“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

giovedì 3 giugno 2010

ITALIA VOTA NO!!!

Italia, Stati Uniti e Olanda votano NO all’inchiesta internazionale su Israele!



Onu, inchiesta su blitz. L’Italia vota no con Usa
Espulsi tutti gli attivisti stranieri arrestati dopo l’attacco alla flottiglia diretta a Gaza

02 giugno, 23:44 da ANSA

ROMA – Partiranno da Israele in mattinata, ”entro le 9”, i 6 italiani che ora si trovano ancora all’aeroporto di Tel Aviv. Lo riferiscono fonti della Farnesina. Da Tel Aviv, i connazionali raggiungeranno Istanbul, da dove poi rientreranno in Italia. La partenza era inizialmente prevista per stasera ma vi sono state, riferiscono le stesse fonti, ”alcune difficolta’ per l’imbarco di feriti, soprattutto turchi”, che hanno ritardato la partenza dei voli speciali da Israele. Gli italiani sono attualmente assistiti dal console italiano a Tel Aviv mentre il console a Istanbul e’ stato allertato per l’accoglienza quando i connazionali giungeranno in Turchia.
ONU CHIEDE INCHIESTA INTERNAZIONALE, NO ITALIA

L’Onu chiede una “missione di inchiesta internazionale” per fare luce sul blitz delle forze israeliane contro la flottiglia di attivisti diretta a Gaza, ma l’Italia si sfila, e assieme a Stati Uniti e Olanda vota contro la risoluzione. Che viene comunque approvata. Dopo il voto di ieri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che sollecitava un’indagine “rapida, imparziale, credibile e trasparente” (ma non internazionale), oggi è stato il Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu – con sede a Ginevra – a fare un passo avanti, chiedendo di “inviare una missione internazionale per indagare su violazioni delle leggi internazionali”: sono i sì a prevalere (32) nella sessione straordinaria dell’organismo convocata su iniziativa del rappresentante palestinese e di quelli del Sudan, del Pakistan a nome della Lega Araba e dell’Oci, l’Organizzazione della conferenza islamica. Ma l’Europa si spacca, e i no ‘pesano’: accanto al disco rosso di Stati Uniti e Olanda, arriva anche quello dell’Italia. Immediate le critiche da Israele.

Il portavoce del ministero degli Esteri Igal Palmor parla del Consiglio Onu come di un organo che “ha perduto da tempo la propria autorità morale”, per di più “in mano a Paesi antidemocratici”. E loda “la voce morale e coraggiosa di quei Paesi, fra cui l’Italia, che hanno resistito alla offensiva cieca ed automatica nei confronti di Israele”. Ma il ‘no’ opposto dall’Italia scatena la polemica politica. Con la Farnesina costretta ad intervenire per spiegarne le ragioni. Israele è “uno Stato democratico e perfettamente in grado di condurre un’inchiesta credibile e indipendente, il che non significa necessariamente internazionale”, puntualizza infatti il portavoce del ministero, Maurizio Massari, sottolineando che Franco Frattini è stato uno dei primi a chiedere che vi fosse un’inchiesta credibile e democratica per accertare i fatti e a condividere il testo approvato ieri dal Consiglio di Sicurezza. D’altra parte, secondo la ricostruzione italiana di quanto avvenuto oggi a Ginevra, a rompere la trama di una possibile posizione comune dell’Europa, magari centrata sull’astensione, é stata la Slovenia. “L’Italia – racconta Massari – era incline verso un voto negativo perché il testo, a differenza di quello approvato ieri dal Consiglio di Sicurezza, conteneva toni fortemente polemici, poco costruttivi, che in questa fase delicata non erano in grado di creare le premesse per una diminuzione delle tensioni che l’Italia, assieme agli Stati Uniti di Barack Obama, invoca per mantenere in vita il negoziato israelo-palestinese, che è la nostra priorità”. Nonostante questo, racconta ancora, “abbiamo offerto la nostra più ampia disponibilità per cercare una posizione comune europea d’intesa con i nostri partner che avrebbe potuto coagulare il consenso intorno all’astensione”.

Una soluzione che avrebbe consentito una posizione comune dell’Europa, ma che ha incontrato l’opposizione della Slovenia. Lubiana aveva deciso di votare sì al testo presentato dai palestinesi e ha voluto mantenere la propria posizione, impedendo una soluzione unitaria. “L’inchiesta per accertare i fatti, democratica ed indipendente – è la posizione italiana ribadita dalla Farnesina – è comunque assolutamente necessaria per ristabilire la fiducia nella regione e sul piano internazionale”. L’opposizione però insorge. Leoluca Orlando, per l’Italia dei Valori, parla di “clamoroso autogol” e chiede al ministro degli Esteri di riferire in Parlamento. Stessa richiesta arriva dal Pd per bocca di Lapo Pistelli, responsabile relazioni internazionali del partito. Paolo Ferrero (Prc-Se) definisce “vergognoso” il voto italiano e vuole le dimissioni del titolare della Farnesina. Scende in campo anche la Focsiv, la federazione che raccoglie molte ong cattoliche: “inaccettabile”, secondo il segretario Sergio Mareli, la posizione dell’Italia a Ginevra.

ISRAELE CEDE, LIBERA TUTTI MA ACCUSA, TERRORISTI – Tutti a casa, tranne i morti. Ci sono voluti due giorni di tempo e lo spettro dell’isolamento, ma alla fine Israele si è inchinato alle pressioni internazionali e ha deciso di chiudere la partita dei rimpatri in poche ore: con il rilascio dei circa 600 attivisti stranieri detenuti fin dal sanguinoso blitz di lunedì contro la flottiglia filo-palestinese in navigazione verso la Striscia di Gaza, italiani compresi. Blitz sul quale, dopo le critiche del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, pesa da oggi anche il voto con cui a Ginevra il Consiglio dei diritti dell’Uomo ha approvato a maggioranza – con i ‘no’ di Stati Uniti e Italia – il progetto di una missione d’indagine internazionale sull’accaduto. Ma che il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, è tornato a difendere stasera dagli schermi della tv, additando la flottiglia come un covo di “terroristi, non una Love Boat”, accusando il mondo di “ipocrisia” e rivendicando ancora una volta il diritto di Israele di garantire la propria sicurezza costi quel che costi.

Ciononostante, l’operazione dei rilasci è stata completata a spron battuto, dopo il via libera deciso ieri dal gabinetto ristretto di Gerusalemme in una seduta di emergenza convocata dallo stesso Netanyahu a tarda sera. Seduta durante la quale si é stabilito di lasciar partire subito, senza formalità o controlli ulteriori, tutti gli stranieri fermati: inclusi coloro che in un primo momento avevano rischiato di finire sotto processo per la reazione violenta all’abbordaggio della Marmara, la nave ‘ammiraglia’ turca del convoglio di aiuti. Fin dalla notte il centro di detenzione temporanea di Beer Sheva (nel Neghev) ha cominciato a svuotarsi. A metà mattina, é toccato anche ai sei italiani – Giuseppe Fallisi, Angela Lano, Marcello Faraggi, Manolo Luppichini, Manuel Zani e Ismail Abdel-Rahim Qaraqe Awin -, provati, ma incolumi, e avviati sotto scorta con decine di altri compagni di detenzione verso l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.

L’identificazione degli uccisi è rimasta coperta a lungo da una cortina di riserbo. Si sa però che sono tutti o quasi tutti cittadini turchi, alcuni dei quali sospettati da Israele di legami con la galassia dell’integralismo internazionale attraverso la chiacchierata IHH, l’ong promotrice della spedizione della Marmara. Ad Ankara, intanto, l’annuncio del rientro degli attivisti non cancella i toni di dura condanna nei confronti d’Israele, ma lascia spazio almeno a un primo auspicio del ministro degli Esteri, Ahmet Davutogu, affinché “la rabbia ceda il posto alla calma”. La ombre su governo e vertici militari israeliani continuano del resto ad aleggiare da più parti. Con le prese di posizioni dell’Onu, le critiche riemergenti (anche di Paesi occidentali tradizionalmente amici) al blocco di Gaza, il danno d’immagine, le polemiche interne. Fedele al pugno di ferro sull’assedio della Striscia di Gaza – giustificato dalla necessità di evitare il passaggio di armi agli integralisti di Hamas – il gabinetto Netanyahu al riguardo resta inflessibile: come il premier ha ribadito oggi, evocando il pericolo che la enclave palestinese, se liberata dalle restrizioni, possa diventare una testa di ponte dell’Iran. Ma intanto deve subire la riapertura del valico di Rafah, con l’Egitto, deciso dal Cairo per venire incontro agli umori della piazza araba dopo l’assalto alla Marmara. Mentre sulla stampa di casa non cessano di rincorrersi interrogativi sulla gestione dell’operazione. Yedioth Ahronot, il più diffuso giornale del Paese, punta oggi il dito contro gli errori dell’intelligence militare, ma soprattutto contro il fallimentare accentramento del dossier da parte di Netanyahu e del ministro della Difesa, Ehud Barak: leader della destra il primo, capofila dell’appendice laburista di governo il secondo, ma vecchi compagni d’arme nei reparti d’elite del Sayeret Matkal (laddove in anni lontani l’attuale premier fu agli ordini di Barak).

Invitato alle dimissioni dalla sparuta minoranza interna al suo partito, Barak in realtà non sembra aver da temere per la poltrona. Ma incontrando oggi in una base vicina a Haifa i commando della marina – quasi a rincuorarli dopo la bufera seguita al blitz – ha colto l’occasione per lanciare un messaggio che suona anche di autodifesa: “Occorre sempre ricordare – ha detto agli uomini rana, dopo averli ringraziati per “la missione compiuta” – che non viviamo in America del Nord né in Europa occidentale, bensì in Medio Oriente: una regione dove non c’é pietà per i deboli e dove a chi non si difende non viene concessa una seconda opportunità”.

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