“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

martedì 12 maggio 2009

Israele sa che la pace proprio non paga

Amira Hass
l'articolo in inglese
http://www.haaretz.com/hasen/spages/1084656.html

11 maggio 2009


I governi che si sono succeduti dal 1993 dovevano certo essere consapevoli dei loro atti, quando non avevano alcuna fretta di fare la pace con i palestinesi. Come rappresentanti della società israeliana, avevano capito che questa apporterebbe un notevole danno agli interessi nazionali.

Danni economici
L'industria della sicurezza è un settore importante dell'export: armi, munizioni e modifiche migliorative, testati quotidianamente a Gaza e in Cisgiordania. Il processo di Oslo - negoziati che non avrebbero mai dovuto finire - ha permesso a Israele di scrollarsi di dosso lo status di potenza occupante (con l'obbligo di assistere la popolazione occupata) e di trattare i territori palestinesi come entità indipendenti. Vale a dire, di impiegare le armi e le munizioni in quantità che non avrebbe altrimenti usato contro i palestinesi dopo il 1967. Proteggere le colonie richiede un costante sviluppo di dispositivi di sicurezza, di sorveglianza e di deterrenza, quali barriere, blocchi stradali, impianti elettronici di controllo, telecamere e robot. Nel mondo sviluppato, questi dispositivi sono all'avanguardia; servono alle banche, alle aziende ed ai quartieri lussuosi accanto alle baraccopoli ed alle enclave etniche, dove vanno represse le rivolte.
La creatività collettiva in ambito securitario è resa fertile da uno stato di frizione costante fra la maggior parte degli israeliani ed una popolazione definita come ostile. Una condizione di conflitto armato a bassa intensità, e qualche volta ad alta, avvicina vari temperamenti israeliani: i rambo, i maghi del computer, le persone con grandi abilità manuali, gli inventori. Se ci fosse la pace, le occasioni di incontrarsi si ridurrebbe molto.

Danni professionali
Mantenere l'occupazione ed uno stato di non-pace dà lavoro a centinaia di migliaia di israeliani. Nel settore della sicurezza lavorano circa in 70mila. Ogni anno, terminano il servizio militare in decine di migliaia, con competenze specifiche oppure un doppio lavoro appetibile. Per migliaia di persone la carriera principale si connette alla sicurezza: militari di professione, operatori dello Shin Bet, consulenti esteri, mercenari, trafficanti di armi. La pace mette quindi in pericolo la carriera ed il futuro professionale di uno strato importante e prestigioso di israeliani, strato che ha un'importante influenza sul governo.

Danni alla qualità di vita
Un accordo di pace richiederebbe un'equa distribuzione di risorse idriche in tutto il Paese (dal Giordano al mare), indipendentemente dalla desalinizzazione dell'acqua di mare e da tecniche di risparmio idrico. Anche adesso è difficile per gli israeliani abituarsi a risparmiare l' acqua per la siccità. Non è difficile immaginare quanto traumatico sarebbe un abbattimento del consumo idrico, per rendere equa la distribuzione.

Danni al welfare
Come gli ultimi 30 anni hanno dimostrato, gli insediamenti prosperano mentre si riduce il welfare. Offrono alla gente comune quello che il salario non permetterebbe nell'Israele riconosciuta entro i confini del 4 giugno 1967: terreni a basso costo, case grandi, sovvenzioni, sussidi, vasti spazi aperti, panorama, una rete migliore di comunicazioni stradali ed un sistema scolastico di qualità. Finanche per quegli ebrei israeliani che non si sono trasferiti lì, le colonie illuminano l'orizzonte, come possibilità di migliorare lo status sociale ed economico. Questa opzione è molto più realistica delle vaghe promesse di miglioramenti in tempo di pace, situazione questa ignota.

La pace ridurrà anche, se non cancellerà completamente, il pretesto della sicurezza per discriminare i palestinesi israeliani - nella distribuzione della terra, nelle risorse per lo sviluppo, nell'istruzione, all'impiego nella sanità e nei diritti civili (quali il matrimonio e la cittadinanza). Chi si è abituato al privilegio in un sistema basato sulla discriminazione etnica vede l'abolirla come una minaccia al proprio benessere.

Tradotto da Paola Canarutto e Carlo Tagliacozzo

http://zeitun.ning.com/profiles/blogs/israele-sa-che-la-pace-proprio

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