“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

domenica 27 settembre 2009

Jeff Halper: «Barack ostaggio del Congresso, è il momento del boicottaggio»

L'antropologo israeliano: il presidente ha le mani legate. La società civile si mobiliti per tenere viva la questione palestinese

di Michelangelo Cocco

Jeff Halper coniuga pessimismo della ragione - «Nessuna indicazione che Obama possa fare serie pressioni su Israele; 24mila case palestinesi demolite dal 1967» - e ottimismo della volontà - «Il movimento di boicottaggio sta riscuotendo grandi successi». In giro da Bolzano a Napoli per promuovere «Ostacoli alla pace» (Una città), abbiamo intercettato l'antropologo israeliano fondatore del Comitato israeliano contro la demolizione delle case (Icahd) a Roma [...].

Sulle colonie ebraiche nei Territori palestinesi occupati Obama sembra incapace di raggiungere con Netanyahu perfino un accordo parziale. Come lo spiega?
Israele sa da sempre che il suo asso nella manica è il Congresso, dove gode del sostegno bipartisan di repubblicani e democratici. Così Tel Aviv può permettersi di non ascoltare la Casa Bianca. Quando George W. Bush varò la Road map, il parlamento spedì all'ex presidente una lettera intimandogli di non toccare Israele. Finché Barack Obama non si mostrerà capace di portare il Congresso sulle sue posizioni, di essere duro con Israele, nulla cambierà.

Se Obama portasse dalla sua il Congresso, quali strumenti potrebbe utilizzare per fare pressione su Tel Aviv?
L'economia israeliana dipende dall'accesso privilegiato alla tecnologia militare statunitense. I progetti di sviluppo di armamenti che sottoscrive con l'Europa o la Cina vanno avanti grazie a questa disponibilità di tecnologia «made in Usa». Se Obama dicesse al ministro della difesa Gates: «Stop ai progetti comuni, ai milioni di dollari Usa nel sistema antimissile Arrow», Israele cederebbe alle richieste Usa perché, altrimenti, la sua economia crollerebbe.

Oltre alle colonie, quali sono i principali «ostacoli alla pace» descritti nel suo libro?
Per quanto riguarda gli ostacoli fisici: i checkpoint, il Muro, le demolizioni di case palestinesi. Ma quello che ho provato a dimostrare è che il grande ostacolo è Israele. Non si può sostenere che entrambe le parti debbano negoziare o cessare la violenza. Tutti gli ostacoli sul terreno sono stati creati da Israele, che è la potenza occupante.

E la demolizione delle case palestinesi a Gerusalemme?
Gli Usa chiedono il congelamento delle colonie ma non la fine dell'abbattimento, illegale, delle case palestinesi che va avanti ogni giorno: soltanto a Gerusalemme est 22mila case - 1/3 delle abitazioni palestinesi - hanno ricevuto ordine di demolizione da parte delle autorità occupanti. Da due generazioni viene sistematicamente impedito ai palestinesi di costruire a Gerusalemme, mentre 250mila israeliani si sono stabiliti nella sua parte orientale, come coloni. Il tentativo è quello di distruggere Gerusalemme est come capitale palestinese: una pressione tremenda verso quella che noi chiamiamo «giudaizzazione» di Gerusalemme.

Cosa ci si può aspettare dalla società civile?
La preoccupazione di Obama ora è la riforma sanitaria e il presidente non ha ancora il controllo del suo partito, ma ha dichiarato che la pace in Palestina è interesse nazionale degli Stati Uniti, cioè che il conflitto è contrario ai loro interessi. Noi (la società civile internazionale) abbiamo un ruolo importante: far capire che - contrariamente alle aspettative di tanti governi - la questione palestinese non scomparirà. La resistenza palestinese, noi, l'International solidarity movement, le organizzazioni per i diritti umani, manteniamo viva la questione. E all'estero assistiamo alla nascita di un movimento molto forte che chiede boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds) per Israele.



Intervista a Jeff Halper a Fahrenheit su Radio3:

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