“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

domenica 6 settembre 2009

La vicenda degli studenti etiopi mostra un razzismo molto diffuso in Israele

di Gideon Levy

Tutto ad un tratto si può pronunciare la parola “razzismo.” Un’onda traumatica ha colpito la compiaciuta società israeliana. A Petah Tikva, poche dozzine di bambini etiopi non sono stati accettati alle scuole religiose. Il ché è veramente terribile, tutti hanno versato lacrime per la foto straziante di Aschalo Sama, un ragazzo al quale è stata negata la scuola. Perfino il Presidente Shimon Peres ha manifestato turbamento. A chiunque è permesso di essere turbato; è una cosa politicamente corretta.

Oh, come siamo belli, come sembriamo progressisti ai nostri occhi. Guardate come si lotta contro il razzismo, in modo risoluto ed intransigente. E tuttavia, in un batter d’occhio, ci si dimenticherà di questa onta, e si sarà lasciati con le molte altre espressioni di razzismo della società, alle quali, con aria assonnata, si resta indifferenti.
Questo è il nostro modo di essere. Di volta in volta, quando il liquame trabocca, e si diffonde da tutte le parti il fetore e non si può tenere stretto ulteriormente il nostro naso, tutti si grida contro l’ingiustizia fino a che, una volta ancora, il coperchio non viene sigillato. Di sotto, l’acqua continua a schiumare e a fare fetore, ma sarà coperta e contenuta.

E’ difficile sapere, per esempio, come molti genitori benpensanti e sprezzanti avrebbero accettato di iscrivere i loro figli in una classe dove ci fosse una maggioranza di bambini di origine etiope. E quanti affitterebbero un appartamento ad uno studente arabo? Ma sono lontani dal rendersi conto che è razzismo. E quanti genitori sono sconvolti dalla selezione notturna che avviene ai club dove i loro figli adolescenti vanno per divertirsi? Di routine, sono esclusi “altri” giovani – etiopi. arabi, drusi e talvolta anche mizrahim.Viene vietato l’ingresso a stranieri che abbiano la pelle scura e non si ode alcuna protesta.

Ogni giorno le guardie di sicurezza controllano le persone che entrano all’aeroporto internazionale Ben Gurion per sentire se hanno accento arabo e nessuno si lamenta. Questo non è razzismo. E’ come se avessimo organizzato per noi stessi un codice etico fatto di doppi o tripli principi morali. Lottiamo contro alcune espressioni, ma chiudiamo gli occhi nei confronti di altri esempi, di gran lunga peggiori.

Il caso degli allievi di Petah Tikva è la punta di un iceberg di razzismo. I bambini suscitano sentimenti particolari; rivelazioni vergognose sul sistema scolastico faranno sempre scandalo. Ma proprio in quella settimana in cui il paese era in collera a proposito degli etiopi, Nir Hasson aveva scritto su Haaretz che Gerusalemme investe 577 NIS all’anno per uno scolaro di Gerusalemme Est e 2.372 NIS per uno scolaro di Gerusalemme Ovest. Quattro volte meno, solo per la diversità etnica dei bambini. Tutto ciò, qui, non risulta essere razzismo. Neppure il fatto che a Gerusalemme Est mancano circa 1.000 aule scolastiche, solo perché i suoi abitanti sono palestinesi. Nessuno urla di fronte a queste rivelazioni, nessuno ne è infuriato, compreso il Presidente, che lotta contro il razzismo.

Ora che possiamo usare il termine “razzismo”, è giunto il momento di ammettere che la nostra società è totalmente razzista, che tutte le sue parti costituenti sono razziste. Il sistema giuridico, ad esempio, non è meno guasto della scuola Morasha di Petah Tikva. In molti casi c’è una legge per un ebreo ed un’altra per un arabo. La Banca d’Israele, una istituzione statale non meno della scuola Morasha, con i suoi 900 dipendenti, è risultata sempre “pulita” da impiegati arabi, tranne talvolta per uno o due. Circa 70.000 cittadini israeliani, tutti arabi naturalmente, vivono in villaggi non riconosciuti, senza elettricità o acqua corrente, senza una strada di accesso e, talvolta, senza una scuola. Perché? Perché sono arabi. Ogni settimana alle partite di calcio si sentono epiteti e canti razzisti, per i quali squadre di questo genere, in Europa, sarebbero penalizzate con severità. Qui, gli arbitri non si preoccupano neppure di segnalarli.

L’ultimo incidente si è verificato la settimana scorsa allo stadio di Doha a Sakhnin durante una partita tra il Bnei Sakhnin e il Beitar Gerusalemme.

E non abbiamo ancora detto nulla sull’atteggiamento nei confronti dei lavoratori stranieri, sull’occupazione (la più grande espressione di razzismo), e neppure sull’atteggiamento, fin dalla fondazione dello stato, verso i misrahim. La lista è lunga e vergognosa.

Anche quando tutti i bambini di Petah Tikva avessero trovato scuole da frequentare, nonostante la loro pelle nera, la società non cesserà di essere razzista. Si ritornerà molto rapidamente, come solito, agli affari e all’auto-compiacimento. Guarda quanto razzismo c’era qui, l’abbiamo combattuto ed è scomparso senza lasciare traccia.

http://www.haaretz.com/hasen/spages/1112050.html
http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&task=view&id=1473&Itemid=27

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