“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

venerdì 10 aprile 2009

Le aziende di Tel Aviv colpite e la Fiom si schiera

di Michelangelo Cocco *

Il 4 febbraio scorso i lavoratori del porto di Durban iscritti al Cosatu - la principale confederazione sindacale nazionale - si sono rifiutati di scaricare le merci trasportate nello scalo sudafricano da una nave israeliana. Pochi giorni dopo l'Hampshire college del Massachusetts lanciava la sua campagna di boicottaggio contro 200 aziende (tra cui Caterpillar, Motorola, General electric, Terex) accusate di fornire materiali e servizi all'esercito di Tel Aviv che da 42 anni occupa la Cisgiordania. Nel 1977 l'Hampshire fu la prima istituzione culturale statunitense a disinvestire dal Sudafrica segregazionista, mentre i portuali di Durban hanno espresso la loro solidarietà ai palestinesi rispolverando la forma di protesta introdotta dai loro compagni scandinavi nel 1963 - quattro anni dopo la nascita del Movimento anti-apartheid - quando incrociarono le braccia per bloccare i carichi provenienti dal regime segregazionista di Pretoria. A questi due casi fortemente simbolici, nelle ultime settimane se ne sono aggiunti decine di altri che hanno dato nuova linfa al movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds) contro Israele. Lanciata nel 2005 sotto forma di appello da parte di 170 organizzazioni della società civile palestinese, la campagna Bds si propone di «esercitare una pressione non violenta per portare lo Stato d'Israele a cessare le sue violazioni del diritto internazionale».
Non c'è dubbio che a far guadagnare alla causa l'appoggio di istituzioni che vanno dai sindacati norvegesi ai docenti e impiegati universitari del Quebec, a decine di ong in Gran Bretagna e negli Stati Uniti sia stata la recente offensiva israeliana contro Gaza, col suo lascito di oltre 1.300 palestinesi uccisi in tre settimane di bombardamenti.
E a dare sanzione ufficiale ai successi del movimento Bds ci ha pensato, il 30 marzo scorso, la Confindustria israeliana. «Oltre ai problemi e alle difficoltà derivanti dalla crisi economica globale, il 21% degli esportatori locali lamenta che sta avendo problemi a vendere prodotti israeliani a causa di un boicottaggio anti-israeliano, specialmente da parte della Gran Bretagna e dei paesi scandinavi» ha dichiarato al Jerusalem post Yair Rotloi, il presidente dell'associazione.
Omar Barghouti, promotore della campagna per il boicottaggio accademico e culturale d'Israele (Pacbi), sottolinea il carattere «strutturato e istituzionalizzato raggiunto dal movimento». «Dopo i massacri di Gaza - spiega Barghouti - abbiamo chiesto un cambiamento di mentalità: ognuno lo faccia nelle forme e con i mezzi più idonei alle diverse realtà nazionali, ma aiutateci col boicottaggio, che è l'unico strumento per aiutarci a liberarci dall'oppressione».
Secondo Barghouti «Israele è più vulnerabile di quanto non fosse il Sudafrica segregazionista, perché la sua economia dipende interamente da agricoltura, servizi e produzione bellica».
Proprio alla collaborazione dell'Italia con l'industria degli armamenti di Tel Aviv ha rivolto la sua attenzione la Fiom, il primo sindacato italiano a prendere in considerazione il boicottaggio.
Altre organizzazioni da sempre attive nel sostegno alla causa palestinese come ForumPalestina e International solidarity movement Italia e, più recentemente, la stessa rete Action for peace - di cui la Fiom fa parte - hanno indicato la via maestra del boicottaggio delle merci israeliane (quelle il cui codice a barre inizia con i numeri 729).
Venerdì scorso, dopo che la stampa israeliana aveva riportato l'intenzione di Finmeccanica di stipulare accordi di collaborazione con le principali aziende militari israeliane, rappresentanti dei metalmeccanici della Cgil hanno volantinato fuori alla sede romana di Finmeccanica. «Abbiamo anche incontrato l'azienda e chiesto chiarimenti sui tipi di produzioni, eventuali cooperazioni con aziende israeliane e tecnologie a cui si coopera poi vedremo i delegati e i lavoratori per discutere eventuali iniziative» racconta Alessandra Mecozzi, che di Fiom è la responsabile internazionale. Nell'attesa di eventuali iniziative da organizzare coi lavoratori, Fiom chiede l'immediata sospensione dell'accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele entrato in vigore nel 2005.

* da IL Manifesto del 9 aprile

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