“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

giovedì 18 dicembre 2008

Boicottaggio: un'arma che funziona?

Aziende israeliane boicottate, è fuga dalle colonie

di Michele Giorgio *

Territori occupati, successo del fronte pacifistaI coloni israeliani insediati nella Cisgiordania palestinese crescono tre volte di più della popolazione all'interno dello Stato ebraico ma possono rallegrarsi fino ad un certo punto di questo «successo». Non poche imprese locali e straniere infatti stanno lasciando i loro insediamenti per non incappare nella campagna internazionale di boicottaggio delle merci prodotte illegalmente nei Territori occupati palestinesi ed esportate quasi sempre con l'ingannevole etichetta «made in Israel». A sottolineare la crescente efficacia della campagna contro le colonie ebraiche è stato ieri, sulle pagine del quotidiano Ha'aretz, Adam Keller, membro di Gush Shalom e storico attivista del boicottaggio dei prodotti esportati dai settler. Keller ha riferito dei casi più importanti: l'azienda vinicola Barkan ha spostato nel kibbutz Hulda gli impianti aperti anni fa nell'area industriale vicina alla colonia di Ariel (Nablus). Altrettanto farà la Mul-T-Lock, che ha il monopolio del mercato locale delle serrature, mentre la Soda Club ha promesso ai partner svedesi della Empire che non esporterà più con l'etichetta «made in Israel» i prodotti confezionati nella fabbrica di Mishor Addumin (Cisgiordania).La campagna di boicottaggio e l'intensificazione dei controlli europei sui prodotti provenienti dalle colonie cominciano ad influenzare concretamente le decisioni di tante imprese locali ed estere che in passato avevano investito senza freni nei Territori occupati, in violazione delle risoluzioni dell'Onu e degli accordi commerciali tra Ue e Israele che, almeno ufficialmente, sbarrano la strada ai prodotti degli insediamenti. Quattro anni fa, ha ricordato Adam Keller, il responsabile dell'area industriale di Barkan, Eti Alush, proclamò con soddisfazione che «l'economia non ha ideologia» e che schiere di investitori erano pronti ad occupare gli spazi in Cisgiordania messi da disposizione da Israele a condizioni molto favorevoli (incluso il lavoro palestinese a basso costo), proprio per incentivare la produzione negli insediamenti colonici. Alush minimizzò i controlli europei e spiegò l'inganno: le imprese presenti nelle colonie utilizzavano le etichette delle loro filiali aperte in Israele, riuscendo in questo modo ad aggirare facilmente il boicottaggio. Ma il gioco è durato troppo. L'Ue ha cominciato ad attuare controlli più severi mentre alcune industrie europee, come la Heineken, di fronte alle prospettiva di un boicottaggio, hanno imposto ai partner israeliani di lasciare i territori occupati. Tra le iniziative recenti c'è quella del gruppo svedese Assa Abloy - leader mondiale nella fabbricazione di serrature meccaniche ed elettroniche - che, criticata da un rapporto diffuso dalla Chiesa svedese e dalle ong Diakonia e SwedWatch, ha imposto alla Mul-T-Lock israeliana, acquistata nel 2000, di chiudere gli stabilimenti in Cisgiordania. Qualche settimana fa in Gran Bretagna, di fronte alla cancellazione del contratto di distribuzione decisa dalla società Caledonian MacBrayn (messa sotto pressione da associazioni locali di boicottaggio delle colonie israeliane), la Mayanot Eden, azienda dell'acqua minerale con sede nelle Alture del Golan (territorio siriano occupato nel 1967), ha dovuto chiudere i suoi magazzini a Loanhead (Edimburgo).«Dopo anni di duro lavoro, il boicottaggio dei prodotti delle colonie israeliane comincia a dare i suoi frutti, finalmente registriamo qualche successo importante contro l'illegalità», ci dice Omar Barghuti, fondatore della campagna «Palestinian Boycott, Divestment and Sanctions», una delle numerose associazioni che, non solo all'estero, spingono per il boicottaggio delle colonie e, più in generale, dei prodotti israeliani, in risposta all'occupazione militare di Cisgiordania e Gaza. «L'Europa - ha aggiunto Barghuti - di recente ha ulteriormente migliorato le sue relazioni economiche e politiche con Israele ma di fronte ai crimini israeliani contro i civili palestinesi, specie quelli di Gaza, ha deciso di intervenire per mettere fine all'illegalità delle esportazioni provenienti dalle colonie».



*da il Manifesto del 17 dicembre


http://www.forumpalestina.org/news/2008/Ottobre08/Aziendeitaliane/AziendeItaliane.htm


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