“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

sabato 26 settembre 2009

L'ultima tentazione, vivere col nemico

di Michele Giorgio

Oggi incontro a New York tra il presidente statunitense, quello dell'Anp e il premier israeliano. Gli stessi americani confessano di avere «poche speranze». Netanyahu, che non ha fatto alcuna concessione sul congelamento degli insediamenti, gongola. Mentre Abu Mazen ingoia amaro, per non aver saputo dire di no GERUSALEMME Sempre più palestinesi acquistano casa nelle colonie
«Come viviamo a Pisgat Zeev?». Maher riflette qualche secondo prima di rispondere. «Mah, bene - dice - anche se abbiamo pochissimi contatti con i nostri vicini. Qualcuno ha capito che siamo palestinesi e ci evita, altri invece ci tollerano». Maher, palestinese di Gerusalemme, ci ha chiesto di non rivelare il suo cognome. Da due anni risiede con la famiglia in un appartamento della colonia ebraica di Pisgat Zeev, costruita a ridosso della zona araba (Est) della città.
Fino a pochi anni fa, un palestinese non avrebbe mai scelto di stare in una colonia, assieme ai «settler» che occupano la zona destinata a diventare la capitale del futuro Stato di Palestina. Nel migliore dei casi sarebbe stato accusato di essere un «collaborazionista» di Israele. «Ma oggi le cose stanno cambiando - sostiene Maher -, a Gerusalemme Est non ci sono case disponibili, costruirne una costa troppo e gli israeliani raramente concedono i permessi edilizi. Per me venire qui è stata una scelta obbligata».
Non sono noti i dati ufficiali del 2008 sulla presenza di palestinesi nelle colonie ebraiche costruite nel settore di Gerusalemme sotto occupazione dal 1967. Quelli del 2007, resi noti dall'Israel center for Jerusalem studies, evidenziano un fenomeno che non è più marginale. Dei 42mila abitanti di Pisgat Zeev circa 1.300 sono palestinesi, oltre 800 i palestinesi che vivono tra i 7mila residenti della Collina Francese e altri 600 risiedono a Neve Yaakov.
Una «presenza» passata inosservata per lungo tempo e che comincia a «preoccupare» gli ultranazionalisti israeliani. Non sorprende perciò l'incontro convocato il mese scorso dall'organizzazione militante «Nuovo Sinedrio» proprio a Pisgat Zeev, per discutere e condannare con parole di fuoco gli israeliani ebrei che vendono le case ai palestinesi. «Chi cede le case agli arabi è un traditore - ha proclamato Hillel Weiss, il portavoce del «Nuovo Sinedrio» -: siamo in guerra, se gli arabi conquistano anche un solo quartiere (colonia, ndr), saranno in grado di conquistare tutti gli altri».
Yusef, che come Maher preferisce non rivelare pienamente la sua identità, vive da un anno a Pisgat Zeev e non sembra avere in mente propositi di «riconquista». Tuttavia lo rallegra l'idea di aver messo piede nella terra che un tempo, prima delle confische, apparteneva al quartiere arabo di Beit Hanina. «Questa è terra palestinese e poi non è stato (il premier israeliano) Netanyahu a proclamare che ebrei e arabi possono vivere ovunque a Gerusalemme?», dice accennando un sorriso beffardo. Certo, spiega, «mi piacerebbe vivere assieme ai palestinesi ma a Gerusalemme est non si trova una casa per meno di mezzo milione di dollari e quelle che costano meno sono state costruite senza permesso e rischiano di venir demolite». «Qui - prosegue - ho comprato da un israeliano una casa di 150 metri quadrati per 245mila dollari e con tutti i documenti in regola».
Yusef aggiunge che a Pisgat Zeev ha trovato quei servizi che il comune non garantisce nella zona palestinese di Gerusalemme. «Ho a disposizione i trasporti pubblici, un servizio efficiente di raccolta dei rifiuti, strade asfaltate, con i marciapiedi e ben illuminate. Preferirei avere dei vicini diversi, ma non si può ottenere tutto nella vita», aggiunge ancora con tono beffardo. Yusef e Maher vivevano, rispettivamente, a Beit Hanina e Beit Safafa, quartieri dove gli abitanti pur pagando, come gli israeliani, le tasse comunali ricevono in cambio ben pochi servizi.
Secondo il ricercatore Khalil Tufakji, autore di «La dearabizzazione di Gerusalemme est», dopo oltre 40 anni di occupazione israeliana le misure anti-arabe si starebbero rivelando un «boomerang». «Il fine della politica (israeliana) nella zona est di Gerusalemme è stato quello di privare di servizi e diritti la popolazione palestinese allo scopo di spingerla a lasciare la città e di contenere la crescita demografica araba. (L'ex premier israeliana) Golda Meir voleva limitare gli abitanti palestinesi al 25%, ma oggi sono almeno il 35% e nel 2040 saranno il 55%, quindi la maggioranza», spiega Tufakji. «Ai palestinesi vengono negati i permessi edilizi - aggiunge - le aree edificabili sono state ridotte al minimo, le residenze revocate con vari pretesti (almeno 4mila famiglie sono state costrette a lasciare la città dal 1967)».
Tutto ciò, prosegue il ricercatore, «sta spingendo tante famiglie arabe a cercare casa nelle colonie ebraiche, approfittando della disponibilità di non pochi israeliani a vendere le loro abitazioni per trasferirsi nelle zone centrali del paese». Tufakji ricorda che l'86% dei terreni palestinesi a Gerusalemme est è stato confiscato e che le aree edificabili sono rare. «E anche quando si ottiene il permesso - spiega - occorre pagare subito 35mila dollari all'amministrazione comunale e, in ogni caso, non si possono costruire case alte più di tre piani». Nel 2004, riferisce Tufakji, delle 1.695 concessioni edilizie rilasciate dal comune appena 116 sono andate ai palestinesi e di queste solo 46 riguardavano abitazioni» A queste condizioni, conclude Tufakji, i palestinesi non possono far altro che comprare o affittare case ovunque siano disponibili a Gerusalemme.
Maher intanto si gode la sua abitazione a Pisgat Zeev e chiede all'Anp di Abu Mazen di creare un fondo speciale per Gerusalemme. «Sarebbe un modo per riappropriarci della nostra terra e per sfidare le politiche israeliane - dice - ora siamo costretti a rivolgerci alle banche israeliane per ottenere un mutuo, mentre le banche palestinesi potrebbero facilitare chi desidera comprare case israeliane». Secondo Khalil Tufakji «sarebbe opportuno» ma, aggiunge, «l'Anp e il mondo arabo non hanno una strategia valida per contrastare le politiche di Israele a Gerusalemme».


http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090922/pagina/09/pezzo/260475/

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