“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

venerdì 24 ottobre 2008

Israele prende di mira gli studenti palestinesi


di Mohammed Omer *
CITTA DI GAZA, 22 ottobre 2008 (IPS) - Per Hazem Hussain, 28 anni, ricevere la lettera di ammissione per un master in economia aziendale presso un’università californiana era stato motivo di grande soddisfazione. Ma adesso non sa più che farne. Ha tutte le carte in regola: certificato di iscrizione e visto per gli Stati Uniti; ma gli israeliani non lo lasciano partire. “È da un anno che cerco in tutti i modi di partire”, racconta. “Ma non posso lasciare il paese”. Il semestre è già cominciato da qualche settimana. Saed Badawi, 22 anni, era stato ammesso ad un’università tedesca, ma anche lui è rimasto bloccato. “Sono sconvolto - per rinnovare il visto ci vorrà moltissimo tempo, con tutte le nuove procedure e i requisiti richiesti”. Juliet Al-Tork, 18 anni, ammessa all’Università Al-Yarmouk in Giordania per un corso di traduzione, è tra le centinaia di persone cui Israele ha negato il permesso di partire. “A tutti i giovani viene concessa l’opportunità di studiare, ma non a me”. ”Israele sta ostacolando proprio le persone che dovrebbe incoraggiare”, sostiene Sari Bashi, direttore esecutivo del Gisha, Centro legale per la libertà di movimento, un gruppo israeliano per i diritti umani che assiste gli studenti palestinesi contro la politica del blocco. “Israele non sta solo negando i diritti dei palestinesi, ma va anche contro i suoi stessi interessi”. Bashi spiega che, ogni anno, circa un migliaio di studenti tenta di lasciare Gaza per seguire un’istruzione superiore: le università di Gaza offrono soltanto diplomi di laurea. Quest’anno, solo un terzo di loro ci è riuscito. ”Lasciando partire alcune persone, Israele riesce a distogliere l’attenzione dalle centinaia di studenti e dagli 1,5 milioni di persone che restano intrappolate a Gaza”, afferma Bashi. “Punire civili innocenti per il comportamento dei leader politici viola i divieti internazionali, ed è qualificabile come una punizione collettiva”. C’è poi la complicità dell’Egitto, che contribuisce ad aumentare le difficoltà degli studenti. Il paese arabo potrebbe lasciare che i giovani attraversino il suo confine presso Rafah, e invece apre le frontiere solo agli studenti di Gaza che devono raggiungere le sue università. Perché, si chiedono gli studenti, se i leader di Hamas possono andare in Egitto, a loro non viene permesso? In alcuni casi, la sicurezza israeliana ha perseguito gli studenti anche dopo che avevano già attraversato il confine. Ad un borsista del programma Fulbright è stato revocato il visto al suo arrivo a Washington DC, dopo che Israele lo aveva diffidato come un non meglio precisato pericolo per la sicurezza. La spiegazione ufficiale di Israele è arrivata solo con una lettera del 7 luglio 2008, in cui l’allora membro del Knesset e ministro degli affari esteri israeliano Tsippi Livni dichiarava: “La politica che impedisce agli studenti di Gaza di lasciare il paese risale alla decisione del gabinetto di sicurezza israeliano del 19 settembre 2007 di dichiarare Gaza un’entità ostile, e di stabilire delle restrizioni alla frontiera sul movimento di persone e merci in entrata e in uscita dalla Striscia, fatta eccezione per i casi umanitari”.Israele ha dichiarato Gaza una “entità ostile” dopo che era fallito il suo tentativo di rovesciare il governo eletto con un colpo di stato, con l’aiuto di combattenti di Fatah addestrati dagli USA nell’estate del 2007.Oggi esiste lo Stranded Students Committee, un comitato che riunisce gli studenti rimasti “intrappolati”. Il loro rappresentante Murad Bahloul spiega che l’organizzazione sta programmando di montare una tenda vicino al confine di Rafah, in segno di protesta. “Tutti gli studenti hanno deciso di fare lo sciopero della fame finché non ci lasceranno uscire dal paese per frequentare le nostre università”, spiega. Bahloul era stato ammesso l’anno scorso ad un’università britannica, ma gli israeliani non l’hanno mai lasciato partire. Quest’anno, ha ottenuto un posto in un corso di gestione della costruzione presso un’università della Malaysia, ma lui teme di perdere anche questa opportunità. Giorno dopo giorno, il futuro sembra svanire. “Mi sento così deluso - ammette Hazem Hussain -. Non posso portare avanti i miei studi. Non posso attraversare (il confine), e questo mi tiene lontano dal mondo libero”. Se non riuscirà a partire presto, perderà un altro anno - e forse di più.

* da www.ipsnotizie.it

lunedì 20 ottobre 2008

Palestina i seri rischi dell'escalation in Cisgiordania e Gerusalemme


Palestina. I seri rischi dell'escalation in Cisgiordania e Gerusalemme
di Sergio Cararo *


Le notizie che giungono dai Territori Palestinesi Occupati (continuiamo a chiamarli così almeno finchè non saranno liberati), indicano una situazione niente affatto pacificata o in stallo. L’indolenza e la disattenzione dei mass media italiani, infatti, non devono trarre in inganno.
Al contrario, ci sono numerosi e crescenti fattori che fanno ritenere come la questione palestinese stia di nuovo per esplodere ed imporsi nell’agenda politica e informativa sulla realtà del Medio Oriente.
La politica e i mass media, durante l’estate, si sono dedicati alla realtà di Gaza quando sono stati sollecitati dall’iniziativa delle navi della solidarietà che hanno rotto l’assedio della Striscia decretato da Israele e dal vergognoso embargo internazionale a cui partecipano anche l’Unione Europea (inclusa l’Italia) e l’Egitto. Ma sul piano degli scontri tra i palestinesi di Gaza e l’apparato militare israeliano, possiamo ammettere tranquillamente che la tregua ha retto e non ci sono stati episodi gravi.
Se i riflettori della politica e dei mass media si fossero dedicati alla situazione in Cisgiordania e Gerusalemme, la realtà che avrebbero visto sarebbe stata del tutto diversi e per certi versi più inquietante.
Nel corso dell’estate, vari rapporti –anche di fronte israeliana – hanno confermato la pesante escalation degli insediamenti coloniali israeliani sia in Cisgiordania che a Gerusalemme Est.
Ciò ha significato la costruzione di centinaia di edifici e migliaia di appartamenti per i coloni israeliani e centinaia di ettari di terreni palestinesi espropriati.. Dopo il vertice di Annapolis, è stata così confermata quella “dottrina di Oslo” che vedeva crescere come funghi gli insediamenti coloniali israeliani mentre erano in corso le trattative con i negoziatori palestinesi. Non solo. Agli insediamenti autorizzati dal governo israeliano si sono aggiunti i cosiddetti “insediamenti illegali” sui terreni palestinesi portati avanti dai gruppi di coloni più aggressivi.
Questa escalation, ha visto aumentare esponenzialmente i punti di tensione e scontro tra i palestinesi e i coloni in gran parte della Cisgiordania, a Gerusalemme ed anche nelle città oggi israeliane dove vivono i palestinesi del ’48.
A conferma di una situazione esplosiva, non abbiamo assistito solo al solito e drammatico scenario dell’occupazione militare e coloniale israeliana (incursioni dei soldati, 7 palestinesi uccisi tra luglio e settembre, attacchi dei coloni) ma anche ad una reazione palestinese molto violenta contro soldati e coloni israeliani. Tra luglio e settembre i palestinesi della Cisgiordania, di Gerusalemme e del ’48, hanno condotto 5 attacchi contro i militari e i coloni che hanno portato al ferimento di una ventina di soldati – in attacchi isolati e non organizzati - e all’uccisione di un bambino israeliano in una colonia.
La tensione e gli scontri sono cresciuti quotidianamente intorno a Nablus, Hebron, Gerusalemme fino a sfociare negli scontri tra abitanti ebrei e palestinesi ad Acri, nel cuore dei confini del’48 imposti da Israele con la pulizia etnica dell’epoca.
A questa situazione sul campo sempre più tesa, si accompagnano due ulteriori elementi di tensione politica che riguardano le leadership israeliana e palestinese:
a) esiste ed agisce con evidenza una crescente crisi politica e morale delle autorità israeliane. Presidenti e premier finiscono ripetutamente sotto inchiesta per scandali e fenomeni di corruzione, l’economia israeliana non potrà in alcun modo sottrarsi dagli effetti della crisi economica USA alla quale è legata a doppio filo, lo stesso progetto sionista della “Eretz Israel” sta entrando in crisi sotto i colpi del fallimento del progetto USA sul Grande Medio Oriente e della stessa ipotesi dei “due popoli due stati” dietro cui si sono nascosti i progetti israeliani di liquidazione della questione palestinese. Questa crisi strategica di Israele innesca tensioni e nervosismi all’interno stesso della società israeliana che vede scatenarsi i settori più aggressivi (i coloni, la destra sionista etc) che ne avvertono le difficoltà e cercano lo scontro diretto con i palestinesi per riproporre l’espulsione di tutti i palestinesi (inclusi quelli del ’48) come compimento della pulizia etnica iniziata nel ’48 e come soluzione ineluttabile per l’avvento di Israele come stato ebraico ed etnicamente “puro”.
Questo progetto vede con terrore il riaffacciarsi dell’ipotesi di uno Stato Unico per palestinesi ed ebrei, una ipotesi che comincia a guadagnare consensi ed interesse di fronte al fallimento sul campo di ogni possibilità degna di questo nome di uno stato palestinese a fianco di quello israeliano.
b) Una crisi diversa ma analoga investe anche la leadership palestinese. La crisi dell’ANP è evidente sul piano del fallimento dei negoziati con Israele (che continuano a non produrre alcun risultato concreto o spendibile nella società palestinese), sul piano del perdurante dualismo di potere tra il governo di Ramallah e il governo di Gaza, sul piano della devastante liquidazione dell’OLP – soppiantata dall’ANP – che ha reciso i legami con i palestinesi della diaspora e dei campi profughi disseminati nei paesi arabi confinanti. L’avanzamento del processo di riconciliazione nazionale tra Hamas e Al Fatah emerso negli incontri del Cairo, dovrà trovare anche obtorto collo un aggiustamento credibile sul rispetto dei tempi per la fine del mandato presidenziale di Abu Mazen. Una forzatura mal posta potrebbe far precipitare nuovamente il movimento nazionale verso lacerazioni dolorose. Pesa infine la non convocazione del congresso di Al Fatah, la principale organizzazione su cui e dentro cui si scaricano gran parte delle tensioni esistenti nel campo palestinese. Si parla in queste settimane di un congresso nei prossimi tre/quattro mesi, ma è prematuro accontentarsi di una indicazione che ha stentato a concretizzarsi negli anni producendo danni politici enormi.
I molti fallimenti accumulati dalla leadership dell’ANP in questi anni e l’accresciuta escalation israeliana in Cisgiordania, a Gerusalemme e nei territori del’48, aumentano la tensione e la rabbia anche dentro il campo palestinese. La mancanza di risultati e di prospettiva, non può essere sostituita dalla garanzia di essere l’unico "interlocutore credibile" per USA e Israele, anzi, rischia di diventare un pericoloso boomerang.
Si ricava dunque la netta sensazione che la tensione si stia accumulando a tutta forza in tutti i punti di contatto e frizione tra i palestinesi e gli apparati coloniali israeliani cioè in Cisgiordania, Gerusalemme e all'interno stesso dei territori occupati da Israele nel '48. Sono ancora in molti - nel governo della destra ed anche nella sinistra ex di governo - a sottovalutare compleramente i segnali che vengono da questa situazione esplosiva alle "porte di casa". In questi anni abbiamo insistito su almeno due aspetti della questione:
a) Non è possibile alcuna pace in Medio Oriente senza giustizia per il popolo palestinese
b) Non è accettabile alcuna equidistanza tra occupanti ed occupati
Oggi, nonostante la questione palestinese stenti ancora a ripresentarsi con la dovuta attenzione nell'agenda politica, è necessario rimettere in campo l'iniziativa e l'informazione su quanto accade e svolgere la funzione che è propria della soggettività delle reti di solidarietà con le lotte di liberazione dei popoli: porre queste ultime all'attenzione pubblica anche quando tutti fanno finta di niente. Anche a questo, dopo lo straordinario successo della campagna e della manifestazione a Torino contro la Fiera del Libro dedicata a Israele, è importante tornare in piazza il 29 novembre per riaffermare il diritto alla vita, alla terra, al ritorno e alla libertà per il popolo palestinese.

* direttore di Contropiano e co-fondatore del Forum Palestina

domenica 19 ottobre 2008

2008 ANNO DELLA PALESTINA

Per il 29 novembre manifestazione nazionale a Roma
appello della Manifestazione


Il Comitato Palestina Bologna, è un gruppo di persone che vuole attivamente sostenere la causa palestinese, attraverso il suo diritto di autodeterminazione. Riconosciamo la resistenza del popolo palestinese contro l'occupazione sionista. Parlare di Palestina per noi vuol dire parlare di una delle principali contraddizioni della competizione globale, è parlare di un popolo che vuole riaffermare la sua esistenza schiacciato dentro interessi mondiali che stritolano la sua vita. E' una storia quella del popolo palestinese che parla di sofferenza, sacrifici, morti, anni di prigionia, ma anche di coraggio, tenacia. Oltre ad una attività di contro-informazione sulla realtà palestinese e di promozione della cultura e storia della Palestina, cerchiamo di smascherare i rapporti economici che anche la nostra regione trattiene con gli occupanti israeliani.


Il Comitato Palestina Bologna, partecipa alla campagna nazionale "2008 anno della Palestina", campagna che è andata avanti dopo il successo di maggio attraverso le contestazioni della fiera del libro di Torino dedicata a Israele e negata alla Nakba dei palestinesi.


Nelle prossime settimane organizzeremo diverse iniziative qui a Bologna per preparare la manifestazione nazionale per la Palestina che si terrà a Roma il 29 novembre:


- una giornata, con cena palestinese, contro il Muro dell'apartheid durante la settimana internazionale contro il muro (9-16 novembre), convocata come ogni anno dalla International Campaing"Stop the Wall";


- un incontro dibattito con esponenti politici e intellettuali palestinesi nelle ultime settimane di novembre.
Facciamo nostri i punti proposti dal Coordinamento delle comunità palestinesi in Italia per la manifestazione nazionale per la Palestina del 29 novembre:
- per la fine dell'occupazione israeliana in Palestina
- per uno stato palestinese sovrano con Gerusalemme capitale
- per il diritto al ritorno ai rifugiati palestinesi, come è previsto dalla risoluzione ONU 194
- per la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane
- per lo smantellamento del regime di apartheid e delle colonie israeliane
- per lo smantellamento dell'assedio imposto alla Striscia di Gaza
- per una partecipazione attiva dell'Italia a tutte le iniziative di pace chiediamo il congelamento dell'accordo della cooperazione militare con Israele
COMITATO PALESTINA BOLOGNA
Vi terremo informati sulle nostre iniziative sul nostro blog.
Se volete collaborare con noi per organizzarle potete contattarci via email.

sabato 18 ottobre 2008

Sostenere posizioni filo-palestinesi è fare demagogia!


Recentemente, in un incontro relativo alla Pace in Medio-Oriente tenutosi il 13 ottobre a Bologna presso il Quartiere Santo Stefano, in seguito a chiarimenti richiesti e ad opinioni da noi espresse nel dibattito, ci è stato risposto che “È ORA CHE I PALESTINESI COMINCINO A RAGIONARE!”; ci è stato risposto che le nostre posizioni e discorsi da “militanti filo-palestinesi” sono solo DEMAGOGIA.

- Noi siamo militanti filo-palestinesi, demagoghi e ottusi, incapaci di ammettere le colpe dei palestinesi che non hanno un loro Stato perché non hanno accettato la risoluzione ONU 181 -
Israele, che ha usurpato terra, acqua, aria, costruito muri e umiliato esseri umani peggio delle bestie (non si è fatta minima menzione di ciò negli interventi dei relatori) occupando ben oltre il territorio definito dalla 181, invece lo ha fatto?;

- siamo incapaci di ammettere che tra i palestinesi ci sono forti dissidi interni che contribuiscono all’attuale stallo del processo di pace (motivazione annoverata addirittura come PRIMA tra le varie cause dello stallo del processo di pace!) -
…ma c’è qualcuno, al di fuori dei palestinesi, che ha interesse vitale per una pace seria, giusta e democratica?;

- facciamo demagogia perché non riusciamo realmente a vedere e ad ammettere come stanno ora i fatti in quanto siamo troppo ancorati alla storia -
risulta più asettico e indolore presentare la questione palestinese-israeliana in intricati discorsi di politica internazionale come completamente astratta e avulsa non solo dalla storia, ma anche dalla attuale realtà quotidiana? …in buona sostanza girare intorno alla questione senza parlarne affatto.

I palestinesi devono cominciare a ragionare”: si rendano conto e ammettano una buona volta che le condizioni disumane in cui vivono se le sono volute…. Insomma, i palestinesi la smettano con i loro piagnistei, che se ne stiano buoni ed in silenzio: questo potrebbe finalmente consentire di completare il processo di Pace in Medio Oriente? …in poche parole zittiamo e cancelliamo direttamente la questione stessa.

Demagogia: […] cercare di accreditare le proprie tesi con affermazioni di facile presa, propagandistiche (Zanichelli).

Fa demagogia chi, in un conflitto giocato sfrontatamente ad armi impari, esprime chiaramente le proprie posizioni o chi racconta delle mezze verità ostentando imparzialità?

Assumere posizioni bipartisan è ormai una moda perseguita e affannosamente inseguita (anche a costo di risultare ridicoli e arroganti) da politici, intellettuali ed esperti a vario titolo: fa facile presa risultando propagandistica (= demagogia). Sono proprio le posizioni di chi si auto-dichiara bipartisan e pacifista che avallano la politica distruttiva del più forte (ed è demagogia far finta di non vedere che c’è e chi è il più forte): si tratta di posizioni, non solo demagogiche, ma pericolosamente subdole, altro che pacifismo e imparzialità!

Ci avrebbe fatto piacere ricevere, da parte dei relatori, delle risposte con argomentazioni circostanziate a sostegno di quanto dichiarato negli interventi e in replica alle nostre obiezioni e richieste di chiarimento, piuttosto che essere liquidati attribuendoci aggettivi sbrigativi… ma anche questa è demagogia.

Da militanti filo-palestinesi, troppo ottusi per capire come stanno seriamente le cose, vorremmo chiedere a chi ci accusa di demagogia, cosa pensa delle posizioni di ebrei israeliani quali Halper, Warshawsky, Pappe, Reynart, A. Shabtai, G. Levy, A. Hass e altri, che hanno criticato pesantemente la politica di Israele parlando di “stoccaggio di un popolo”, di pulizia etnica, di intenzionale e programmata distruzione della Palestina. Fanno anche loro ciechi discorsi da militanti filo-palestinesi? Sono anche loro ottusi idealisti che rischiano censure, prigione, il loro posto di lavoro in Israele, per fare semplicemente DEMAGOGIA?

Se ritenete che le nostre posizioni siano demagogiche e indice di incapacità di ragionare, vi segnaliamo alcuni libri e riferimenti di persone molto più autorevoli di noi, volutamente non selezionate tra i palestinesi stessi (“che devono ancora cominciare a ragionare”):

· Halper J. 2008. LO “STOCCAGGIO DI UN POPOLO DI TROPPO” – I PALESTINESI. http://www.rete-eco.it/approfondimenti/opposizione-israeliana/2782-lo-stoccaggio-di-un-popolo-di-troppo-i-palestinesi-.html; http://www.icahd.org/eng/articles.asp?menu=6&submenu=2&article=507

· Freedman S., 2008. PULIZIA ETNICA DI SOPPIATTO.
http://www.rete-eco.it/approfondimenti/politiche-israeliane/2629-pulizia-etnica-con-linganno.html

· Levy G., 2008. PALESTINA: PEGGIO DELL’APARTHEID.
http://nuke.alkemia.com/MedioOriente/tabid/80/Default.aspx
· Levy G., 2008. IL GENERALE DELLE CIPOLLE E DELL’AGLIO. http://www.rete-eco.it/documenti/35-riflessioni/2159-il-generale-delle-cipolle-e-dellaglio.html; http://www.haaretz.com/hasen/spages/1001358.html

· Pappe I., 2006. Trascrizione del Seminario di I. Pappe all’università di Granata: "LA PULIZIA ETNICA IN PALESTINA : UN NUOVO PARADIGMA PER COMPRENDERE IL PROBLEMA PALESTINESE".
http://www.assopace.org/news.php?id=94
· Pappe I., 2008. A GAZA IN ATTO UNA PULIZIA ETNICA. http://www.forumpalestina.org/news/2008/Maggio08/02-05-08GazaPuliziaEtnica.htm
· Pappe I., 2008. LA PULIZIA ETNICA DELLA PALESTINA. Fazi Editore.

· Fondazione Internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli, 1988. NAKBA L’ESPULSIONE DEI PALESTINESI DALLA LORO TERRA. Edizioni Ripostes. (Volume disponibile presso la Biblioteca Amilcar Cabral – Bologna).

· Reinhart T., 2004. DISTRUGGERE LA PALESTINA. La politica israeliana dopo il 1948. Marco Tropea Editore.

· Warshawsky M., 2004. IL RICATTO DELL’ANTISEMITISMO.
http://www.forumpalestina.org/news/2007/Gennaio07/Antisionismo/antisionismo_Non_antiebraismo_Warshawski.htm
· Warshawsky M., 2006. INTERVISTA A MICHEL WARSHAWSKY di Geraldina Colotti. http://nuke.alkemia.com/MedioOriente/MichelWarschawski/tabid/223/Default.aspx
· Warshawsky M., 2008. I MACELLAI OLMERT E BARAK E LA RESPONSABILITA’INTERNAZIONALE.
http://www.forumpalestina.org/news/2008/Marzo08/11-03-08MacellaiOlmertBarak.htm

Fino a quando saremo costretti a prendere a prestito parole di non-palestinesi per sperare di essere considerati “ragionevoli” e credibili sulla questione palestinese?

COMITATO PALESTINA BOLOGNA

domenica 12 ottobre 2008

Palestina: imparare dal Sudafrica

di Savera Kalideen e Haidar Eid *

Il valore strategico della solidarietà internazionale con il popolo palestinese di Gaza e Cisgiordania, con i rifugiati della diaspora e con i palestinesi che vivono in Israele fa sorgere alcune domande fondamentali. Le più immediate ed urgenti sono: di quale natura dovrebbe essere la solidarietà internazionale e come potrebbe migliorare il sostegno alla lotta palestinese per l’autodeterminazione? La solidarietà internazionale deve innanzi tutto affrontare i modi in cui il sionismo colonialista ha perseguito e continua a perseguire la politica di bantustinazzione [tipica] del Sudafrica dell’apartheid. È anche imperativo trattare i gravi danni che gli Accordi di Oslo hanno causato alla lotta palestinese, dato il grado di confusione che questi hanno creato nell’arena internazionale.Un’analisi storica dell’attuale pantano palestinese non può separare l’apartheid ed il sionismo dal colonialismo. Come argomenta in modo molto persuasivo Samir Amin nel suo [libro] Unequal Development [Sviluppo disuguale], nel Sudafrica del XIX secolo, il capitalismo ed i colonialisti espropriarono le comunità rurali africane della terra che soddisfava i bisogni di una parte consistente del proletariato, per sfruttare l’enorme ricchezza mineraria del paese. La popolazione originaria fu relegata in zone aride e non ebbe altra possibilità che trasformarsi in manodopera a basso costo per le miniere e le fattorie europee e, successivamente, per la nascente industria sudafricana. L’esproprio iniziale trasformò lentamente una società vitale e dinamica in mera manodopera di riserva, con una perdita graduale della sua indipendenza e portò, in ultima istanza, alla creazione dell’apartheid e dei Bantustan. Tuttavia, questo processo ricevette opposizione: durante l'esproprio e la conversione del Sudafrica in un paradiso della supremazia razziale, la comunità internazionale fu mobilitata dalla lotta interna sudafricana e da una campagna di difesa coordinata dai sudafricani per protestare contro la flagrante creazione di una manodopera in eccesso e contro l’inumano e razzista sfruttamento dei neri sudafricani. Oggi è il razzista stato israeliano ad esser condannato di spogliazione della popolazione originaria, di adottare contro di essa una politica genocida e, più di recente, perfino di minacciare un “olocausto” nella Striscia di Gaza. Nel corso degli anni, sudafricani come l’arcivescovo Tutu, Blade Nzimande e John Dugard hanno accusato Israele di essere peggiore dello stato dell’apartheid. Questi sudafricani che vissero la segregazione razziale individuano alcune pratiche che rendono l’apartheid israeliana qualitativamente peggiore dell’apartheid sudafricana, come l’uso di caccia F-16 e di elicotteri per colpire civili indifesi, la demolizione delle case, la detenzione delle famiglie di chi è sospettato di essere “militante” .Similitudini tra i due stati dell’apartheid si riscontrano nelle politiche sulla cittadinanza, nell'uso della detenzione senza processo e nelle leggi che limitano la libertà di movimento e il diritto a vivere nella propria casa con la propria famiglia. Così come la segregazione razziale sudafricana concedeva la cittadinanza ai sudafricani bianchi e relegava i neri in “homelands, terre indipendenti” (cioè i Bantustans), il sionismo concede a tutti gli ebrei il diritto alla cittadinanza nello Stato d’Israele e nega la cittadinanza ai palestinesi, che sono gli abitanti originari di questa terra. Mentre l’apartheid sudafricana utilizzava la razza per determinare la cittadinanza, lo Stato d’Israele utilizza l’identità religiosa. Così come in Sudafrica vennero emanate leggi che criminalizzavano la libertà di movimento dei neri nella loro terra di origine, Israele utilizza infrastrutture d’occupazione militare atte alla segrazione: i checkpoint, gli insediamenti e le strade per i soli ebrei, il muro, oltre a una miriade di norme che governano la vita quotidiana palestinese e che sono progettate specificatamente per restringere le libertà personali di vita e lavoro.Dal 1967, Israele ha imprigionato un quarto della popolazione maschile palestinese ed oggi nelle sue prigioni sono detenuti in più di 11.000, migliaia dei quali non hanno assistenza legale. Molte di queste persone incarcerate hanno trascorso anni in prigione per “crimini” come l’entrare illegalmente in Israele. Migliaia di famiglie palestinesi vivono sotto la minaccia di una separazione forzata o sono già separate perché non hanno i permessi necessari per vivere insieme, permessi che Israele si rifiuta di rilasciare dal 2000. Queste politiche colpiscono il cuore della vita familiare, poiché i palestinesi sono obbligati a chiedere ad Israele i permessi di riunificazione familiare se vogliono vivere insieme.Durante gli anni dell’apartheid, il Sudafrica fu sottoposto alla pressione della comunità internazionale e di organizzazioni multilaterali come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che approvò innumerabili risoluzioni contro quel paese a causa del trattamento inumano verso i neri. Questo portò un aiuto indispensabile agli oppressi, mentre oggi ai palestinesi è negata perfino questa minima consolazione, poiché gli Stati Uniti continuano ad utilizzare il loro diritto di veto per assicurarsi che Israele sfugga alla censura dalla comunità mondiale.Per decenni, la solidarietà internazionale col popolo palestinese ha svolto un ruolo estremamente importante, benché dialettico, nell’incrementare la lotta. Esiste un’indubbia relazione proporzionale tra le differenti forme di lotta nei territori occupati e l’attenzione e la solidarietà internazionali che questa è capace di suscitare. E' inquietante come sia fermamente radicata nella società civile internazionale la credenza che, in sostanza, la lotta palestinese si sia risolta, nonostante negli ultimi quindici anni Israele abbia rifiutato ciascuno dei compromessi indicati negli Accordi di Oslo, e nonostante gli otto anni trascorsi dall’inizio della seconda Intifada palestinese, tutt'ora in atto. Da qui l’urgenza di una campagna di solidarietà internazionale che denunci con piena chiarezza le similitudini tra apartheid e sionismo, così come tra le esperienze comuni dei palestinesi di oggi, in quanto popolo diseredato, e i neri sudafricani sotto l’apartheid.Tutti siamo stati testimoni di come la comunità internazionale negò legittimità ai risultati delle elezioni del 2006 in Palestina, e di come il popolo palestinese sia stato punito collettivamente per la temerarietà nello scegliere i propri dirigenti. I sudafricani dovettero aspettare 27 anni prima che i dirigenti ed il partito politico che avevano scelto per governarli, fossero messi in libertà . Durante tutti quegli anni respinsero ogni falso dirigente che fu loro imposto, anche quando questi quisling [collaborazionisti] erano celebrati da personaggi del calibro di Margaret Thatcher e Ronald Reagan. In una data tanto recente come il 1987, la Thatcher era sufficientemente sicura per affermare che “Nelson Mandela non sarà mai presidente del Sudafrica.”Come il governo Thatcher, altri governi del mondo furono obbligati ad isolare lo stato dell’apartheid sudafricano. Non l’avrebbero fatto se non fosse stato per la pressione dei propri popoli. Israele deve essere isolato esattamente come lo fu il Sudafrica dell’apartheid. Oggi esiste una crescente lotta di massa all’interno della Palestina, come anche altre forme di lotta, esattamente come nel Sudafrica della segregazione razziale. Il rafforzamento del movimento di solidarietà internazionale con un’agenda comune farebbe risuonare la lotta palestinese in tutti i paesi del mondo. Di conseguenza il mondo stesso si chiuderebbe agli israeliani fino a quando essi non lo aprissero ai palestinesi.
*Savera Kalideen è un’ attivista sudafricana; Haidar Eid appartiene alla Campagna di boicottaggio per il disinvestimento e le sanzioni (BDS) ed è attivista per uno Stato unico in Palestina.
Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

giovedì 9 ottobre 2008

Speciale Palestina

TERRA DI TUTTI FILM FESTIVAL (http://www.terradituttifilmfestival.org/programma-10-pro.html)

Sezione Terra Tematica – Speciale Palestina

Sabato 11 Ottobre – Centro Sociale TPO, via Casarini 17/5

ORE 21,00
Educare a Gaza
di Alessia Del Bianco e Nicola Gencarelli - Italia, 2008, 30’
Un furgone pieno di giochi attraversa la Striscia di Gaza per raggiungere scuole, ospedali e strade sterrate. Educatori, artigiani, genitori e bambini raccontano il senso dell'educazione e della cooperazione in un contesto di guerra e precarietà.

40 years
di Sami Alhaw - Palestina, 2007, 40’’
Video-arte sugli effetti di 40 anni di violenza in Palesatine, che hanno portato la comunità ad un contesto di lotta continua e hanno distrutto le relazioni sociali

Water not included
di Francesco Cannito - Italia/Palestina, 2007, 20’ (Fuori concorso)
Adh Dhahiriya è una cittadina di 20.000 abitanti nel sud della regione di Hebron, nei territori palestinesi occupati. Lo stato di povertà generalizzata della Gisgordania e di Gaza è accentuata in quest’area a causa della mancanza cronica di acqua dovuta a fattori sia geografici che politici.

Palestina la vita oltre il muro
di Giovanni Lucci - Italia, 2006, 10’
Nella primavera del 2003 il governo di Israele da inizio alla costruzione di un muro di cinta per separare i Territori Occupati della Cisgiordania dal resto del Paese, allo scopo di prevenire attacchi terroristici da parte dei Palestinesi. Il muro viene chiamato "muro di sicurezza". La Comunità Internazionale condanna l'iniziativa e chiede ufficialmente ad Israele di interrompere il progetto. La risoluzione ufficiale non è accompagnata dalla possibilità di combinare sanzioni. Il governo di Israele continua a tutt'oggi la costruzione dal muro dell'Apartheid. Palestina.: la vita oltre il muro è una testimonianza delle condizioni di vita dei Palestinesi nei Territori Occupati raccontata attraverso i reportage realizzati dalla giornalista Michela Sechi inviata di RadioPopolare di Milano e dalla fotoreporter Bruna Orlandi durante l'anno 2005.

ORE 24.00 00

I Ramallah Underground Live
Il TPO nell’ambito del Terra di Tutti Film Festival presenta per la prima volta in Italia i Ramallah Underground, collettivo di giovani musicisti palestinesi, autori di una musica nuova ed originale che va dall’elettronica araba all’ hip-hop, dal trip hop al downtempo.
Il gruppo è nato a Ramallah (Palestina), dal desiderio di tre giovani musicisti, Boikutt, Stormtrap e Aswatt, di sperimentare nuovi generi musicali e di dare voce, al tempo stesso, ad una generazione di Palestinesi e Arabi che si trovano ad affrontare un panorama politico turbolento ed incerto. Special guest della serata sarà la giovane videomaker e fotografa palestinese Ruanne Abou-Rahme, che accompagnerà le musiche con performance video.

Le date del Tour dei Ramallah Underground: Reggio Emilia 10 Oct Laboratorio Sociale AQ16; Bologna 11 Oct. Centro Sociale TPO; Padova 14 Oct. Centro Sociale Pedro; Milan 15 oct. Centro Sociale Baraonda; Bergamo 16 oct. Centro Sociale Paci Paciana; Pisa 17 oct Centro Sociale Newrotz; Rome 18 oct Centro Sociale STRIKE

mercoledì 8 ottobre 2008

L’Italia sapeva chi erano i killer di Wael Zwaiter e non li ha arrestati

Le rivelazioni di Cossiga richiedono che si riaprano tutte le inchieste sugli assassini di quattro dirigenti palestinesi a Roma

Wael Zwaiter nel 1972, Majed Abu Sharar nel 1981, Kamal Hussein e Nazih Matar nel 1982, sono questi i nomi e le date degli omicidi di quattro dirigenti palestinesi avvenuti a Roma nel giro di dieci anni ed effettuati con armi da fuoco ed esplosivi dai servizi segreti israeliani. Su questi delitti il depistaggio e l’insabbiamento degli inquirenti e dei mass media italiani sono stati totali.
Sul primo caso, quello dell’intellettuale palestinese Wael Zwaiter troviamo conferma nelle parole dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, di come le autorità italiane sapevano chi fossero gli assassini ma non procedettero ad alcun arresto.

In una intervista rilasciata al quotidiano israeliano Yediot Aronoth, pubblicato il 5 ottobre scorso, Francesco Cossiga ammette testualmente:"L'azione del Mossad contro gli assassini degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 è passata anche per Roma", dice. Come noto, Adel Wahid Zuaitar, il simbolo della furbizia dell'organizzazione del Settembre Nero, fu ucciso a Roma. "Crede che l'Italia non potesse, a suo tempo, arrestare i due agenti che lo fecero fuori? Un giorno, mentre rientrava in casa, due giovani lo picchiarono all'ingresso e lo fecero fuori con due pistole munite di silenziatore. Crede che gli italiani non sapessero chi fossero? È ovvio che lo sapevano, ma in questioni del genere è meglio non mettere le mani, ed è questa la linea che guidava il comportamento dell'Italia".

La stessa logica del “non mettere le mani” nelle incursioni del Mossad in Italia da parte delle autorità italiane, è stata poi applicata nel caso dell’esplosione dell’aereo militare Argo 16 nel 1973 sul cielo di Marghera (quattro morti), negli altri tre omicidi dei dirigenti palestinesi tra l’81 e l’82 e nel sequestro a Roma dello scienziato pacifista israeliano Mordecai Vanunu.

I giornalisti, i commentatori e gli psico-storici, che il prof. D’Orsi definirebbe giustamente “rovescisti”, invece di invocare una inchiesta completa sulle complicità dei governi italiani con il terrorismo di stato israeliano sul nostro territorio, alimentano lo scandalo e la ricerca della verità in modo del tutto unilaterale e cioè sugli accordi tra una parte dei servizi segreti e della politica italiana con le organizzazioni palestinesi tesi ad impedire che le strade e le città del nostro paese diventassero il campo di battaglia tra il Mossad israeliano e l’OLP.

E’ giunto il tempo di invocare la desecretazione degli atti sugli omicidi dei dirigenti palestinesi a Roma, sull’abbattimento dell’Argo 16 e sul sequestro di Modercai Vanunu, di aprire finalmente una seria inchiesta che non consenta – come al solito – di far passare i colpevoli per anime belle e di non ipotecare la verità storica alle distillate, velenose e unilaterali rivelazioni di Francesco Cossiga.

Verità e giustizia per Wael Zwaiter, Majed Abu Sharar, Kamal Hussein e Nazih Matar. E’ ora, è giusto.

da Forum Palestina www.forumpalestina.org

mercoledì 1 ottobre 2008

Lettera di un pacifista israeliano a Barak. "Lei è responsabile della violenza dei coloni"


Lettera di Michael Mankin di Breaking the Silence al ministro Ehud Barak.
Egregio ministro della difesa Ehud Barak, sono rimasto sorpreso nell’udire la sua reazione all’ordigno fatto esplodere all’ingresso dell’abitazione del professor Ze'ev Sternhell: ha detto che non permetterà a nessuno, all’interno della società israeliana, di attaccare chi esprime le proprie opinioni. Una posizione netta che presumo condivisa dalla stragrande maggioranza della società israeliana, sia a destra che a sinistra.

Tuttavia lei, nella sua qualità di ministro della difesa in carica già da due anni, non può esprimersi come un qualunque cittadino. Questo incidente ricade sotto la sua competenza, e certamente che non si tratta di un gesto né unico né nuovo. Come ministro della difesa, lei non dovrebbe essere colto alla sprovvista. L’organizzazione in cui milito, Breaking the Silence (“rompere il silenzio”) da anni organizza visite guidate a Hebron e da tempo viene attaccata dai coloni.

Hebron, come lei sa, è il laboratorio dove l’estrema destra saggia i limiti della tolleranza delle autorità israeliane. Il terrorismo ebraico trova origine in quella città, un terrorismo diretto principalmente contro i palestinesi, come sanno tutti. Anche noi, in quanto israeliani che chiedono che la legge venga fatta rispettare, abbiamo subito maltrattamenti da parte di questa gente: lanci di sassi e uova, urla, minacce, insulti, persino aggressioni fisiche sono diventate parte della routine dei nostri tour. La polizia non arresta i facinorosi: per loro è più facile rimuovere noi dalla città. Di recente la polizia ha cancellato ancora un altro tour. Motivo: i funzionari di polizia dicono d’essere preoccupati per la nostra sicurezza e temono che coloni estremisti vengano in città da tutti i territori. La polizia teme questi coloni perché non ha gli strumenti per affrontarli. Lei, signor Barak, non fornisce alle forze di sicurezza quegli strumenti.

Hebron non è l’unico punto caldo, come lei sa. In passato abbiamo assistito a molti incidenti nella regione a sud del Monte Hebron, nella regione di Yitzhar e altrove. La violenza non è più diretta solo contro i palestinesi, né solo contro gli israeliani di sinistra, ma anche contro i soldati e gli agenti di polizia. Nelle ultime settimane abbiamo visto aggredire soldati a un avamposto militare. Soldati e agenti di polizia sono hanno paura di avvicinarsi ad alcune comunità ebraiche (in Cisgiordania). Tutte i discorsi sul deteriorasi dello stato di diritto nei territori sono diventati banali.

“Non permetteremo che nessuno attacchi altri all’interno della società israeliana”: lo ha dichiarato lei con grande risolutezza. Ma è lei che ha lasciato che queste cose avvenissero sin dal primo giorno in cui è entrato in carica. Anziché fare dichiarazioni, lei dovrebbe andare di fronte all’opinione pubblica e dire: “Su questo versante ho fallito”. E, cosa ancora più importante, dovrebbe agire. Dopo tutto, qualunque israeliana che abbia seguito gli eventi degli ultimi anni sa che il deterioramento è solo all’inizio. Signor ministro, l’ordigno esplosivo diretto contro il professor Sternhell non è un nuovo incidente: è solo l’incidente avvenuto più vicino a casa sua. Non faccia quello che cade dalle nuvole, faccia piuttosto il suo dovere.
(Da: YnetNews, 22.09.08)
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