“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

martedì 1 luglio 2008

La pax israeliana come ulteriore strumento per dividere i palestinesi ?


di Mila Pernice *
Nella Striscia di Gaza, strangolata dall’embargo, era naturale che la notizia della tregua o, più letteralmente dall’arabo Tahadea, della “calma” con Israele, fosse salutata con speranza dalla popolazione. La speranza che Israele ponesse fine agli attacchi militari come quello che, poche ore prima dell’entrata in vigore della calma, ha ucciso l’ennesimo palestinese a Johr Al-Dik, a sud di Gaza City nel centro della Striscia. La speranza che con la riapertura dei valichi di confine potesse giungere insieme alle scorte di cibo e medicinali, un po’ di respiro.

La calma tra Hamas e Israele, mediata dall’Egitto, è entrata in vigore alle 6 locali del 19 giugno, e prevedeva proprio la cessazione di tutte le azioni militari, la riapertura dei valichi, la rimozione dell’embargo sulla Striscia. Un embargo deciso dopo che Hamas ha assunto il controllo della Striscia un anno fa.
Ma così come Israele ha sempre giustificato le uccisioni di militanti della resistenza e di civili palestinesi come reazione al lancio dei missili Qassam sulla città di Sderot, sulle stesse basi ha giustificato le oltre 15 violazioni a questa tregua con Hamas. Da quando è entrato in vigore l’accordo, l’aviazione israeliana ha sorvolato continuamente le città della Striscia seminando il panico, le navi della marina militare hanno sparato contro i pescatori al largo delle coste, i corazzati hanno sparato contro i contadini nei campi. Questa la situazione. Ma a chi fa comodo la tregua?
Gli Stati Uniti non hanno accolto con favore l’intesa con Hamas perché essa indebolirà Abu Mazen in Cisgiordania. In effetti la sua Anp, impantanata da anni nel tentativo di giungere ad un accordo di pace attraverso i negoziati, subirà negativamente le conseguenze dell’accordo di tregua mentre intanto in Cisgiordania prosegue l’avanzata delle colonie israeliane.
Dal Manifesto del 19 giugno scorso Michele Giorgio cita le parole dell’analista politico ed ex-ministro palestinese Ghassan Khatib, che ha sottolineato come l'accordo di tregua rientri pienamente nella «strategia israeliana» di questi ultimi anni: «Israele su Gaza è flessibile perché non ha interessi in quel territorio, al contrario della Cisgiordania dove invece i suoi appetiti territoriali sono ben noti. E forse medita anche di favorire la nascita di una entità di Hamas nella Striscia in modo da limitare potere ed autorità dell'Anp in Cisgiordania. […]La politica di Olmert ha confermato quello che Hamas dice da tempo, a cominciare dalla constatazione che solo l'uso della forza (il lancio dei razzi, ndr) spinge Israele a trovare compromessi mentre il negoziato non porta ad alcun risultato concreto».
E anche Gideon Levy dalle pagine di Haaretz scriveva qualche giorno fa: “Il rifiuto di estendere il cessate il fuoco alla Cisgiordania mostra anche, ancora una volta, che Israele comprende soltanto il linguaggio della forza: si accorderà per una tregua in Cisgiordania solo quando anche da là verranno lanciati i Qassam. Tutto questo che messaggio manda ai Palestinesi? Volete la pace in Cisgiordania? Per favore, lanciate i Qassam anche su Kfar Sava. Dunque questo è qualcosa di molto più profondo di un semplice cessate il fuoco. Riguarda l'immagine di Israele. La risposta negativa israeliana al cessate il fuoco ancora una volta solleva un grave sospetto: può darsi che Israele in realtà non voglia la pace?”.
Israele non vuole la pace. Nell’ultima settimana la pax israeliana a Gaza ha ucciso 3 palestinesi e ne ha feriti 18, tra cui 5 bambini e 2 anziani. E intanto in Cisgiordania l’esercito di occupazione eseguiva 36 incursioni militari, sequestrava 48 cittadini, tra cui 14 minori, demoliva 5 abitazioni (dati del Palestinian Centre for Human Rights).

Le conquiste che otterrà con il ricorso alla diplomazia potranno forse spingere Hamas ad assurgere al rango di interlocutore credibile, e potranno anche spingere il partito islamico della resistenza a non tenere più conto dei lenti passi verso una vera unità nazionale contro l’occupante, o ad alzare la posta per il raggiungimento di una piattaforma comune con Al Fatah, allargando ancora di più la frattura interna alla politica palestinese. Probabilmente porterà a questo la tregua, quando però, nella da sempre asimmetrica situazione, il terrorismo militare israeliano fermerà le sue armi, e a Gaza si potrà davvero parlare di tregua.
* Forum Palestina
Immagine di Amer Shomali http://www.ramallahunderground.com/

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