“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

sabato 10 gennaio 2009

È bello e terapeutico contraffare la Storia

di Mariuccia Ciotta
UN DOCUMENTARIO A CARTONI ANIMATI
VALZER CON BASHIR DI ARI FOLMAN. DOCUMENTARIO D'ANIMAZIONE. ISRAELE 2008
Sulla Croisette, in gara, era iniziata la lunga vita felice di questo documentario-cartoon sul massacro di Sabra e Chatila, diretto dall'israeliano Ari Folman, militare diciannovenne in quel settembre 1982 a Beirut. Più di 25 anni dopo, la strage continua, e il film conquista premi e allori crescenti... Non è un incubo di Ari Folman, che tormentato dai fantasmi della mente decide di esplorare il suo passato alla ricerca della verità e dei suoi dettagli. Ma è la realtà d'oggi. Alla ricerca di un'assoluzione per aver partecipato alla «cosa peggiore che può succedere a un essere umano», il massacro di donne, bambini anziani - 700 secondo stime ufficiali, 3.500 secondo il giornalista israeliano Kapeliouk - Folman sembra dimenticare il presente. Non «vede» quel che è davanti ai suoi occhi, come direbbe Saramago. Forma espressiva inconsueta, il cartone animato, per raccogliere le testimonianze dei commilitoni, anche loro piuttosto smemorati, disegnati in caricature essenziali (Yoni Goodman) con nome cognome e voce. Senza immagini di archivio, dice il regista, era impossibile documentare la guerra «così irreale» vista attraverso ricordi svaporati. Un po' come Persepolis autobiografia d'inchiostro e carboncino. Ma qui la novità sta nell'ambizione di Folman di documentare un fatto storico che va al di là dell'esperienza personale. L'ex soldato israeliano regista (Made in Israel, 2001, film sulle tracce dell'ultimo nazista vivente) dichiara di aver progettato il film come terapia, durata 4 anni, per uscire dal suo rimosso, lo stress post-traumatico che colpisce molti militari, afflitti da incubi e deliri, come l'amico Baaz, primo testimone che racconta il sogno ricorrente dove 26 cani inferociti lo inseguono. Li uccise, quei ventisei cani che abbaiavano troppo, perché davano l'allarme ai villaggi palestinesi presi d'assalto dall'esercito israeliano. Da lì si inanellano le «interviste» ai compagni di allora, giovanissimi, impauriti su carri armati sputafuoco all'impazzata, impreparati a trovarsi in mezzo al sangue, macellati e macellai di ragazzini e di intere famiglie, che per caso si trovavano sulla traiettoria delle loro mitraglie. Folman non è indulgente nel descrivere la guerra «insensata e inutile», e l'invasione del Libano «che non portò a niente». Il suo è un percorso sofferto che dice l'abbrutimento degli uomini in divisa, inebetiti e incoscienti, teen-ager catapultati in mezzo alle pallottole dei cecchini. Danzando il «valzer con Bashir» sotto una pioggia di piombo. Bashir è Gemayel, presidente del Libano, assassinato alla vigilia del massacro di Sabra e Chatila. Ma ecco che Folman passa dal rimorso alla contraffazione della Storia. I ricordi sono pieni di buchi neri, mancano caselle, il filo del racconto si strappa e per uscire dal trauma Folman ci mostra figurine astratte, controluce su un mare in fiamme, attonite di fronte all'evento che accade oltre il loro sguardo e per colpa esclusiva di qualcun altro. «Le milizie falangiste cristiane sono totalmente responsabili del massacro. I militari israeliani non erano al comando», sostiene. L'ex giovane soldato Ari Folman può finalmente tirare un sospiro di sollievo, non ha ucciso civili inermi. In quanto ad Ariel Sharon, allora ministro della difesa, se c'era dormiva. Lo svegliò, come mostra il film, una telefonata inquieta di un fotoreporter che gli chiede se è a conoscenza di quel che accade nei campi. Sharon dal suo letto d'albergo risponde placido: grazie dell'informazione. Punto. Folman avanza il sospetto che Sharon sapesse e che non fece nulla per fermare la mattanza. Gli servirà un altro film per raccontare il flash-back. Per esempio, che Sharon, dopo l'offensiva in Libano e i 18.000 morti quasi tutti civili, e la partenza di 14 mila militanti armati dell'Olp per sempre dal Libano e l'assicurazione americana che i campi profughi sarebbero stati protetti, annunciò che 2.000 terroristi erano ancora stipati a Beirut Ovest e si accordò sfacciatamente con i falangisti, assetati di vendetta dopo l'assassinio di Gemayel, per ripulire Sabra e Chatila. Fu lui a dirigere personalmente l'operazione dal tetto dell'ambasciata del Kuwait affacciato su Chatila, a dare l'ok ai miliziani di entrare nei campi, a felicitarsi per il risultato, a ordinare all'esercito israeliano di circondare i campi e impedire la fuga dei palestinesi. Le accuse lo costrinsero poi alle dimissioni. Una bambina disegnata come un angelo dormiente tra le macerie visualizza la carneficina che sfuma nelle immagini di repertorio girate subito dopo (e perché non rivediamo quelle insostenibili di Jean Chamoun e Pino Adriano?). Un effetto oscenamente invedibile, corpi squarciati, gonfi e accartocciati tra i tratti di matita del cartoon. Ari Folman probabilmente non ha partecipato alla «pulizia» dei campi, ma non potrà dormire sonni tranquilli e con lui i suoi amici di mitra. Mancano 40 ore al suo film, quelle di un genocidio che non è ancora finito.
Il Manifesto 9/01/2009

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