“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

domenica 23 maggio 2010

Campagna BDS: emblematico editoriale di una agenzia israeliana

Un editoriale di Ynet news (agenzia israeliana) rivela le preoccupazioni e le contromisure che l’establishment israeliano intende prendere contro la campagna di pressioni internazionali avviatasi con le iniziative BDS in tutto il mondo. Ultima in ordine di tempo nel nostro paese, l’iniziativa di contestazione alla multinazionale farmaceutica israeliana “Teva” alla Fiera Cosmofarma di Roma sabato scorso. L’editoriale di Ynet news è stato tradotto da Stephanie Westbrook.


Contrastare la guerra “soft”

Fayyad si rende conto del potenziale potere della guerra “soft” contro Israele; anche noi dovremmo

di Asher Fredman
ynetnews – 5 maggio 2010

Israele sta prendendo coscienza della crescente minaccia della guerra “soft” perseguita a livello internazionale contro il paese. Pare che l’artista jazz Gil Scott-Heron abbia disdetto il suo prossimo concerto a Tel Aviv, e questo è solo l’ultimo risultato della crescente campagna per promuovere un boicottaggio culturale contro Israele. L’assalto contro la vice ambasciatrice di Israele nel Regno Unito mentre completava una sua relazione universitaria il 28 aprile è un altro segnale che la guerra “soft” può ben presto trasformarsi in una “dura”.

Quelli che portano avanti la guerra soft hanno adottato diverse tattiche, incluse le azioni legali contro funzionari israeliani all’estero, la delegittimazione di Israele come il principale paese che viola i diritti umani nel mondo, e un deciso sforzo nel mettere a tacere i sostenitori di Israele. Equiparando la loro causa alla lotta contro l’apartheid in Sud Africa, hanno fatto la promozione di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) contro Israele il punto centrale della loro campagna.

Il primo ministro palestinese Salam Fayyad sembra essere stato uno dei primi tra i responsabili politici della regione a riconoscere e apprezzare questi sviluppi. Il suo piano da due anni per rafforzare la creazione unilaterale di uno stato palestinese si basa sul presupposto che il potenziamento degli istituzioni palestinesi aiuterà a creare un clima internazionale in cui Israele è costretto ad accettare le richieste chiave palestinesi.

La scommessa è che la crescente pressione internazionale su Israele sarà un catalizzatore più efficace per concessioni israeliane piuttosto che la resistenza violenta o i difficili negoziati. Il tempo, ritiene, sta dalla sua parte.

Ad oggi, il successo del movimento BDS è stato limitato. Nonostante i ripetuti inviti da potenti ONG come Amnesty International a cessare la vendita di attrezzature militari a Israele, nessun paese ha accettato di farlo. Anche il Regno Unito, che ha creato una bufera la scorsa estate quando ha revocato alcune licenze per l’esportazione di armi verso Israele, ha insistito con forza che questo non costituiva alcun tipo di embargo.

Nonostante i numerosi tentativi di adottare risoluzioni di disinvestimento nei campus in tutti gli Stati Uniti e in Europa, sono poche le risoluzioni che sono state approvate, ancora di meno quelle attuate.

Tuttavia, il pericolo per Israele dipende dal potenziale effetto “valanga” di queste campagne. In diversi aspetti, il numero delle campagne che raggiungono il loro obiettivo è meno importante che la percezione che il movimento nel suo complesso sta guadagnando sul terreno. Questa percezione genera legittimità per la guerra soft, invoglia altri ad unirsi e può diventare una profezia che si autoavvera.

Tagliare le gambe al movimento BDS

Comprendendo l’importanza di questa percezione, il sito web dell’Israel Apartheid Week (IAW) 2010 vantava, “l’IAW 2010 si svolge dopo un anno di successi incredibili per il movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) a livello internazionale”. Gli event dell’IAW di Toronto comprendevano un incontro intitolato “Cinque anni dal lancio del BDS – Festeggiamo i nostri successi”.

È essenziale quindi che gli organismi del governo incaricati di elaborare la strategia di Israele per combattere la guerra soft dedichino risorse importanti per tagliare le gambe al movimento BDS. Ci sono poche possibilità che qualsiasi argomento possa convincere i sostenitori più convinti del BDS che è sbagliato isolare Israele. La percezione, tuttavia, che il movimento abbia successo deve essere contrastata.

Come risposta alle notizie in merito di decisioni di disinvestimento da parte di fondi pensione, Israele deve perseguire, e soprattutto pubblicizzare, l’aumento degli investimenti e di nuovi legami commerciali con altri paesi. Artisti e personalità bombardati da campagne su Internet chiedendo che annullino il loro spettacolo devono essere contattati e devono essere informati della versione israeliana della storia.

Ci sono molte altre misure che Israele può e deve adottare per contrastare questo assalto. In parallelo alle campagne di immagine che enfatizzano le realizzazioni scientifiche e culturali di Israele, le domande più difficili devono essere affrontate direttamente. Nei campus universitari, raccontare i contributi di Israele nella tecnologie degli SMS oppure nel rock indipendente risulta insignificante di fronte ad una foto di un posto di blocco.

Anche ai convinti serve predicare. Molti giovani, che in passato sarebbere stati disposti a prendere posizione a favore di Israele, sono stati influenzati da notizie sbilanciate da parte dei media e dalle relazioni pungenti di gruppi come Amnesty International e Human Rights Watch. Pubblicizzare i numerosi elementari errori di fatto e di diritto in queste relazioni sarebbe un primo passo.

L’area di interesse geografico su cui Israele concentra gli sforzi deve allargarsi in modo significativo. Mentre la maggior parte dell’attenzione è stata tradizionalmente dedicata agli Stati Uniti, l’Israele Apartheid Week 2010 ha avuto luogo in 13 città canadesi, 12 città europee, e 10 negli Stati Uniti.

Il punto che deve essere assimilato è che la guerra soft non costituisce semplicemente un fastidio o addirittura una minaccia economica. Si tratta di un processo che potrebbe svolgere un ruolo importante nel indirizzare il futuro status quo tra Israele e i palestinesi. Questo status quo sarebbe quello imposto dall’esterno, e non prenderebbe necessariamente in considerazione gli interessi di Israele.

La leadership palestinese ha riconosciuto le implicazioni di vasta portata di queste prospettive in continua evoluzione. È ora che la leadership israeliana si svegli.
Traduzione di Stephanie Westbrook
da Forum Palestina

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