“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

mercoledì 31 dicembre 2008

le aziende di bologna che commerciano con Israele

Le aziende a bologna che commerciano con lo stato di israle, l'elenco
completo a livello nazionale si può trovare sul sito del Forum
Palestina: http://www.forumpalestina.org/

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Israele sulla via del disprezzo

[...]
Ricordando l'introduzione di Primo Levi al suo esemplare libro "Se questo è un uomo", affermiamo che quando il disprezzo per lo straniero, il diverso, diventa il fondamento di una società, si arriva al lager.
La strage di Gaza, insieme all'oppressione dei palestinesi, nella Cisgiordania, alla loro discriminazione in Israele, è già ben inoltrata su questa strada.
Rete degli Ebrei Contro l'Occupazione
da Il Manifesto 31/12/2008

Soluzione finale

di Patrizia Viglino
Cadaveri distesi per terra a mucchi, corpi dilaniati, volti esangui, le preghiere dei feriti in fin di vita. Bambini col cranio scoperchiato, grida di terrore, donne e uomini coperti di polvere, estratti dalle macerie degli edifici distrutti e tutto intorno quello che resta di vite umane spese nella sofferenza, nell’assedio, nella fame, nel sogno di vita e libertà che si trasforma in un fiume di sangue. Ospedali al collasso, privi di medicinali e di mezzi, corsie piene di cadaveri che giacciono fianco a fianco con i feriti, con i bambini che chiamano le madri sotto il flash delle macchine fotografiche. Sanguina la Striscia di Gaza, sanguina e geme da tre lunghi giorni di furia omicida, aggredita da un esercito di sanguinari, sottoposta ad una pioggia di bombe che dal cielo e dal mare si abbatte sulla comunità di palestinesi rinchiusi nel più grande campo di concentramento del Mondo.Ai confini del Gaza-Campo, soldati israeliani che si preparano all’invasione di terra, truppe che cantano e ballano, che esultano per gli oltre 350 morti palestinesi. Quale orrore maggiore ci stiamo preparando a guardare attraverso lo schermo delle televisioni nelle prossime ore? Quale raziocinante retorica saremo pronti ancora a digerire?E intanto sentiamo ripetere l’odioso mantra dei carnefici del popolo palestinese, dal ministro israeliano della difesa Barak a quello degli esteri Livni, che in clima di campagna elettorale dicono di non voler fermare questa macchina da guerra chiamata “Israele” fintanto che Gaza non sia riportata indietro di dieci anni, fintanto che non rimarrà in piedi un solo edificio di Hamas, fintanto che non verrà annientato l’eterno nemico che oggi si chiama Hamas, come ieri si chiamava al-Fatah, come in passato si è chiamato OLP e come da sempre si chiama Popolo Palestinese.Un’ombra sta scendendo sul mondo intero, sui giornalisti che se pur impressionati per la carneficina in corso non possono fare a meno di ripetere che Israele è in guerra con Hamas e che “una pioggia di razzi Qassam” ha colpito il sud di Israele.Un’ombra si è già allungata sui governi occidentali, deboli pedine dello scacchiere della guerra totale che la potenza statunitense ha coltivato e accudito dagli anni Novanta ad oggi. Non è difficile comprenderlo. Il neo-eletto Barak Obama non ha fatto altro che seguire la linea di Bush in materia di politica mediorientale. Se qualche illuso ha creduto che essere un afro-americano significasse essere sensibile ai temi della pace si è sbagliato di grosso. Le dichiarazioni di Obama su questa strage degli inermi sono perfettamente in linea con la condotta dell’amministrazione Bush che dopo due giorni di guerra totale a Gaza ha ribadito che con Hamas, con i “terroristi” non si tratta. Come sempre e prima di tutto vengono gli interessi di Israele e per questo Israele ha qualunque diritto sul popolo palestinese, anche il diritto di vita e di morte, di imporre prigionia, fame, freddo, oscurantismo, disperazione. Ogni opzione è aperta su Gaza, ogni soluzione è buona per annientare questo popolo che ha commesso il grande crimine di esistere.3 miliardi di dollari americani all’anno in finanziamenti alla macchina da guerra israeliana che per dieci anni hanno attrezzato i criminali di guerra, stiamo certi continueranno anche nel 2009.La propaganda israeliana si è mobilitata parallelamente alla macchina bellica. Il ministro degli esteri Livni si è detta impegnata in una campagna mediatica senza precedenti. Uno staff scelto prende contatti in tutte le lingue e verifica che questa operazione di distruzione su Gaza venga interpretata nel giusto modo, si assicura che si parli di “difesa” e non di attacco, che si metta in luce come il nemico sia Hamas e non i palestinesi.Controllano che il linguaggio e la disinformazione siano appropriati in modo da poter opportunamente sostenere la menzogna che ad essere bombardati siano solo le infrastrutture del terrore, la catena di comando di Hamas. Nemmeno una parola sulle vittime civili, sui bambini trucidati, sulle centinaia di famiglie distrutte dovrà essere spesa, mentre le immagini più crude è meglio censurarle. I mezzi di informazione continuano a ripetere e a trasmettere l’ordine di Tel Aviv: è un’operazione militare chirurgica contro Hamas, contro il terrorismo, contro il pericolo mortale per Israele. Ma sulle pagine di Ha’aretz Amira Hass scrive il contrario, scrive che non è un attacco contro Hamas ma contro tutto il popolo palestinese.In queste ore di orrore e di terrore, nessun capo di stato dice che i palestinesi hanno il diritto di esistere, che questa sanguinaria occupazione militare deve finire. Il lungo embargo umanitario che hanno chiamato “tregua”, ha servito sul piatto d’argento il pretesto della carneficina a suon di bombe. Una volta cotto a puntino, il popolo di Gaza può affrontare inerme l’invasione dell’esercito israeliano che in modo codardo si prepara ad entrare e ad affrontare armi in pugno una popolazione ridotta allo stremo.In tre giorni di ininterrotti bombardamenti la macchina da guerra israeliana ha colpito in mezzo alla popolazione civile, si è macchiata di crimini di guerra colpendo caserme, case, edifici pubblici, università, moschee, luoghi di culto, danneggiando ospedali e tutto questo lo chiamano “Hamas”.Di fronte a questo orrore disgustoso anche il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, in linea con Bush, ha chiamato tutto questo “Hamas” e ha dichiarato che la colpa è di Hamas per aver rotto la tregua unilaterale, obbligatoria solo per i palestinesi.Le divisioni interne palestinesi si sono ormai sedimentate, sono state costruite con abilità, a tavolino dalle diplomazie internazionali e tutto questo l’hanno chiamato “piano di pace”.Quando tutto questo sarà finito la stampa non si prenderà cura di raccontarci fino in fondo questo Genocidio. Un milione e trecentomila palestinesi rinchiusi nella Striscia di Gaza non hanno possibilità alcuna di scampare al massacro che colpirà nel mucchio, a caso.Tutto il Mondo è in rivolta e sta urlando la sua rabbia ma questo non conta nulla quando il mondo è governato da una classe di inetti e corrotti che porta avanti la grande menzogna della civiltà, quando il nostro silenzio inattivo viene pagato con il controllo del benessere finanziario, quando siamo disposti a lasciare che altri paghino i disastri del capitalismo di guerra, i mancati proventi del petrolio iracheno, i licenziamenti alla General Motors, la crisi finanziaria mondiale.Il modello diplomatico in corso è quello sperimentato durante l’attacco al Libano del 2006: diplomazie al lavoro per decidere nel modo più lento possibile e per lasciare aperta ad Israele quella finestra di tempo necessaria per scatenare il suo odio anti-palestinese, per dare fiato agli anti-arabi, ai razzisti (molti dei quali tuonano dalle pagine dei quotidiani nazionali), a tutti coloro che non spenderanno una sola lacrima per un bambino palestinese morto ammazzato. Eppure le immagini che arrivano da Gaza parlano chiaro, mostrano un crimine di guerra, uno sterminio di massa realizzato con i toni trionfalistici di chi sa, nel governo israeliano, che non esiste alcuna forza politica sufficientemente libera da interessi politici capace di dire basta, di rompere ogni relazione, politica, diplomatica, commerciale, con questo governo di assassini. Qual è la distanza che separa la guerra totale contro il popolo palestinese dalla soluzione finale palestinese?

30 dicembre 2008

martedì 30 dicembre 2008





SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE
Gaza: Le immagini che i mezzi di comunicazione non pubblicano
Fuente: La estrella Palestina
http://www.laestrellapalestina.org/galeria/index_galeria_gaza-ataque-israeli-diciembre-2008_(2).html

Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

di Mustafa Barghouti
Intervento dell'ex ministro dell'informazione del governo di unità nazionale palestinese

Ramallah, 27 dicembre 2008.

E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l'elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele? Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas.

Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas.
Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l'ennesima arma di distrazione di massa per l'opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia.

E se Annapolis è un processo di pace, mentre l'unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell'occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall'altro lato del Muro?
Ma sto qui a raccontarvi vento.

Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l'indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli.

Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell'aria, come sugheri sull'acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità, libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola? Una clinica forse? Delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant'anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati?

Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori. La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

(testo raccolto da Francesca Borri)

Incriminate Barak, Livni e Olmert di crimini di guerra! [*]

Lo Stato di Israele deve essere sospeso dalle istituzioni internazionali fino a quando Gaza sarà sotto assedio e l’aviazione e l’artiglieria israeliana continueranno a massacrare la sua popolazione!140 morti [†] dopo la prima ora dell’attacco criminale israeliano contro la popolazione civile Gaza. «Non è che l’inizio» hanno affermato gli altiresponsabili israeliani, ripromettendosi di continuare i bombardamenti della città più popolata per metro quadrato del mondo!

[…]
Dopo aver organizzato il trasporto dei potenziali manifestanti da Gerusalemme, mi restano due ore prima di partire per Tel Aviv. Le impiego per chiedervi, amici e compagni del movimento sociale internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, di reagire immediatamente contro questo nuovo crimine di guerra commesso dal mio governo e dal mio esercito: più che mai il popolo palestinese ha bisogno della vostra mobilitazione, della vostra solidarietà e dei vostri sforzi. Più che mai dovete fare pressione sui vostri governi per imporre sanzioni a Israele e perché sia chiaro che uno Stato che vìola le regole più elementari della legge internazionale deve essere escluso dalla comunità delle nazioni civili. I dirigenti politici e militari israeliani devono essere trascinati in giudizio in un tribunale internazionale per crimini di guerra! Seguiamo l’esempio dei nostri compagni britannici e diciamo chiaramente che ovunque vogliano andare: Barak, Ashkenazi, Olmert o Livni saranno accolti da un’accusa per i crimini di guerra che hanno commesso nei territori palestinesi occupati!
No all’impunità per i criminali di guerra israeliani!
Michel Warschawski,
Alternative Information Center (AIC), Beit Sahour/Gerusalemme27 dicembre 2008
[*] Tradotto dal francese e tratto dal sito internet dell’AFPS
[†] Ad ora i morti hanno raggiunto il numero di 400

Gaza solidarizzare con chi resiste

Gaza. Solidarizzare con chi resiste, denunciare chi collabora con i bombardamenti israeliani

In queste ore la Striscia di Gaza è stata trasformata in una trappola mortale dai bombardamenti israeliani che hanno già fatto centinaia di morti e altrettanto feriti che moriranno nelle prossime ore perché gli ospedali erano al collasso già da due anni a causa del vergognoso embargo.
I palestinesi di Gaza sono chiusi in ogni lato dai militari israeliani e da quelli egiziani, sottoposti a micidiali bombardamenti e impediti a uscire da questo nuovo “ghetto di Varsavia” per cercare rifugio, alimenti, assistenza medica e protezione.
Chiunque abbia un minimo senso di giustizia e verità oggi non può e non deve tacere di fronte al genocidio in corso a Gaza, un genocidio fatto prima di lento strangolamento economico/sanitario e di assedio e poi da missili, bombe e cannonate sull’area del mondo a maggiore densità di popolazione.
Noi riteniamo che sia giunto il momento di prendere posizione e di avviare una vasta campagna di mobilitazione tesa a impedire l’annientamento politico e materiale della popolazione palestinese da parte di Israele.
Per questi motivi riteniamo che:

1) Oggi occorre schierarsi apertamente con chi a Gaza oppone resistenza con ogni mezzo all’aggressione israeliana e condannare altrettanto apertamente chi si dissocia dalla resistenza. Riteniamo pertanto inaccettabili le parole e l’atteggiamento del presidente palestinese Abu Mazen e degli altri dirigenti dell’ANP che ritengono Hamas, e non Israele, responsabili della situazione, cercando di approfittare dell’aggressione per determinare un nuovo rapporto di forza dentro lo scenario palestinese. Abu Mazen si dovrebbe preoccupare di smentire le dichiarazioni del ministro israeliano Tzipi Livni la quale ha confermato che l’offensiva militare contro Gaza e Hamas andrà avanti fino a quando non ci sarà un nuovo equilibrio di potere funzionale agli interessi israeliani. Se la prospettiva di Abu Mazen e dell’ANP è simile a quella di un governo come quello di Al Maliki in Iraq, è evidente come tale prospettiva non possa trovare più alcun sostegno da parte di chi anima la solidarietà con la lotta del popolo palestinese.

2) Sulla situazione in Palestina emergono le gravissime complicità dei regimi arabi reazionari e filo imperialisti – in modo particolare dell’Egitto – che si rende ancora complice dell’embargo e del blocco contro la popolazione palestinese di Gaza arrivando a schierare le forze armate ai confini e facendo sparare contro i palestinesi che cercavano di fuggire dalla trappola di Gaza cercando rifugio e protezione in Egitto.

3) Va affermato con forza che la responsabilità della drammatica situazione a Gaza è della politica di annientamento perseguita da Israele con la complicità dell’Egitto, degli USA e dell’Unione Europea e non di Hamas. Non si può continuare a fare confusione su questo.
Gaza è assediata per terra e per mare da due anni chiudendo in trappola un milione e ottocentomila persone. La tregua non è stata rotta da Hamas o dalle altre organizzazioni palestinesi attive nella Striscia di Gaza ma dalle autorità israeliane che durante la "tregua” hanno ucciso 25 palestinesi, effettuato arresti e rastrellamenti in Cisgiordania, mantenuto chiusi i valichi impedendo ai palestinesi di Gaza di entrare, uscire o ricevere i rifornimenti necessari per sopravvivere. Ogni simmetria tra il lancio di razzi palestinesi a dicembre e i feroci bombardamenti israeliani è una ingiuria alla verità e alla giustizia.

4) I governi europei (incluso quello italiano) hanno preso posizioni formali ed equidistanti sul mattatoio in corso a Gaza che rivelano una grande preoccupazione per le ripercussioni degli avvenimenti in corso ma senza trarne le dovute conclusioni nelle relazioni politiche, diplomatiche e commerciali con Israele. Hanno accettato e mantenuto l'embargo contro i palestinesi di Gaza ed hanno mantenuto i rapporti di collaborazione militare, scientifica, economica con le istituzioni israeliane. Il governo israeliano ha messo non solo l’Europa ma anche la nuova amministrazione USA di fronte al fatto compiuto potendo godere di un livello di impunità per i propri crimini di guerra e contro l’umanità che la storia dal dopoguerra a oggi non ha assicurato a nessun altro stato.

5) Il popolo palestinese vive un momento estremamente difficile dal quale potrebbe uscire ridotto ad una esclusiva questione umanitaria che negherebbe decenni di lotta politica e di ambizioni alla liberazione nazionale della Palestina. Il popolo palestinese da anni affronta la più pericolosa potenza militare esistente in Medio Oriente – Israele – potendo contare sul sostegno solo delle altre forze che animano la resistenza antisionista nella regione, a cominciare dal Libano. L’unità di tutte le forze della resistenza a livello regionale è un passaggio che i movimenti di solidarietà in Europa devono appoggiare con ogni sforzo.


In questi giorni in molte città italiane – Roma, Milano, Bologna, Napoli, Pisa, Firenze, Lecce, Cagliari, Padova, Vicenza, Bari e tante altre – ci sono state alcune prime, tempestive e spontanee manifestazioni in solidarietà con il popolo palestinese, contro la strage in corso a Gaza e il terrorismo di stato israeliano. Questa mobilitazione deve proseguire nei prossimi giorni. Cortei sono già stati annunciati in diverse città italiane per sabato 3 gennaio. La nostra iniziativa deve dimostrarsi di essere capace di spezzare o mettere in crisi la catena delle complicità con i crimini di guerra israeliani a cominciare dagli anelli della disinformazione, della subalternità politica e della collaborazione militare e commerciale tra Italia e Israele.

29 dicembre

Il Forum Palestina
www.forumpalestina.org

lunedì 29 dicembre 2008

report manifestazione x la palestina


Il comitato palestina Bologna ringrazia tutti i cittadini e le cittadine italiani e migranti, le associazioni, gruppi e sindacati di base che hanno partecipato al sit trasformatosi in una manifestazione che ha coinvolto più di 300 persone, scandendo slogan in favore della resistenza palestinese e contro il massacro di Gaza. Oggi è importante rompere il muro di silenzio che avvolge Gaza, lo stato israeliano si prepara a nuovi bombardamenti e ad una possibile invasione da terra. Il Comitato Palestina Bologna invita tutte le forze democratiche e popolari di Bologna a mobilitarsi in favore della lotta del popolo palestinese. Già nei prossimi giorni il Comitato vuole proporre ulteriri momenti di contro-informazione e di protesta, che coinvolgano ancora di più la cittadinanza e i movimenti.

comitato palestina bologna

sabato 27 dicembre 2008

presidio x la palestina 29 dicembre

CONTRO LA PULIZIA ETNICA E IL TERRORISMO DI STATO ISRAELIANO
FERMIAMO IL MASSACRO DI GAZA!


E’ partito sabato mattina l’attacco dell’esercito di occupazione israeliano sulla inerme popolazione civile palestinese già stremata da un lungo embargo che ha reso insufficienti e privi di strumenti adeguati gli ospedali della Striscia di Gaza. A poche ore dai primi raid aerei israeliani sulla Striscia si contano già 155 morti e 270 feriti gravissimi, un bilancio destinato purtroppo a crescere. Tra le vittime, dicono i mezzi d’informazione ufficiale, tante donne e tanti bambini, i cui corpi stanno arrivando a brandelli negli ospedali; secondo le fonti sanitarie di Gaza occorrerà trasferire i feriti più gravi in Egitto e non c’è un sufficiente numero di elicotteri per trasportarli.

I morti e i feriti di Gaza sono l’ennesima testimonianza della pulizia etnica che lo Stato israeliano da 60 anni sta portando avanti attraverso una guerra di occupazione, di apartheid, di violenza militare sull’intera popolazione palestinese. Il pretesto dell’attacco “difensivo” dai missili qassam, che il primo ministro Olmert si è affrettato a propinare questa mattina ai ministri degli esteri di tutto il mondo, vuole spostare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sul fatto che a Gaza un milione e mezzo di persone sta rischiando la morte da quasi due anni di embargo, che ogni giorno produce vittime.

Complici del terrorismo di Stato israeliano, l’appoggio militare statunitense e il silenzio dei governi europei, che lasciano che in Medio Oriente prosegua a compiersi indisturbato il tentativo di cancellare la Palestina dalle cartine geografiche, e con essa il suo popolo. E’ ormai evidente come alla condanna da parte della comunità internazionale dei crimini del nazifascismo non si accompagni ugualmente la condanna della storia e dell’attualità del progetto aberrante di cancellare il popolo palestinese.


NON C’E’ TEMPO DA PERDERE!!! FERMATE IL MASSACRO DI GAZA!!!

LUNEDI 29 DICEMBRE BOLOGNA
PRESIDIO A PIAZZA NETTUNO
ORE 16,00 per

- L’IMMEDIATO STOP ALL’ATTACCO MILITARE SULLA STRISCIA DI GAZA

-LA FINE DELL’EMBARGO CONTRO LA POPOLAZIONE PALESTINESE DI GAZA

- IL CONGELAMENTO DI TUTTI GLI ACCORDI POLITICI ECONOMICI E MILITARI TRA L’ITALIA E ISRAELE

- LA FINE DELL’OCCUPAZIONE ISRAELIANA DELLA PALESTINA


VITA, TERRA E LIBERTA’ PER IL POPOLO PALESTINESE

COMITATO PALESTINA BOLOGNA
http://comitatopalestinabologna.blogspot.com/
comitatopalestinabologna@gmail.com

giovedì 18 dicembre 2008

Boicottaggio: un'arma che funziona?

Aziende israeliane boicottate, è fuga dalle colonie

di Michele Giorgio *

Territori occupati, successo del fronte pacifistaI coloni israeliani insediati nella Cisgiordania palestinese crescono tre volte di più della popolazione all'interno dello Stato ebraico ma possono rallegrarsi fino ad un certo punto di questo «successo». Non poche imprese locali e straniere infatti stanno lasciando i loro insediamenti per non incappare nella campagna internazionale di boicottaggio delle merci prodotte illegalmente nei Territori occupati palestinesi ed esportate quasi sempre con l'ingannevole etichetta «made in Israel». A sottolineare la crescente efficacia della campagna contro le colonie ebraiche è stato ieri, sulle pagine del quotidiano Ha'aretz, Adam Keller, membro di Gush Shalom e storico attivista del boicottaggio dei prodotti esportati dai settler. Keller ha riferito dei casi più importanti: l'azienda vinicola Barkan ha spostato nel kibbutz Hulda gli impianti aperti anni fa nell'area industriale vicina alla colonia di Ariel (Nablus). Altrettanto farà la Mul-T-Lock, che ha il monopolio del mercato locale delle serrature, mentre la Soda Club ha promesso ai partner svedesi della Empire che non esporterà più con l'etichetta «made in Israel» i prodotti confezionati nella fabbrica di Mishor Addumin (Cisgiordania).La campagna di boicottaggio e l'intensificazione dei controlli europei sui prodotti provenienti dalle colonie cominciano ad influenzare concretamente le decisioni di tante imprese locali ed estere che in passato avevano investito senza freni nei Territori occupati, in violazione delle risoluzioni dell'Onu e degli accordi commerciali tra Ue e Israele che, almeno ufficialmente, sbarrano la strada ai prodotti degli insediamenti. Quattro anni fa, ha ricordato Adam Keller, il responsabile dell'area industriale di Barkan, Eti Alush, proclamò con soddisfazione che «l'economia non ha ideologia» e che schiere di investitori erano pronti ad occupare gli spazi in Cisgiordania messi da disposizione da Israele a condizioni molto favorevoli (incluso il lavoro palestinese a basso costo), proprio per incentivare la produzione negli insediamenti colonici. Alush minimizzò i controlli europei e spiegò l'inganno: le imprese presenti nelle colonie utilizzavano le etichette delle loro filiali aperte in Israele, riuscendo in questo modo ad aggirare facilmente il boicottaggio. Ma il gioco è durato troppo. L'Ue ha cominciato ad attuare controlli più severi mentre alcune industrie europee, come la Heineken, di fronte alle prospettiva di un boicottaggio, hanno imposto ai partner israeliani di lasciare i territori occupati. Tra le iniziative recenti c'è quella del gruppo svedese Assa Abloy - leader mondiale nella fabbricazione di serrature meccaniche ed elettroniche - che, criticata da un rapporto diffuso dalla Chiesa svedese e dalle ong Diakonia e SwedWatch, ha imposto alla Mul-T-Lock israeliana, acquistata nel 2000, di chiudere gli stabilimenti in Cisgiordania. Qualche settimana fa in Gran Bretagna, di fronte alla cancellazione del contratto di distribuzione decisa dalla società Caledonian MacBrayn (messa sotto pressione da associazioni locali di boicottaggio delle colonie israeliane), la Mayanot Eden, azienda dell'acqua minerale con sede nelle Alture del Golan (territorio siriano occupato nel 1967), ha dovuto chiudere i suoi magazzini a Loanhead (Edimburgo).«Dopo anni di duro lavoro, il boicottaggio dei prodotti delle colonie israeliane comincia a dare i suoi frutti, finalmente registriamo qualche successo importante contro l'illegalità», ci dice Omar Barghuti, fondatore della campagna «Palestinian Boycott, Divestment and Sanctions», una delle numerose associazioni che, non solo all'estero, spingono per il boicottaggio delle colonie e, più in generale, dei prodotti israeliani, in risposta all'occupazione militare di Cisgiordania e Gaza. «L'Europa - ha aggiunto Barghuti - di recente ha ulteriormente migliorato le sue relazioni economiche e politiche con Israele ma di fronte ai crimini israeliani contro i civili palestinesi, specie quelli di Gaza, ha deciso di intervenire per mettere fine all'illegalità delle esportazioni provenienti dalle colonie».



*da il Manifesto del 17 dicembre


http://www.forumpalestina.org/news/2008/Ottobre08/Aziendeitaliane/AziendeItaliane.htm


La mega-prigione della Palestina

di Ilan Pappe *
In diversi articoli pubblicati da The Electronic Intifada, ho affermato che Israele sta attuando una politica di genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza, mentre continua la pulizia etnica della Cisgiordania. Ho affermato che la politica di genocidio è il risultato di una mancanza di strategia. L’argomento è il seguente: poiché la classe dirigente politica e militare non sa come gestire la Striscia di Gaza, essa ha scelto una reazione automatica consistente nell’uccisione massiccia di cittadini ogni volta che questi osano protestare per forzare [in qualche modo] il loro strangolamento e il loro imprigionamento. Il risultato è stato finora un’escalation di uccisioni indiscriminate dei palestinesi – più di cento nei primi giorni del Marzo 2008 - giustificando sfortunatamente l’aggettivo “genocida” che io ed altri abbiamo utilizzato per definire questa politica. Ma non era ancora una strategia.
Tuttavia, nelle settimane più recenti, è emersa una strategia più chiara da parte di Israele nei confronti della Striscia di Gaza e del suo futuro, e questa strategia è parte della nuova impostazione complessiva riguardante il destino dei territori occupati in generale. Si tratta, nell’essenziale, di un affinamento dell’unilateralità adottata da Israele sin dal fallimento dei “colloqui di pace” di Camp David nell’estate del 2000. L’ex Primo Ministro d’Israele Ariel Sharon, il suo partito Kadima, e il suo successore Primo Ministro Ehud Olmert, hanno delineato molto chiaramente quello che l’unilateralità comportava: Israele avrebbe annesso circa il 50% della Cisgiordania, non come estensione omogenea ma come lo spazio complessivo degli insediamenti, delle strade separate, delle basi militari, e dei parchi nazionali (che sono aree interdette ai palestinesi). Questo è stato più o meno attuato negli ultimi otto anni. Queste entità puramente ebraiche hanno frammentato la Cisgiordania in 11 piccoli cantoni e sotto-cantoni, separati gli uni dagli altri da questa pervasiva presenza coloniale ebraica. La parte più importante di quest’invasione è il cuneo più grande di Gerusalemme, che divide la Cisgiordania in due regioni separate senza collegamenti di terra per i palestinesi. Il muro viene così allungato e reincarnato in vario modo per tutta la Cisgiordania, accerchiando a volte singoli villaggi, quartieri e città. L’immagine cartografica di questo nuovo assetto dà un’indicazione della nuova strategia nei confronti sia della Cisgiordania che della Striscia di Gaza. Lo stato ebraico del 21° secolo sta per completare la costruzione di due mega-prigioni, le più grandi – nel loro genere – della storia umana.
Esse sono fatte in modo differente: la Cisgiordania è fatta di piccoli ghetti e quella di Gaza è da sola un gigantesco mega-ghetto. C’è un’altra differenza: la Striscia di Gaza è adesso, nell’immaginazione distorta degli israeliani, la prigione dove sono imprigionati i “detenuti più pericolosi”. La Cisgiordania, d’altro canto, è ancora gestita come un gigantesco complesso di prigioni all’aria aperta sotto forma di normali agglomerati umani, come villaggi o città, collegati e supervisionati da un’autorità carceraria dotata di una forza militare enorme e violenta.
Secondo gli israeliani, la mega-prigione della Cisgiordania può essere definita uno stato. Yasser Abed Rabbo, consigliere del Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmud Abbas, ha minacciato – negli ultimi giorni del Febbraio 2008 – gli israeliani [dell’eventualità] di una dichiarazione d’indipendenza unilaterale, ispirata dai recenti avvenimenti del Kosovo. Tuttavia, sembra che nessuno da parte israeliana abbia avuto molto da ridire su quest’idea. Questo è più o meno il messaggio che uno sbalordito Ahmed Qurei, il negoziatore palestinese per conto di Abbas, ha ricevuto da Tzipi Livni, il Ministro degli Esteri israeliano, quando le ha telefonato per rassicurarla che Abed Rabbo non stava parlando a nome dell’Autorità Palestinese. Egli ha avuto l’impressione che la di lei preoccupazione principale era in realtà quella opposta: che l’Autorità Palestinese non sia d’accordo nel chiamare “stato”, nel prossimo futuro, le mega-prigioni.
Questa riluttanza, insieme all’insistenza di Hamas di voler resistere al sistema della mega-prigione con una guerra di liberazione, ha costretto gli israeliani a ripensare la loro strategia verso la Striscia di Gaza. Quello che trapela è che neppure i membri più disponibili dell’Autorità Palestinese sono disposti ad accettare la realtà della mega-prigione offerta come se fosse la “pace” o persino come se si trattasse della “costituzione di due stati”. E Hamas e la Jihad islamica sono arrivati a tradurre questa riluttanza negli attacchi con i razzi Qassam contro Israele. Così il modello della più pericolosa delle prigioni è andato avanti: gli strateghi dell’esercito e del governo si sono imbarcati in una “gestione” a lungo termine del sistema da essi messo in piedi, nel momento stesso in cui dichiaravano di impegnarsi in un “processo di pace” sostanzialmente insignificante, con molto poco interesse da parte della comunità internazionale, e una continua lotta dall’interno [dello Stato d'israele] contro di esso.
In questo quadro la Striscia di Gaza viene ora vista come la prigione più pericolosa, e quella contro cui impiegare i mezzi punitivi più brutali. Uccidere i “detenuti” con bombardamenti aerei o di artiglieria, o per mezzo dello strangolamento economico, sono i risultati non solo inevitabili dell’azione punitiva che è stata scelta, ma anche quelli desiderati. Il bombardamento di Sderot è la conseguenza inevitabile ma anche, per certi versi, desiderabile, di questa strategia. Inevitabile, perché l’azione punitiva non può distruggere la resistenza e molto spesso genera una rappresaglia. La rappresaglia fornisce a sua volta la logica e il presupposto per l’azione punitiva successiva, nel caso qualcuno, nell’opinione pubblica interna [israeliana], dovesse dubitare della giustezza della nuova strategia.
Nel prossimo futuro, ogni resistenza analoga proveniente dalla mega-prigione della Cisgiordania verrà trattata in modo simile. E queste azioni molto probabilmente avranno luogo in un futuro molto vicino. In realtà, la terza intifada sta per iniziare. E la risposta israeliana sarebbe un’ulteriore elaborazione del sistema della mega-prigione. Ridimensionare il numero dei “detenuti” sarebbe ancora una priorità molto alta in questa strategia, per mezzo della pulizia etnica, delle uccisioni sistematiche e dello strangolamento economico.
Ma ci sono ostacoli che impediscono alla macchina distruttiva di mettersi in moto. Sembra che un numero crescente di ebrei in Israele (la maggioranza, secondo un recente sondaggio della CNN) desiderano che il loro governo inizi a negoziare con Hamas. Una mega-prigione va bene, ma se le aree residenziali dei coloni verranno prese probabilmente di mira in futuro, allora il sistema fallirà. Ahimè, dubito che il sondaggio della CNN rappresenti esattamente l’attuale orientamento israeliano; ma esso indica una tendenza incoraggiante che conferma la convinzione di Hamas secondo cui Israele capisce solo il linguaggio della forza. Ma tutto ciò potrebbe non essere sufficiente e la perfezione del sistema della mega-prigione continua nel frattempo senza tregua, e le misure punitive del suo potere si stanno prendendo le vite di un numero sempre maggiore di bambini, donne e uomini nella Striscia di Gaza.
Come sempre è importante ricordare che l’occidente può porre fine, anche domani, a questa disumanità e criminalità senza precedenti. Ma finora questo non è avvenuto. Sebbene gli sforzi per rendere Israele uno “stato paria” [uno stato messo al bando dalla comunità internazionale, come il vecchio Sudafrica dell’apartheid] continuino a tutta forza, essi provengono ancora solo dalla società civile. Speriamo che questa energia venga un giorno tradotta in politiche governative effettive. Possiamo solo pregare che, quando questo avverrà, non sia troppo tardi per le vittime di questa orrenda invenzione sionista: la mega-prigione della Palestina
*Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://electronicintifada.net/v2/article9370.shtml

mercoledì 17 dicembre 2008

Da Folke a Falk: 60 anni di prepotenza e terrore

Il 17 settembre 1948 il conte Folke Bernadotte era assassinato dal Lehi (formazione armata sionista di estrema destra). Lo svedese Folke Bernadotte il 20 maggio 1948 fu nominato dalle Nazioni Unite mediatore speciale per la Palestina con l'incarico di studiare una soluzione negoziata al conflitto. Bernadotte ebbe l' “imprudenza” di proporre, nel suo piano di spartizione, l'abbandono del territorio occupato dagli israeliani oltre i limiti previsti dall'Onu, l'internazionalizzazione di Gerusalemme e il ritorno dei profughi palestinesi alla loro Terra da cui erano stati brutalmente cacciati.
leggi il capitolo sul caso Bernadotte dal libro:
Fondazione Internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli, 1988. NAKBA - L’ESPULSIONE DEI PALESTINESI DALLA LORO TERRA. Edizioni Ripostes. (Volume disponibile presso la Biblioteca Amilcar Cabral – Bologna).

Nell'arco di 60 anni Israele ha ignorato con arroganza le numerose Risoluzioni ONU e quanto dichiarato dal Tribunale della Corte di Giustizia dell'Aja contro il Muro dell'Apartheid. Ora accusa D'Escoto di abusare della sua posizione per avere criticato Israele (http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3639160,00.html) ed impedisce l'entrata all'inviato dell'ONU Richard Falk, peraltro ebreo:
dall'Unità del 15/12/2008
Territori palestinesi, Israele respinge un inviato Onu
Le autorità israeliane hanno negato l'ingresso all'inviato dell'Onu Richard Falk al suo arrivo in Israele, obbligandolo a salire su un aereo che lo ha portato fuori dal paese. Falk, un ebreo americano professore emerito dell'università di Princeton, è stato scelto in marzo come inviato speciale nei Territori palestinesi dal Consiglio dell'Onu per i diritti Umani, con un mandato di sei anni.
L'anno scorso, il professore aveva dichiarato che gli israeliani si comportavano con i palestinesi come i nazisti contro gli ebrei.
Quando Falk ha poi rifiutato di ritirare il paragone, il ministero degli Esteri israeliano ha avvertito che non gli sarebbe stato consentito l'ingresso nel Paese, lamentando inoltre che il suo mandato riguardava solo le violazioni dei diritti umani degli israeliani verso i palestinesi e non anche vice versa.
In passato Falk era potuto entrare in Israele come privato cittadino. Ma la situazione è ora diversa e il ministero degli Esteri ha oggi sottolineato che il professore «non è stato invitato da Israele, nè ha coordinato la visita con Israele come previsto dai regolamenti dell'Onu». Inoltre, dal punto di vista israeliano non è considerato un inviato «obiettivo» dato il paragone con i nazisti.
Falk aveva in programma una serie d'incontri a Ramallah. Il suo predecessore, il sudafricano John Dugard , aveva paragonato la situazione dei palestinesi a quella dell'apartheid.
http://www.unita.it/index.php?section=news&idNotizia=74257

http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20081216/pagina/09/pezzo/237374/

sabato 13 dicembre 2008

Il ministro Livni: gli arabi via dallo Stato d'Israele

di Michele Giorgio

GERUSALEMME
Tutti puntano l'indice contro Benyamin Netanyahu, reo di essere a capo di un Likud zeppo di estremisti di destra come Moshe Feiglin. E invece ieri Tzipi Livni, candidata premier alle elezioni del 10 febbraio per il partito «centrista» Kadima, nonché ministro degli esteri, ha rivelato di essere molto vicina alle posizioni degli ultranazionalisti. Senza lasciare spazio ad interpretazioni, la Livni ha detto ad un gruppo di liceali di Tel Aviv che gli arabi israeliani (i palestinesi con cittadinanza israeliana, 1/5 della popolazione d'Israele), quando sarà fondato, dovrebbero andare a vivere nello Stato palestinese. «Quando lo Stato palestinese verrà creato - ha dichiarato la Livni -, sarò in grado di andare dai cittadini palestinesi, che noi chiamiamo arabi israeliani, e dir loro: siete residenti con uguali diritti ma la vostra soluzione nazionale è in un altro luogo». La Livni non ha spiegato in quale modo spedirebbe nel futuro Stato di Palestina gli arabi israeliani che continueranno a reclamare la costituzione di uno Stato di Israele di tutti i suoi cittadini e non solo della maggioranza ebraica.
In ogni caso è minima la differenza tra le sue idee e quelle dell'estremista di destra ed ex ministro Avigdor Lieberman, storico sostenitore dell'espulsione degli arabi israeliani. Di sicuro Tzipi Livni - che in questi giorni sta conducendo anche una battaglia contro il rinnovo della tregua con Hamas - si sta posizionando a destra di Netanyahu, dato favorito dai sondaggi elettorali. Quest'ultimo, paradossalmente, per dimostrare di essere un «moderato» e non un estremista, promette di negoziare con palestinesi e siriani e assicura che metterà a tacere lo scomodo Feiglin.
«Le intenzioni della Livni - dichiara al manifesto l'ex deputato comunista Issam Makhul - colpiscono pesantemente i diritti della minoranza palestinese, tuttavia la maggioranza ebraica deve sapere che quelle idee sono un pericolo per tutto lo Stato di Israele e per il compimento della democrazia in questo paese. Occorre costruire un futuro per tutti i cittadini di Israele e non pensare al futuro Stato di Palestina come la soluzione per assurde preoccupazioni demografiche». Le considerazioni di Makhul chiamano in causa anche il presidente palestinese Abu Mazen, capace in questi giorni solo di ripetere di essere pronto «a negoziare con tutti», con la Livni e con Netanyahu. Abu Mazen deve porsi interrogativi fondamentali rispetto allo Stato palestinese che ha in mente, deve domandarsi se questo Stato è destinato realmente a realizzare il sogno dell'indipendenza o finirà per essere solo un box, un contenitore di palestinesi, inclusi quelli che vivono nei centri abitati arabi in Israele, peraltro senza avere sovranità reale.
Gli Stati Uniti non commentano, si limitano a riaffermare l'alleanza militare con Israele. Il presidente eletto Barack Obama è pronto ad offrire a Tel Aviv un «ombrello nucleare» contro un'eventuale minaccia di attacchi atomici iraniani, ha riferito una autorevole fonte americana citata dal giornale israeliano Haaretz. Gli Usa, ha spiegato la fonte, presto dichiareranno che un attacco contro Israele da parte di Teheran comporterà «una devastante risposta nucleare contro l'Iran», così come aveva proposto il futuro Segretario di stato Hillary Clinton durante la sua campagna per la nomination democratica. La rivelazione soddisfa Israele ma solo in parte, perché l'idea dell'«ombrello nucleare» forse nasconde un'«accettazione» americana di un Iran in possesso dell'arma atomica.

Il Manifesto 12 dicembre 2008
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/12-Dicembre-2008/art45.html

lunedì 8 dicembre 2008

IL PRESIDENTE DELL'ASSEMBLEA GENERALE DELL'ONU INVITA AL BOICOTTAGGIO DEL REGIME ISRAELIANO DELL’APARTHEID… MA IN ITALIA NON SI DEVE SAPERE.

Sono stupefatto che si continui ad insistere sulla pazienza mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle palestinesi sono crocifissi. La pazienza è una virtù nella quale io credo. Ma non c’è alcuna virtù nell’essere pazienti con la sofferenza degli altri”.

L’Assemblea generale dell’ONU ha esaminato il 24 e 25 novembre 2008 il rapporto del Segretario generale sulla situazione in Palestina.


Il Presidente dell’Assemblea, Miguel d’Escoto Brockmann (Nicaragua), ha fatto di questo dibattito una questione di principio. Aprendo la seduta, ha dichiarato: « Io invito la comunità internazionale ad alzare la sua voce contro la punizione collettiva della popolazione di Gaza, una politica che non possiamo tollerare. Noi esigiamo la fine delle violazioni di massa dei Diritti dell’uomo e facciamo appello ad Israele, la Potenza occupante, affinché lasci entrare immediatamente gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Questa mattina ho parlato dell’apartheid e di come il comportamento della polizia israeliana nei Territori palestinesi occupati sembri così simile a quello dell’apartheid, ad un’epoca passata, un continente più lontano. Io credo che sia importante che noi, all’ONU, impieghiamo questo termine. Non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il loro nome. Dopotutto, sono le Nazioni Unite che hanno elaborato la Convenzione internazionale contro il crimine dell’apartheid, esplicitando al mondo intero che tali pratiche di discriminazione istituzionale devono essere bandite ogni volta che siano praticate. Abbiamo ascoltato oggi un rappresentante della società civile sudafricana. Sappiamo che in tutto il mondo organizzazioni della società civile lavorano per difendere i diritti dei Palestinesi e tentano di proteggere la popolazione palestinese che noi, Nazioni Unite, non siamo riusciti a proteggere. Più di 20 anni fa noi, le Nazioni Unite, abbiamo raccolto il testimone della società civile quando abbiamo convenuto che le sanzioni erano necessarie per esercitare una pressione non violenta sul Sud Africa. Oggi, forse, noi, le Nazioni Unite, dobbiamo considerare di seguire l’esempio di una nuova generazione della società civile chef a appello per una analoga campagna di boicottaggio, di disinvestimento e di sanzioni per fare pressione su Israele. Ho assistito a numerose riunioni sui Diritti del popolo palestinese. Sono stupefatto che si continui ad insistere sulla pazienza mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle palestinesi sono crocifissi. La pazienza è una virtù nella quale io credo. Ma non c’è alcuna virtù nell’essere pazienti con la sofferenza degli altri. Noi dobbiamo agire con tutto il nostro cuore per mettere fine alle sofferenze del popolo palestinese (…) Tengo ugualmente a ricordare ai miei fratelli e sorelle israeliani che, anche se hanno lo scudo protettore degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza, nessun atto di intimidazione cambierà la Risoluzione 181, adottata 61 anni fa, che invita alla creazione di due Stati. Vergognosamente, oggi non c’è uno Stato palestinese che noi possiamo celebrare e questa prospettiva appare più lontana che mai. Qualunque siano le spiegazioni, questo fatto centrale porta derisione all’ONU e nuoce gravemente alla sua immagine ed al suo prestigio. Come possiamo continuare così?».


L’ambasciatore Miguel d’Escoto Brockmann è un sacerdote cattolico, teologo della liberazione e membro del Comitato politico del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN). Personalità morale riconosciuta, è stato eletto per acclamazione, il 4 giugno 2008, Presidente dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.


L’Anti-Defamation League (ADL) è stata la prima organizzazione sionista a reagire, chiedendo al Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki Moon, di mettere fine a questo « circo » così come alla « cosiddetta giornata di solidarietà con il popolo palestinese ». Infine, ha denunciato il carattere a suo dire « antisemita » delle proposte del Presidente Miguel d’Escoto Brockmann che essa ritiene ispirate da un secolare antigiudaismo cattolico.
*****
Ad oltre dieci giorni dall'intervento di D'Escoto all'ONU, nessun organo di informazione “importante” ha ritenuto di doverne dare conto, forse per non turbare il sonno perenne del nostro Presidente della Repubblica, quello che dorme quando viene sancita la fine dell’eguaglianza dei cittadini italiani di fronte alla legge e – coerentemente – nel suo viaggio in Israele ha continuato a sonnecchiare di fronte alle sofferenze dei Palestinesi sotto il tallone di ferro dell’occupazione israeliana.


STRONG WORDS AT UN: http://electronicintifada.net/v2/article10006.shtml

...INTANTO IN ITALIA

Vergognosa mozione bipartizan per sabotare la conferenza dell'ONU sul razzismo definita "circo Barnum"

La Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità una mozione che impegna il governo “a verificare”, “a intervenire”, “ad agire”, “ad esercitare la massima vigilanza”, in vista di Durban II, l’appuntamento per la revisione della Conferenza mondiale contro il razzismo del 2001 (Durban I). Mozione bipartisan che ha tra i suoi firmatari Fiamma Nirenstein, Italo Bocchino, Margherita Boniver e Paolo Guzzanti per il Pdl e Matteo Mecacci, Furio Colombo e Alessandro Maran per il Pd. Presentando il risultato alla stampa con Boniver e Mecacci, Fiamma Nirenstein ha sottolineato come “siamo il primo Parlamento europeo ad agire per impegnare il governo perché non si ripeta l’orrore di Durban I”. La conferenza mondiale Onu contro il razzismo (2001) si concluse con l’approvazione per acclamazione di un documento controverso che accusava Israele, definito “uno Stato razzista e colpevole di crimini di guerra, atti di genocidio e di pulizia etnica”, di attuare una sorta di “apartheid” nei confronti dei palestinesi. Israele e gli Stati Uniti, rappresentati dall’allora segretario di Stato Colin Powell, decisero di abbandonare la conferenza. Per Boniver la mozione “fa onore al nostro Paese”. Anche l’ex sottosegretario agli Esteri ha ricordato “il clima selvaggio che ha costituito questo circo Barnum tipico delle conferenze dell’Onu, la stessa organizzazione che equiparò nel passato il sionismo al razzismo”. La mozione a onor del vero non contempla l’opzione del boicottaggio della conferenza dell'ONU, una scelta decisa poche settimane fa da Israele, Stati Uniti e Canada. Il documento approvato da tutti i deputati invita infatti Palazzo Chigi a “verificare assieme ai partner europei gli esiti e gli orientamenti” dei lavori preparatori e a “intervenire in sede europea affinché venga scongiurato il rischio che la Conferenza si svolga su una piattaforma” ispirata a intolleranza e discriminazione. Di uscita dal processo di preparazione o di boicottaggio tout court non si parla. (fonte: Il Velino.it)
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