“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

venerdì 1 maggio 2009

Conferenza contro il razzismo dell’ONU. Il boicottaggio occidentale della denuncia del razzismo di Israele

di Pasquale Serrano*

Il 20 aprile scorso, gli ambasciatori europei all’ONU hanno abbandonato indignati la Conferenza Mondiale sul Razzismo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), celebratasi a Ginevra, per protestare per le parole del discorso del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. Vediamo cosa ha detto Ahmadinejad:

(Serrano utilizza la versione spagnola dell’intervento, ndt) "Agli stimati presenti voglio precisare la mia posizione. Dalla Seconda Guerra Mondiale, e con il pretesto delle sofferenze del popolo ebraico, e utilizzando in modo non appropriato l’olocausto, essi (gli israeliani) hanno reiterato le loro aggressioni militari contro una nazione intera di palestinesi. Immigrati dall’Europa, dagli USA e da altri paesi del mondo, hanno creato un governo totalmente razzista nella Palestina occupata. Con la scusa della comprensione del razzismo e delle sue conseguenze in Europa, gli israeliani hanno imposto il governo più crudele e razzista ad altre parti del mondo come la Palestina. Le radici dell’attacco degli USA all’Iraq e la loro invasione dell’Afghanistan si trovano nell’arroganza della precedente Amministrazione USA e nella pressione esercitata da poteri privi di controllo nell’espansione della loro influenza nell’interesse del complesso industriale e dei fabbricanti di armi. (A questo punto abbandonano la sala vari diplomatici, tra cui quello spagnolo).

Crediamo nella necessità di un mondo nuovo, con un cambiamento di politiche e comportamenti. I rappresentanti che pretendono di abbandonare la sala sono una minoranza e raccomandiamo loro di aumentare la propria capacità di tolleranza: tutto deve basarsi sul rispetto reciproco e la giustizia."

Già prima dell’inizio della Conferenza, Israele, Stati Uniti, Italia, Australia, Canada, Polonia, Germania, Olanda e Nuova Zelanda si erano rifiutati di partecipare perché sapevano che Israele avrebbe ricevuto dure critiche. L’uscita di altri rappresentanti, in maggioranza europei, durante il discorso del presidente iraniano, ci deve indurre a pensare e a cercare spiegazioni su ciò che a costoro è parso intollerabile, al punto da meritare tale trattamento.

Una delle cose che si sono potute sapere è che il boicottaggio era già stato pianificato. Lo ha riconosciuto l’ambasciatore svedese all’ONU Hans Dahlgren all’agenzia di notizie TT, ripresa dal web del canale televisivo SVT: "il senso (delle parole di Ahmanideyad) era che Israele è un paese razzista. Lo abbiamo ascoltato in inglese e francese, ma siccome egli parla persiano e poiché non esisteva una versione scritta (del discorso) (…) allora avevamo concordato che se avesse detto ciò, avremmo abbandonato la sala."

L’ambasciatore spagnolo all’ONU, Javier Garrigues, è tra i diplomatici che hanno abbandonato la sala. Ha eseguito l’ordine impartito dalla presidenza ceca dell’UE, che aveva previsto questo gesto nei confronti di Ahmanideyad, per poi ritornare a seguire i lavori della conferenza. "Il presidente ha parlato di uno Stato razzista e per questo ce ne siamo andati", ha dichiarato Garrigues. "Questa retorica incendiaria non può essere in alcun modo accettata in una conferenza dell’ONU", ha affermato.

Il fatto curioso è che è passata inosservata una dichiarazione del presidente dell’Assemblea Generale, Miguel D’Escoto, del 24 novembre scorso relativa al tema dal titolo "La questione della Palestina". In essa si parlò di "quanto assomiglino le politiche israeliane nel territorio palestinese all’apartheid, esistito in un’epoca passata in un altro continente" e ha aggiunto quanto segue:

"Io credo che sia importante che noi, all’ONU, impieghiamo questo termine. Non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il loro nome. Dopotutto, sono le Nazioni Unite che hanno elaborato la Convenzione internazionale contro il crimine dell’apartheid, esplicitando al mondo intero che tali pratiche di discriminazione istituzionale devono essere bandite ogniqualvolta siano praticate.

Abbiamo ascoltato oggi un rappresentante della società civile sudafricana. Sappiamo che in tutto il mondo organizzazioni della società civile lavorano per difendere i diritti dei Palestinesi e tentano di proteggere la popolazione palestinese che noi, Nazioni Unite, non siamo riusciti a proteggere.

Più di 20 anni fa noi, le Nazioni Unite, abbiamo raccolto il testimone della società civile quando abbiamo convenuto che le sanzioni erano necessarie per esercitare una pressione non violenta sul Sud Africa affinché ponesse fine alle violazioni che stava commettendo.

Oggi, forse, noi, le Nazioni Unite, dobbiamo prendere in considerazione il fatto di seguire l’esempio di una nuova generazione della società civile che fa appello per una analoga campagna di boicottaggio, di disinvestimento e di sanzioni, allo scopo di fare pressione su Israele perché la faccia finita con le violazioni dei diritti umani."

Se ne sarebbero andati i rappresentanti europei, dopo aver ascoltato tutto ciò?

Potremmo tornare ancora indietro nel tempo. La prima denuncia del razzismo contro i palestinesi fu ascoltata già nella prima Conferenza dell’ONU contro il Razzismo, la Discriminazione Razziale e le Forme Connesse di Intolleranza nel settembre 2001, a Durban (Sudafrica). Lì fu l’allora presidente di Cuba Fidel Castro ad affermare quanto segue:

"Si metta fine a quanto succede di fronte al genocidio del popolo palestinese, che ha luogo davanti agli occhi attoniti del mondo. Si protegga il diritto elementare alla vita dei suoi cittadini, dei suoi giovani e dei suoi bambini. Si rispetti il suo diritto all’indipendenza e alla pace, e non ci sarà nulla da temere dai documenti delle Nazioni Unite.

So bene che, cercando di alleviare la situazione terribile in cui si trovano i loro paesi, molti amici africani e di altre regioni suggeriscono la prudenza necessaria per ottenere qualcosa in questa Conferenza. Li capisco, ma non posso rinunciare alla convinzione sul fatto che quanto più insistentemente si dica la verità, più possibilità ci saranno di essere ascoltati e rispettati. Secoli di inganno sono più che sufficienti."

Ma vediamo se Israele è o no un paese razzista. Prima e dopo la fondazione dello Stato di Israele nel maggio del 1948, le milizie sioniste obbligarono a trasferirsi circa 750.000 persone, tutte di etnia araba e abitanti autoctoni della zona. Per ottenere ciò distrussero più di cinquecento città e villaggi e perpetrarono massacri indiscriminati di civili disarmati, come quello di Deir Yashin, in cui assassinarono a sangue freddo 254 donne, bambini e anziani. In questo modo, Israele si appropriava con la forza del 78% della Palestina storica sotto il Mandato Britannico, quando legalmente l’ONU gli aveva assegnato solo il 55%, e nonostante rappresentasse solo un terzo della popolazione e avesse annunciato quella che ora chiamiamo "pulizia etnica" nelle zone che gli sarebbero corrisposte. A seguito di ciò, circa 150.000 persone che avevano ottenuto di rimanere nel nuovo

Stato ebreo di Israele si trasformarono in ciò che ha preso la denominazione di "arabi-israeliani", pur non acquisendo tutti i diritti di cittadinanza, in quanto rimasti sotto giurisdizione militare fino al 67. Gli 800.000 arabi-israeliani di oggi, loro discendenti, non sono ancora considerati cittadini, ma stranieri senza diritti sul territorio e li si discrimina sistematicamente.

La cosiddetta "sola democrazia del Medio Oriente" nega dal 1967 il diritto ad una nazionalità a più di tre milioni e mezzo di persone che vivono nei Territori Occupati (quasi la metà in campi di rifugiati), con la perdita di ogni diritto ad esigere diritti, mentre altri sei milioni di persone sono stati condannati all’esilio e vivono nella loro maggioranza in campi di rifugiati in Giordania, Libano e Siria. Nei Territori Occupati le norme vigenti sono più di duemila ordinanze militari che regolano tutto e subordinano completamente la vita dei tre milioni e mezzo di arabi-palestinesi a quella dei circa trecentottantamila coloni ebrei che si sono installati lì.

Amnesty Internacional, nel rapporto intitolato "Il razzismo e il Ministero della Giustizia", diffuso nel 2001, metteva in evidenza il razzismo della "democrazia" israeliana:

"In Israele, ad esempio, varie leggi sono esplicitamente discriminatorie. Tutto si fa risalire alla fondazione dello Stato di Israele nel 1948, la quale, provocata all’inizio dal genocidio razzista sofferto dagli ebrei in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, si basava sulla premessa di uno Stato ebreo per il popolo ebreo. Alcune leggi di Israele riflettono questo principio e, di conseguenza, discriminano i non ebrei, in concreto i palestinesi che sono vissuti in queste terre generazione dopo generazione. Varie parti delle leggi israeliane discriminano i palestinesi. La Legge del Ritorno, ad esempio, offre la cittadinanza israeliana automaticamente agli immigrati ebrei, mentre ai rifugiati palestinesi che sono nati e cresciuti in quello che ora è Israele viene negato il diritto a ritornare alle proprie case. Altri punti garantiscono esplicitamente un trattamento preferenziale ai cittadini ebrei in sfere come l’educazione, un’abitazione pubblica, la salute e il lavoro. [1]"

Israele non ha Costituzione, nel web del Parlamento israeliano si segnala che "tutte le leggi organiche, nel loro insieme costituiranno, con un’introduzione appropriata e diverse norme generali, la Costituzione dello Stato di Israele". Lo studio, elaborato dall’intellettuale palestinese Mazin Qumsiyeh [2] sulla legislazione israeliana segnala che "i non ebrei" non possono far parte della nazione di Israele o di Am Yisrael (il popolo di Israele), sebbene siano cittadini dello Stato. E’ importante mettere in rilievo questo punto. Per la legge israeliana tutti gli ebrei, indipendentemente dalle caratteristiche culturali, genetiche o di cittadinanza, sono considerati come i nativi israeliani, membri di Am Yisrael e hanno diritto a beneficiare automaticamente della residenza, a vivere nell’autoproclamato Stato Ebreo. La legislazione israeliana stabilisce come si acquisisce la cittadinanza [3]. Così, si osserva che un palestinese nato in villaggio della Galilea espulso nel 1948 non risponde ai requisiti, in quanto esiste la categoria di cittadino nazionale e cittadino non nazionale. Coloro che sono cittadini non nazionali (come i palestinesi che se ne andarono dopo le espulsioni del 1947-1949) non possono beneficiare di nessuna delle istituzioni e privilegi riservati ai nazionali. In questo modo, i palestinesi che non hanno potuto accedere alla cittadinanza hanno visto la loro proprietà assegnata agli ebrei, in accordo con la "Legge dell’Assente", promulgata nel 1950. Curioso è il fatto che molti di questi "assenti" sono "assenti presenti", e si tratta di quei palestinesi che rimasero dentro le frontiere dello Stato. Il risultato è il regime di apartheid vigente attualmente. Secondo la legge israeliana, che trova fondamento nell’ideale di "Stato del popolo Ebreo", un immigrato sionista europeo ha il completo diritto di vivere in un insediamento a Hebron, mentre un palestinese di quella stessa città può vedersi forzato emigrare a causa di tutte le restrizioni che vengono imposte nella zona, in campo sociale ed economico, per assicurare sicurezza ai fondamentalisti abitanti degli illegali insediamenti [4]. Questa distinzione tra ebreo e non ebreo è ciò che assicura la base per parlare dell’esistenza di un sistema di apartheid in Israele, dove il fatto

di avere una religione specifica determina il diritto alla salute, all’educazione, alla continuità territoriale, alla libertà religiosa e all’accesso all’acqua, tra l’altro.

La popolazione palestinese è sottomessa a un regime di occupazione militare che concede diritti distinti, a cominciare dal diritto di voto, a persone che abitano nello stesso territorio, a seconda della loro religione. Per i palestinesi, occupazione non ha significato solo morte, ma un sistema di discriminazione razziale che domina completamente tutti gli aspetti della loro vita: cosa si direbbe oggi ad esempio se un paese avesse come politica ufficiale l’espropriazione delle terre di ebrei, o semplicemente proibisse che un proprio cittadino possa avere la residenza se si sposa con un’ebrea? Chiaramente si parlerebbe di flagrante caso di discriminazione, di antisemitismo e sicuramente di sanzioni internazionali contro questo paese, come al tempo dell’apartheid sudafricano. Vediamo vari esempi della restrizione di diritti ai cittadini non ebrei dello Stato di Israele e come si consolidano per mezzo della legislazione israeliana e di una serie di istituzioni [5]:

A) Fondo Nazionale Ebraico: il 90% delle terre di Israele appartiene a questa istituzione, che secondo i suoi statuti non può essere venduto, affittato e persino lavorato da un "non ebreo".

B) Legge sulla Nazionalità: stabilisce chiare differenze nell’ottenimento della cittadinanza tra ebrei e non ebrei.

C) Legge sulla Cittadinanza: nessun cittadino israeliano può sposarsi con un residente dei Territori Occupati della Palestina; nel caso si realizzi l’unione, si perdono i diritti di cittadinanza in Israele e la famiglia se non è separata, deve emigrare.

D) Legge del Ritorno: qualsiasi ebreo del mondo può essere cittadino israeliano. Nel caso dei cittadini palestinesi dello Stato di Israele che hanno famigliari all’estero, non possono ottenere lo stesso beneficio solo per il fatto di non essere ebrei.

E) Legge dell’Assente: si dichiara assente chiunque fosse fuori dalla propria casa, dentro le frontiere di Israele o in uno Stato vicino, dopo il 29 novembre 1947, o quello stesso giorno, e di conseguenza le sue terre e le sue case diventano proprietà ebrea. Paradossalmente, non sono mai state espropriate le terre di un ebreo, mentre la maggioranza di esse è stata espropriata ai palestinesi.

Un altro esempio del carattere religioso dello Stato di Israele, che lo rende incompatibile con uno Stato di diritto democratico è offerto dal fatto che secondo la legislazione "non potranno concorrere alle elezioni del Parlamento quelle liste di candidati le cui intenzioni o azioni neghino l’esistenza di Israele in quanto Stato del popolo ebreo". Con questa legge diventa chiaramente illegale il fatto di sollecitare cambiamenti nella legislazione per poter mettere in discussione il concetto di Stato di una comunità religiosa, non accettare il concetto di uno Stato del "popolo ebreo", o cercare di trasformare Israele nello Stato di tutti i suoi cittadini [6]. Nessuno si azzarderebbe ad affermare che una democrazia può essere compatibile con un regime di apartheid, e malgrado ciò in Israele ci sono strade diverse per gli israeliani e i palestinesi. Il mondo si indigna quando ricorda che in Sudafrica i neri dovevano viaggiare nei sedili posteriori degli autobus, ma in Israele se un palestinese utilizza una delle strade riservate agli israeliani viene imprigionato e condannato a sei mesi di carcere. Ciò riguarda anche quelli che sono sempre vissuti in questi territori, ad esempio i circa trecentoquarantamila che vivono a Gerusalemme Est.

Non solo tutto questo è passato sotto silenzio e conta sulla complicità dei governi europei, ma quando in un luogo come l’ONU viene denunciato da un presidente, i "diplomatici" europei abbandonano la sala. Vale la pena di osservare le spiegazioni degli europei per giustificare il loro abbandono della sala. L’ambasciatore britannico all’ONU Peter Gooderham ha affermato che

"questa retorica infuocata non può in alcun modo essere accettata in una conferenza dell’ONU sul razzismo e su come combatterlo". Da parte sua, il presidente francese, Nicolas Sarkozy ha definito l’intervento di Ahmadinejad "un discorso di odio".

Gli europei – e naturalmente gli israeliani e gli statunitensi – avrebbero desiderato una Conferenza di parole vuote, un’ode all’uguaglianza delle razze, un annuncio di Benetton forse. Ma esistono molte voci che, quando si parla di razzismo, vogliono indicare il razzista, come si fece in passato con il Sudafrica. L’ipocrita Europa non lo ha potuto sopportare. Con ciò i suoi governi hanno superato il limite della loro miseria e complicità con il razzismo, finendo di boicottare la sua denuncia.

Note

L’informazione sul carattere razzista dello stato di Israele è tratta dal libro di Pascual Serrano "Desinformacion. Como los media ocultan el mundo", Editorial Peninsula, la cui uscita è prevista nel mese di maggio.

[1] Informe de Amnistía Internacional, de 2001: Racism and the Administration of Justice (Racismo y el Ministerio de Justicia)

[2] Qumsiyeh, Mazin. Compartiendo la Tierra de Canaán (Capítulo 7). Pluto Press 2004. Ver http://www.rebelion.org/noticia.php?id=47137

[3] Ver http://www.israel.org/MFA/Facts%20About%20Israel/State/Acquisition%20of%20Israeli%20Nationality

[4] Abu Eid, Xavier, Jurisdicción y Legitimidad: Claves para entender el conflicto Palestina/Israel. Rebelion.org 28-8-2006. http://www.rebelion.org/noticia.php?id=36692

[5] Abu Eid, Xavier, Jurisdicción y Legitimidad: Claves para entender el conflicto Palestina/Israel. Rebelion.org 28-8-2006. http://www.rebelion.org/noticia.php?id=36692

[6] Capítulo 7 del libro Compartiendo la Tierra de Canaán, de Mazin Qumsiyeh. Pluto Press 2004 http://www.rebelion.org/noticia.php?id=47137

[7] Ramonet, Ignacio. "Por una resistencia de masas no violenta contra Israel". Entrevista con el líder palestino Mustafá Barghouti. Le Monde Diplomatique. Mayo 2008

* Pascual Serrano è un noto giornalista spagnolo, collaboratore di "Mundo Obrero", rivista del Partito Comunista di Spagna, e di numerose testate di fama internazionale (tra cui "Le Monde Diplomatique"). Il testo originale dell’articolo, "Boicotear la denuncia del racismo", pubblicato dal suo sito www.pascualserano.net, è stato ripreso in http://www.rebelion.org/noticia.php?id=84192&titular=boicotear-la-denuncia-del-racismo-.

La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di www.lernesto.it.

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