“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

venerdì 20 agosto 2010

Libano, piccolo storico passo

di Michele Giorgio
Approvata la legge per coloro che furono esiliati da Israele nel '48 Ora i rifugiati palestinesi potranno svolgere decine di lavori che gli erano preclusi
Un «passo modesto», un percorso ancora lungo. Smorzano gli entusiasmi, in Libano, i sostenitori dei diritti civili per i profughi. Due giorni fa il voto del Parlamento libanese ha trasformato in legge un decreto governativo che consente a centinaia di migliaia di palestinesi presenti nel paese dalla Nakba (1948), di poter finalmente svolgere decine di lavori finora preclusi. I commenti però sono tiepidi: nessuno nega l'importanza di uno sviluppo atteso da anni, ma troppe barriere continuano a condizionare l'ingresso dei rifugiati nel mondo del lavoro. Di fatto i cambiamenti potrebbero rivelarsi minimi, considerata la diffidenza che una larga porzione di libanesi continua ad avere nei confronti dei palestinesi.

«Siamo di fronte a un passo modesto compiuto dal Parlamento lungo un percorso di mille miglia, ma con le condizioni (nel paese) sono queste e non hanno permesso di raggiungere i risultati sperati», ha spiegato ieri al quotidiano as-Safir il leader druso Walid Junblatt, uno dei più attivi nel chiedere l'emendamento della legge che impediva di lavorare ai 400 mila profughi palestinesi espulsi 62 anni fa da Israele o fuggiti dalla loro terra.
Già negli anni passati le autorità di Beirut avevano eliminato qualche restrizione, ma solo il voto dell'altro giorno ha aperto spazi a miglioramenti veri della condizione dei profughi e, più in generale, al riconoscimento di diritti civili ai palestinesi. La proposta di legge completa, che difficilmente verrà approvata, prevede anche l'abolizione del divieto di proprietà della terra e il diritto di accedere al servizio sanitario nazionale. Due questioni su cui il parlamento non si è ancora pronunciato e su cui il dibattito è ancora aperto e infuocato.
«La strada da percorrere rimane molto lunga e la legge appena approvata continua a prevedere, in forma mascherata, forti limitazioni all'accesso al lavoro» per i palestinesi, avverte Sari Hanafi, docente di sociologia dell'Università Americana di Beirut e principale promotore della marcia per i diritti dei palestinesi terminata lo scorso 27 giugno davanti al Parlamento. «La legge - dice Hanafi al manifesto - prevede che l'esercizio delle professioni indipendenti debba comunque avere l'accordo preventivo degli ordini professionali». Il ministero del lavoro, aggiunge il sociologo, «rimane responsabile per l'assegnazione dei permessi ponendo così un freno alle speranze dei palestinesi». Non è secondario inoltre che il datore di lavoro sia obbligato a offrire un contratto al lavoratore palestinese, iscriverlo alla Cassa nazionale di sicurezza sociale e a stipulare a suo nome una polizza di assicurazione sanitaria e una copertura contro gli incidenti sul lavoro. Garanzie sacrosante a tutela dei lavoratori, ma che rischiano di tenere lontani i palestinesi da quelle occupazioni occasionali non contrattualizzate che almeno in una fase iniziale appaiono lo sbocco più scontato per la loro offerta di lavoro.
Sino a quando non cambierà l'atteggiamento dei libanesi cristiani e dei loro rappresentanti in Parlamento, i palestinesi non otterranno i diritti civili che chiedono da tempo, in attesa (lo ripetono a ogni occasione) di poter rientrare nella loro terra d'origine, come prevede la risoluzione 194 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che Israele rifiuta categoricamente di applicare. Spaccati tra alleati del movimento sciita Hezbollah e alleati del Partito sunnita di Saad Hariri, i libanesi cristiani si ritrovano saldamente uniti nell'escludere non solo qualsiasi ipotesi di naturalizzare i profughi - cosa che spostarebbe l'equilibrio confessionale ancora di più a favore dei musulmani - ma anche un miglioramento effettivo della condizione di vita dei palestinesi, anticamera secondo loro di un progressivo assorbimento. I deputati cristiani hanno ottenuto che qualsiasi emendamento alle leggi vigenti venga deciso in Parlamento sulla base del «consenso nazionale» e non a colpi di maggioranza.
Il ministro del lavoro Boutros Harb (cristiano), incurante dell'approvazione della nuova legge, continua a ripetere che «parlare di diritti civili per i palestinesi è un errore, perché rinvia alla nozione politica di cittadinanza, che è un diritto esclusivo dei libanesi». A suo avviso si dovrebbe parlare piuttosto di «diritti umanitari e sociali», per non suscitare equivoci. E' impensabile perciò, almeno a breve termine, l'allargamento del diritto alla proprietà anche ai profughi palestinesi. Sempre Harb spiega che «non è necessario» per un palestinese acquistare una abitazione poiché «il diritto all'affitto assicura lo stesso servizio sociale del diritto di essere proprietari di un alloggio».

da il manifesto del 19 agosto 2010

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