“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

giovedì 18 giugno 2009

LE "GENEROSE" OFFERTE DI NETHANYAU. UN VELENOSO INGANNO DA RESPINGERE

Dopo il discorso del premier israeliano all’Università Bar Ilan, considerato la risposta al discorso di Barck Obama all’Università del Cairo, è bene essere chiari. Non solo lo Stato di Israele, per bocca del suo capo del governo, non ha fatto alcun passo avanti, ma ha inteso ribadire con forza, addirittura con arroganza, la sua unilaterale visione del mondo, della storia ed anche dell’attualità.

Nethanyau non ha fatto altro che riaffermare i capisaldi dell’ideologia sionista, a partire dalla negazione del diritto dei Palestinesi ad uno Stato degno di questo nome, che è cosa diversa dal bantustan privo di sovranità vagamente ipotizzato dal premier israeliano, in perfetta ed assoluta continuità con i suoi predecessori. Quanto alle responsabilità storiche, Nethanyau ha nuovamente rovesciato sui Palestinesi e gli Arabi la colpa di non aver mai accettato una prospettiva di pace e convivenza, facendo risalire agli scontri del 1920 con i primi coloni sionisti l’inizio di un rifiuto arabo che arriva fino ai nostri giorni, passando per la guerra del 1948, le prime azioni dei fedayn negli anni 50 e la guerra del 1967. Del resto, per il premier israeliano è chiaro che il diritto del popolo ebraico ad occupare la terra palestinese risale alla bellezza di 3500 anni fa, smentendo, quindi, che la nascita di Israele sia una diretta conseguenza dell’Olocausto: “Il diritto di stabilire il nostro Stato sovrano qui, nella Terra di Israele, deriva da un semplice fatto: Eretz Israel è il luogo di nascita del popolo ebraico”. Conseguentemente, chi ha abitato la terra di Palestina per secoli e secoli, non ha alcun diritto su quella terra, tanto è vero che la precondizione per qualunque colloquio con i Palestinesi è la seguente: “I Palestinesi devono riconoscere Israele come lo Stato del popolo ebraico”. E tanti saluti a quel milione e mezzo di cittadini israeliani che ebrei non sono, per non parlare dei profughi della diaspora palestinese, che nella terra di Israele non dovranno mai più mettere piede.

Sulla base di questi presupposti, non c’è da stupirsi se lo “Stato” immaginato da Nethanyau per i Palestinesi non abbia nulla a che vedere con i principi di sovranità che contraddistinguono gli Stati veri e propri: può, infatti, definirsi Stato un’entità privata della sua capitale storica (Gerusalemme), di confini certi e del controllo sugli stessi, del controllo del suo spazio aereo e – lo supponiamo – anche delle sue acque territoriali? “Niente esercito, nessun controllo dello spazio aereo. Misure reali ed efficaci (da parte della comunità internazionale, guidata dagli U.S.A., dice Nethanyau) per impedire che vi arrivino armi, non come succede adesso a Gaza. I Palestinesi non possono stipulare trattati militari”. Se a tutto questo aggiungiamo che, nella visione di Nethanyau, non è nemmeno pensabile frenare quella che chiama la “crescita naturale” delle colonie ebraiche, appare evidente che nemmeno l’arrendevolissima Autorità Palestinese di Abu Mazen può permettersi di accettare ufficialmente queste condizioni.

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Il futuro delineato dalle parole di Nethanyau non potrebbe essere più nero, per i Palestinesi, per l’intero Medio Oriente, per tutta l’area che va dal Mediterraneo al Caucaso. E’ un futuro di guerra, anche in aperto contrasto con la nuova amministrazione U.S.A., come, del resto, era scritto a chiare lettere nel documento elaborato dai servizi di intelligence israeliani, trasmesso alla Knesset lo scorso autunno, ben prima delle elezioni presidenziali nordamericane. Resta da vedere se il governo israeliano avrà veramente la forza di agire contro gli indirizzi dell’amministrazione Obama o se, di converso, l’amministrazione Obama avrà veramente la forza di autonomizzarsi, almeno in parte, da quella Israel Lobby che ha condizionato la politica mediorientale degli U.S.A. dalla presidenza Eisenhower in poi.

Allo stato attuale, le prime reazioni al discorso di Nethanyau non autorizzano il minimo ottimismo. L’amministrazione U.S.A., contro ogni evidenza, lo ha definito “un passo avanti”, anche se non si capisce verso cosa, e lo stesso ha fatto l’Unione Europea. L’ Autorità Palestinese, la Lega Araba e tutti i governi arabi – compreso il moderatissimo e servile Egitto – lo hanno, invece, bollato per quello che è: la pietra tombale di ogni possibile negoziato. Hamas lo ha definito un discorso razzista e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina un proclama di guerra ed un insulto alla comunità internazionale. Arrivando a casa nostra, non possiamo non notare come, dopo il discorso del premier israeliano, Claudio Pagliara sia tornato a parlare a reti RAI unificate, lodando la proposta dello Stato palestinese “smilitarizzato”, senza che qualcuno abbia fatto sentire una voce di dissenso. Siamo pronti a scommettere che, di fronte alle reazioni negative dei Palestinesi e del mondo arabo, ripartirà il tormentone politico-mediatico sulle “generose offerte”, che l’altro ieri erano quelle di Barak, ieri quelle di Sharon ed Olmert, oggi sono quelle di Nethanyau.

In questo scenario, la sola cosa ragionevole da fare è quella di rilanciare la solidarietà con il popolo palestinese e il boicottaggio dell’economia di guerra israeliana. La sola alternativa, è la complicità – palese o occulta, poco importa – con il delirio di onnipotenza sionista, un delirio che si mostra pronto a scatenare nuove guerre e nuovi genocidi nella convinzione di assicurarsi, per questa via, la perpetuazione del proprio dominio. Mai come oggi, lottare per la Palestina significa lottare per la pace.

il Forum Palestina (www.Forumpalestina.org)

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