“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

giovedì 7 agosto 2008

Le Ong accusano i servizi israeliani "Informazioni in cambio di cure"

Un'organizzazione umanitaria denuncia i metodi estorsivi dei servizi "Negano assistenza sanitaria ai palestinesi che si rifiutano di fare la spia"

da la Repubblica

http://www.repubblica.it/2008/08/sezioni/esteri/servizi-israeliani/servizi-israeliani/servizi-israeliani.html

"Parla apertamente e non avrai problemi a tornare in Israele, altrimenti ...". Sono molte le minacce, esplicite o indirette, fatte dai servizi segreti israeliani ai palestinesi che vanno a curarsi in Israele. Lo denuncia l'organizzazione umanitaria "Physicians for human rights" (Phr), nota anche per i suoi report su Abu Graib, Guantanamo e le torture nelle carceri afghane. Il rapporto dell'organizzazione umanitaria si basa sulle testimonianze di oltre 30 palestinesi.

Bassam al-Wahidi, un giovane giornalista palestinese vicino a Fatah, ha raccontato all'Ong di esser stato portato più volte in stanze sotterranee e lì minacciato che, se non avesse dato informazioni, gli avrebbero negato l'accesso alle cure mediche in Israele. Situazione complicata quella di al-Wahidi: se da un lato curarsi in Palestina è quasi impossibile perché gli ospedali vengono giù a pezzi e sono stracolmi, dall'altro "chi parla", al ritorno, è condannato a morte. Il giovane al-Wahidi, che si è rifiutato di collaborare, ha dovuto interrompere le cure per un problema alla vista: adesso è completamente cieco all'occhio destro e presto lo sarà del tutto.

Nonostante l'uso dei civili a scopi di guerra sia espressamente vietato dal diritto internazionale, Israele continua a mostrarsi sordo a ogni richiamo. Secondo il rapporto di Phr, l'organizzazione umanitaria statunitense formata da medici e operatori sanitari che si impegnano per il rispetto dei diritti umani, i ricatti dello Shin Bet in alcuni casi hanno avuto come oggetto della "transazione" cure essenziali alla stessa sopravvivenza dei palestinesi.

E' il caso di Abu Obeid, un operaio palestinese di 38 anni che soffre di cuore e da anni si reca in Israele, dove gli hanno impiantato un pacemaker. Ma un anno fa un ufficiale israeliano lo ha ricattato: "Facciamo un patto: tu mi dai un'informazione e io ti semplifico l'ingresso in Israele". Abu Obeid si è rifiutato di parlare e l'ufficiale gli ha negato il permesso. Da quel giorno Abu Obeid sta aspettando che un team israeliano di medici possa entrare a Gaza per controllargli il pacemaker. Un ufficiale israeliano, Shlomo Dror, in una nota alla France Press, ha smentito qualsiasi ricatto: "E' una prassi che chiunque entri in Israele debba essere interrogato sui motivi della sua visita e se appartenga o meno a un'organizzazione teroristica - si è giustificato l'ufficiale - d'altronde per noi sarebbe inutile cercare di carpire informazioni da loro, poiché al ritorno in Palestina sarebbero subito tacciati di collaborazionismo".

(4 agosto 2008)

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