni norvegese di ritirare i propri investimenti dall'azienda militare israeliana Elbit. Per la Palestina - sostengono i militanti - «è finalmente arrivato il momento sudafricano», con riferimento alla campagna internazionale di boicottaggio che contribuì in maniera determinante a porre fine al regime dell'apartheid in Sudafrica.

http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090918/pagina/07/pezzo/260179/

Sindacati inglesi si impegnano per un boicottaggio di massa dei prodotti israeliani. E quelli italiani ?

17 settembre – Con una decisione storica, i sindacati britannici hanno votato l’impegno a costruire un movimento di massa per il boicottaggio, il disinvestimento e sanzioni verso Israele e per una soluzione negoziata basata sulla giustizia per i Palestinesi.

La mozione è passata al Congresso Annuale 2009 del TUC (Trade Unions Council) a Liverpool oggi 17 settembre, che riunisce i sindacati rappresentanti di 6 milioni e mezzo di lavoratori del Regno Unito. Hugh Lanning, presidente della Palestine Solidarity Campaign, ha detto: ‘Questa mozione è il culmine di un’ondata di mozioni passate nelle conferenze sindacali quest’anno, a seguito dell’indignazione per la brutale guerra di Israele contro Gaza, e riflette la massiccia crescita del sostegno ai diritti palestinesi. Lavoreremo con i sindacati per sviluppare una campagna di massa per il boicottaggio dei prodotti israeliani, specialmente i prodotti agricoli provenienti dalle colonie illegali israeliane nella West Bank palestinese’.


La mozione invita inoltre il TUC General Council a premere sul governo inglese per la fine di ogni commercio di armi con Israele e per sostenere le iniziative per la sospensione dell’accordo commerciale fra Israele e l’Unione Europea. I sindacati sono anche incoraggiati a disinvestire dalle aziende che traggono profitto dalla quarantennale occupazione illegale israeliana di Gaza e della West Bank.


La mozione è stata presentata dal sindacato dei Vigili del Fuoco. I più grandi sindacati di categoria inglesi, compresi Unite(pubblico impiego) e UNISON (sanità), hanno votato a favore della mozione.
La mozione approvata condanna anche le dichiarazioni del sindacato israeliano Histadrut a sostegno della guerra di Israele contro Gaza, che ha ucciso 1.450 Palestinesi in tre settimane, e invita a riconsiderare le relazioni del TUC con l’Histadrut.

I sindacati inglesi hanno raggiunto quelli del Sud Africa e dell’Irlanda nell’impegno per una campagna di boicottaggio di massa per costringere Israele a rispettare il diritto internazionale e per fare pressione sullo Stato ebraico affinchè adempia alle Risoluzioni dell’ONU sul diritto alla giustizia ed all’uguaglianza per il popolo palestinese.

www.boicottaisraele.it
http://www.forumpalestina.org/news/2009/Settembre09 18-09-09SindacatiInglesiBoicottaggio.htm

giovedì 10 settembre 2009

NAHR EL-BARED: "...dove sono finiti i milioni di dollari stanziati dai Governi Internazionali per la ricostruzione?"

Due anni fa, il 7 settembre del 2007 finiva l'attacco al campo profughi Nahr el-Bared in Libano, ma dopo due anni la situazione è ancora al limite della sopravvivenza

9/09/2009 Report da Nahr al Bared

Il campo profughi di Nahr al Bared, con suoi 40.000 abitanti, era il secondo per dimensioni in Libano, possedeva fino al 2007, l’economia più stabile e sviluppata fra tutti i 12 campi

profughi palestinesi ufficialmente registrati sul territorio libanese. Era frequentato dai libanesi e anche dai vicini siriani, che godevano di prezzi competitivi e credito. Tra il maggio e il settembre del 2007, il campo è stato raso al suolo dall’Esercito Libanese, con il pretesto di estirparne le milizie di Fatah al Islam che vi si erano insediate. Il numero degli elementi armati di questa organizzazione non superava le quattrocento unità e nelle sue fila si contavano curdi, siriani, libanesi, sauditi e pochi elementi palestinesi estranei al campo.


Di ritorno a Nahr el Bared a 16 mesi dalla mia ultima vista, molte cose sembrano cambiate, anche se i cambiamenti rispetto al disastro e alla devastazione sono in realtà minimi e la situazione dei profughi è disperata. Il campo è tutt’ora occupato dall’Esercito Libanese, circondato da 5 check point con l’ingresso proibito a chiunque. I palestinesi devono mostrare l’ID ai check point ogni volta che entrano nel campo e spesso devono sottostare a controlli. ...

.... leggi tutto: http://www.associazionezaatar.org/index.php?option=com_content&task=view&id=676&Itemid=1

mercoledì 9 settembre 2009

450 nuove case, schiaffo agli Usa da Tel Aviv

COLONIE I palestinesi: impossibile negoziare

di Michele Giorgio
Pare che Benyamin Netanyahu abbia ordinato ai suoi ministri e collaboratori di non usare mai la parola «hakpaah», in ebraico «congelamento», a proposito del blocco dell'espansione delle colonie ebraiche nella Cisgiordania palestinese richiesto dagli Stati Uniti. Si dovranno usare, ha spiegato il premier israeliano, i termini «hashayah» (sospensione), «hamtana» (periodo di attesa) o al massimo «tzimtzum» (riduzione). E ha ragione il primo ministro, perché la colonizzazione non subirà alcuna sosta. Perfino durante la sospensione - di pochi mesi - che Netanyahu sta negoziando con l'Amministrazione Obama, le costruzioni andranno avanti.
Ieri il ministro della difesa israeliano, Ehud Barak, ha dato il via libera alla costruzione di 455 nuove abitazioni per i coloni. I nuovi appartamenti si aggiungeranno ai circa 2.500 già approvati e che non rientrano nella possibile intesa tra Israele e Usa. Delle nuove case, 149 saranno costruite nella colonia di Har Gilo, nel blocco di Etzion vicino a Betlemme, 84 a Modiin Ilit ad ovest di Ramallah, 76 a Givat Zeev a nord di Gerusalemme, 25 a Kedar nei pressi della colonia di Maale Adumim ad est di Gerusalemme e altre 20 nell'insediamento di Maskiot nella Valle del Giordano. Nei prossimi giorni, Barak autorizzerà la costruzione di un'altra novantina di alloggi, portando a 455 il numero delle nuove costruzioni.
La notizia non ha sorpreso nessuno visto che venerdì scorso funzionari israeliani avevano provveduto ad annunciare che Netanyahu avrebbe dato il via libera ai nuovi progetti generando reazioni europee ed americane di scarso rilievo. È stato confermato infatti l'arrivo nel fine settimana dell'inviato Usa per il Medio Oriente, George Mitchell, che da alcuni mesi sta cercando di convincere Netanyahu a bloccare le attività negli insediamenti ebraici per riannodare il dialogo diretto con l'Anp di Abu Mazen. Ma alla fine ha vinto il premier israeliano che ha scelto di tenere fede alla sua ideologia e di mantenere le promesse fatte ai coloni in campagna elettorale.
Ieri era rimasta solo la destra ultraradicale che fa capo al deputato Aryeh Eldad (Unione nazionale) a puntare l'indice contro il governo Netanyahu «che costruisce un decimo delle case edificate in passato dalla sinistra». Un gruppo di coloni, per vendetta, ha tagliato 50 alberi d'ulivo in un terreno palestinese vicino a Ramallah. I settler «pragmatici» al contrario sorridono, perché hanno capito che l'Amministrazione Obama non farà nulla di serio per imporre a Israele il blocco della colonizzazione.
Ieri, ad esempio, si è tenuta una cerimonia simbolica, per la posa della prima pietra di un nuovo grande progetto edilizio destinato a dar vita a 3.500 nuovi alloggi, nella più grande delle colonie ebraiche, Maaleh Adumim, a est di Gerusalemme, in presenza anche di alcuni ministri. L'iniziativa, secondo gli organizzatori, prelude alla creazione di un intero nuovo sobborgo di Maaleh Adumin, denominato Mevasseret Adumim e pensato per ospitare migliaia di nuovi coloni.
Si tratta peraltro della cosiddetta zona «E1» dove, ma solo a parole, gli americani si oppongono a qualsiasi sviluppo degli insediamenti ebraici perché finirebbe per tagliare in due la Cisgiordania.
A questo punto un'intesa tra Usa e Israele per la sospensione temporanea delle costruzioni potrebbe rivelarsi addirittura controproducente per l'Anp e Abu Mazen. Netanyahu potrebbe affermare di aver «inutilmente» fermato i progetti edilizi nelle colonie (che, al contrario, andranno avanti senza alcun problema) di fronte ad un presidente palestinese che continua a respingere l'idea di una ripresa del negoziato diretto. Un rischio che l'Anp sembra aver colto.
«Sia ben chiaro - ha avvertito il caponegoziatore dell'Anp Saeb Erekat - che la decisione di Israele di costruire più di 450 nuove case vanifica gli effetti che l'annuncio di un congelamento delle colonie avrebbe comportato». Erekat mette le mani in avanti ma in casa palestinese temono che l'Amministrazione Obama abbia definitivamente accettato le condizioni di Netanyahu.

http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090908/pagina/08/pezzo/259305/
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