“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

domenica 6 febbraio 2011

Gaza: Buffer Zone?

Un comunicato delle forze di occupazione

di Silvia Todeschini

Dalla fine di dicembre i casi di civili assassinati dalle forze di occupazione israeliane si sono intensificati. Prima di questo periodo erano frequenti i casi di persone colpite da proiettili alle gambe, con le ossa maciullate, ma ancora vive. Esiste un comunicato, rilasciato dall'entità sionista, in cui si dichiara che qualunque civile presente nella buffer zone viene considerato come copertura per i combattenti palestinesi.


Il 24 dicembre le forze di occupazione israeliane hanno ammazzato Salama Abu Hashish, 20 anni, a Beit Lahya, nord della striscia. Il 28 dicembre Hassan Mohammed Qedeh, 19 anni, è stato ucciso a Khuza'a, sud della striscia. Shaban Karmout, 65 anni, è morto dopo essere stato colpito da tre proiettili al petto e al collo il 16 gennaio a Beit Hannoun, nord. Amjad ElZaaneen, 17 anni, è stato assassinato da una granata sempre a Beit Hannoun. Tutte queste persone erano disarmate.

Saber vive a Beit Hannoun, nel nord della striscia, ed è il portavoce della “local iniziative Beit Hannoun”, che, tra le diverse attività, organizza manifestazioni nella buffer zone. Mostra un foglio di cui è appena giunto in possesso, si tratta di un comunicato firmato IDF (Israeli Defence Force) e datato 26 dicembre 2010:
“[...] La presenza di civili palestinesi nell'area adiacente alla barriera di sicurezza è usata da organizzazioni terroriste per coprire le loro attività, tra cui collocare congegni esplosivi, pianificare attacchi terroristici e tentare di rapire soldati dell'IDF. Per questa ragione, l'IDF non permetterà che nessuno sia presente in quest'area. [...]”.
È interessante notare il linguaggio con cui è scritto questo comunicato: quelle che di fatto sono forze di occupazione israeliane si autodefiniscono forze di difesa (Defence Force), il muro di segregazione, la barriera razzista e sionista che tiene imprigionati i palestinesi dentro la striscia di Gaza viene definita “barriera di sicurezza”, chi combatte per la libertà del suo popolo sotto occupazione, esercitando un diritto che anche l'ONU ha riconosciuto* viene definito “terrorista”, rendere ostaggio un soldato israeliano che invade il territorio di Gaza viene definito “rapimento”(i palestinesi nelle prigioni israeliane sono diverse migliaia, sequestrati nella loro terra e spesso non imputati di nessun crimine) ...e questa riportata è solo parte del comunicato ufficiale.

Saber: “È sbagliato chiamarla buffer zone (zona cuscinetto, in italiano) perché questo è il nome che le hanno dato le forze di occupazione israeliane: esso suppone che ci siano due stati in guerra, mentre in realtà qui la situazione non si può chiamare guerra ma occupazione. Il nome più adatto è “no-go zone”, area in cui è vietato l’accesso, perché è Israele che unilateralmente proibisce l’accesso ad un territorio che di fatto dovrebbe essere sotto la giurisdizione palestinese. Noi comunque continueremo a fare manifestazioni in quell’area, perché è la nostra terra, perché con noi ci sono i contadini e gli abitanti del posto, perché se adesso ci fermiamo, la prossima volta cosa faranno? Aumenteranno la no-go zone fino ai 500 metri? Con quali conseguenze per chi ci vive e per chi la coltiva? Visto che essa già adesso comprende il 35% delle terre coltivabili di Gaza, quali sarebbero le conseguenze per la nostra autosufficienza alimentare? L’ultima volta che abbiamo fatto una manifestazione c’erano con noi i parenti di Shaban Karmut. Non abbiamo intenzione di fermarci, non sarà un comunicato a farci tirare indietro, questa è la nostra terra e continueremo ad andarci!”

Forse quello che i sionisti, con la loro retorica, i loro F16, droni, armi automatiche ad altissima precisione e carri armati non hanno capito è che sono di fronte ad un popolo che ha la forza di stare in piedi anche con le ossa delle gambe spappolate dai dum dum. Un popolo la cui dignità non è stata messa in ginocchio da più di mezzo secolo di occupazione, un popolo che fa appello alla solidarietà internazionale per vedere riconosciuti i propri diritti.

articolo originale sul blog di Silvia Todeschini



Gaza: vivere e morire sul confine

La zona-cuscinetto imposta da Israele, ruba oltre il 30% della terra agricola palestinese

di Barbara Antonelli da Nena-news del 17 giugno 2010

Quella che prima era un’area agricola ricca di ulivi, limoni e melograni si e’ oggi trasformata in un desolato scenario, un campo di morte, con torrette di avvistamento, filo spinato, artiglieria militare, soldati israeliani pronti a sparare. In inglese e’ chiamata “seam zone” o “buffer zone”, zona cuscinetto. Nata dagli Accordi di Oslo, al confine tra Gaza e Israele, si estendeva su terra palestinese per una distanza di circa 50 metri. Nel 2000, con la seconda Intifada, Israele ha deciso di espandere l’area fino a 150 metri: tagliando tutti gli alberi alti oltre un metro e trasformando – anche prima del piano di ritiro delle colonie israeliane- un’area di terra fertile in una enclave arida e abbandonata.
Dopo Operazione Piombo Fuso, sul confine da nord a sud, la zona off- limits e’ stata ulteriormente estesa, fino a 300 metri. Cosi dicono le autorita’ israeliane, ma la realta’ dei fatti e’ diversa. Le incursioni militari di terra, carri armati e bulldozer hanno sradicato altri alberi, arbusti, distrutto le serre e divorata altra terra. Ripiantare oggi, nelle terre solo vicine al confine e’ di fatto impossibile. I soldati israeliani sparano a qualsiasi cosa si muova. Un luogo il cui accesso e’ vietato anche alle organizzazioni umanitarie internazionali.
A maggio del 2009 con una pioggia di volantini gettati dagli aeroplani, Israele ha avvertito i residenti che “avrebbe sparato a vista” a chiunque si fosse addentrato nella zona. L’area vietata si estende oggi su terra palestinese per oltre un chilometro, in alcune aree fino a due chilometri, “un danno enorme per migliaia di contadini e agricoltori, oltre il 30% della terra agricola di Gaza e’ requisita per ragioni di sicurezza” ha denunciato il PARC, organizzazione che riunisce i comitati agricoli nei territori palestinesi.
Secondo un studio della ong inglese Save the Children, il 70% delle famiglie palestinesi che vivevano vicino al confine hanno dovuto temporaneamente o permanentemente – almeno una volta dal 2000 – abbandonare le loro case e terre e ricollocarsi altrove.
Ancora i dati del WFP (World Food Program) e della FAO dicono che dal 35% al 60% dell’industria agricola e’ stata distrutta a Gaza con Operazione Piombo Fuso. In termini economici, una perdita stimata intorno ai 181 milioni di dollari. In termini umani, l’impossibilita’ a sopravvivere per molte famiglie palestinesi. “Da quando e’ finita la guerra (NdR Operazione Piombo Fuso) non sono mai rientrato nella mia fattoria” dice Yahya Hudar, coltivatore di arance e limoni, di Jabalyia. Tre ettari della sua terra sono ora zona vietata.
Per la maggior parte degli agricoltori e dei braccianti agricoli per cui la terra sul confine era la sola fonte di reddito, in un luogo dove la disoccupazione e’ pari al 60%, e’ impossibile trovare un’altra occupazione. I piu’ poveri hanno cominciato un disperato girovagare sul confine, tra i resti delle macerie, alla ricerca di cemento, acciaio e altro, materiali introvabili dato il ferreo e illegale embargo imposto da Israele sulla Striscia.
Manifestazioni non-violente organizzate dai comitati popolari palestinesi sono iniziate lungo il confine gia’ nel settembre del 2008. Dall’inizio del 2010, si sono ingrandite e diffuse lungo tutto il confine, organizzate sia dal comitato locale di Beit Hanoun che dalla piu’ recente Campagna popolare per la sicurezza nella zona cuscinetto, un insieme di associazioni e gruppi locali. Saber Az – Za’neen e’ un ex lavoratore agricolo, ora coordina a tempo pieno il comitato popolare di Beit Hanoun: Az-Zaneen ha convinto i contadini e le loro famiglie a partecipare a manifestazioni settimanali, alcune voltre anche tre, quattro vole alla settimana, con l’idea di incoraggiarli a ricoltivare sulle loro terre.
Purtroppo a differenza delle manifestazioni in Cisgiordania, visto l’assedio di Gaza sulla Striscia, la partecipazione degli internazionali e’ limitata ad alcuni attivisti, i volontari internazionali dell’International Solidarity Movement. Ahmeed Adeeb, 21 anni, era con loro il 28 aprile scorso, a Nahal Oz (est di Gaza City) quando un proiettile di un ordigno dum dum lo ha colpito. E’ morto poco dopo all’ospedale di Al – Shifa. Il video di Bianca Zammit, 22 anni attivista degli ISM anche lei ferita nella stessa manifestazione insieme ad altri due palestinesi, ha fatto il giro delle liste mail. Una settimana fa , in occcasione del primo giorno della raccolta del grano, oltre dieci donne palestinesi accompagnate dagli attivisti ISM sono state attaccate dal fuoco dei soldati israeliani.
In alcuni villaggi come Khoza, a est di Khan Yunis, i chicchi di grano rimangonno a marcire sulle spighe: la paura di morire o rimanere feriti e’ troppa.
La ong palestinese Al Mezan ha reso noto che l’esercito israeliano attacca agricoltori e contadini che lavorano sui campi, anche ben oltre un chilometro e mezzo dal confine. Dall’inizio del 2009, il Palestinian Center for Human Rights riporta oltre 166 incursioni israeliane nella “zona cuscinetto”. Perche’ anche coltivare la terra mette a rischio la sicurezza di Israele.

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