“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

venerdì 24 aprile 2009

....con i Popoli che Resistono! sempre

LO AVRAI
CAMERATA KESSERLING IL MONUMENTO
CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI
MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRÀ
A DECIDERLO TOCCA A NOI

NON COI SASSI AFFUMICATI
DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO

NON COLLA TERRA DEI CIMITERI
DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI
RIPOSANO IN SERENITÀ

NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE
CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO

NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI
CHE TI VIDE FUGGIRE

MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI
PIÚ DURO D'OGNI MACIGNO
SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO
GIURATO FRA UOMINI LIBERI
CHE VOLONTARI S'ADUNARONO
PER DIGNITÀ NON PER ODIO
DECISI A RISCATTARE
LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO

SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE
AI NOSTRI POSTI CI TROVERAI
MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO
POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO
CHE SI CHIAMA ORA E SEMPRE RESISTENZA

Piero Calamandrei
Mercartino in strada dalle 11,00 alle 20,00

e poi... i bambini del coro R'ESISTENTE, pranzo della sporta, poesie, tornei, concerti....

mercoledì 22 aprile 2009

Vertice Mediterraneo e ONU: “No a nuove colonie israeliane in Palestina”

di Marco Santopadre*

Nel giorno in cui il mondo si concentrava sulle polemiche intorno alla Conferenza dell’ONU di Ginevra contro il razzismo, boicottata da Israele e dai suoi alleati, due diverse denunce del colonialismo israeliano hanno riportato l’attenzione sulle condizioni del popolo palestinese.

Porre fine alla costruzione di insediamenti coloniali israeliani in Cisgiordania per far ripartire il processo di pace in Medio Oriente: è questo uno dei punti più significativi della Dichiarazione di Cordova, la città spagnola dove si è conclusa ieri la VII riunione dei ministri degli Esteri del Mediterraneo occidentale. “I ministri – si legge nel documento – ribadiscono l’esigenza di un congelamento completo e immediato delle attività di colonizzazione contrarie al diritto internazionale… in tutti i territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme Est”. Un assunto fatto proprio dal ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos che ha presieduto l’incontro insieme al collega marocchino Tayyeb Fassi-Fihri: “I nostri paesi - ha detto Moratinos – lanciano un appello urgente per garantire e rendere possibile la soluzione di due stati, Israele e Palestina, che vivano in pace e sicurezza”. Una prospettiva, quella dei due stati, rigettata apertamente dal nuovo governo di Tel Aviv ormai su posizioni esplicitamente oltranziste. Co-presieduto da Marocco e Spagna, il vertice si è inoltre concentrato sulle prospettive delle relazioni tra le due sponde del Mediterraneo e sulla possibilità di rendere più concreto il progetto di una Unione del Mediterraneo lanciato lo scorso luglio a Parigi in antagonismo con il progetto del ‘Grande Medio Oriente’ caro a Washington e basato invece sul ruolo centrale di Tel Aviv e dei governi di Egitto e Giordania. A Cordova erano rappresentati Marocco, Mauritania, Algeria, Tunisia e Libia per l’Africa, Spagna, Portogallo, Francia, Italia e Malta per l’Europa.

La necessità di giungere in tempi brevi a una pace tra palestinesi e israeliani - e in tutto il Medio oriente - è stata ribadita anche in una relazione di Lynn Pascoe, Segretario generale aggiunto per gli affari politici, al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Facendo riferimento all’ultima vasta operazione militare israeliana, che tra Dicembre e Gennaio scorsi ha causato la morte di oltre 1400 abitanti della Striscia di Gaza, in gran parte civili, Pascoe ha passato in rassegna i numerosi aspetti di una situazione che invece di procedere nella direzione di una pace definitiva e giusta sembra complicare ulteriormente un quadro già molto complesso. Pascoe ha in particolare sottolineato che la costruzione israeliana di unità abitative, strade e altre infrastrutture in Cisgiordania sta creando ulteriori ostacoli alla possibilità di avere in futuro uno stato palestinese territorialmente contiguo. Il diplomatico ha puntato il dito anche contro il proseguimento del blocco dei confini attuato da Tel Aviv ai danni della Striscia di Gaza – dal 2007 controllata da Hamas – e contro le incursioni aeree israeliane tuttora in corso.

*Radio Città Aperta

martedì 21 aprile 2009

S.O.S. GAZA CONTINUA: UNA T.A.C. PER L’OSPEDALE AL AWDA

L’embargo internazionale e le ripetute aggressioni israeliane contro la Striscia di Gaza hanno portato al collasso le già provate infrastrutture di uno dei territori più densamente popolati del pianeta. Le strutture sanitarie ed ospedaliere non sono state risparmiate né dall’embargo, né dai bombardamenti. Nel corso dell’operazione “Piombo fuso”, i criminali di guerra sionisti hanno ripetutamente colpito ospedali ed ambulanze, ed ora il perdurare dell’embargo non fa che aggravare una situazione già drammatica.

All’inizio di marzo, una delegazione del Forum Palestina è riuscita a rompere l’embargo ed a consegnare alla Direzione dell’ospedale Al-Awda di Gaza i 21.300 euro raccolti da una sottoscrizione popolare nelle settimane precedenti, mentre un’èquipe di medici, psicologi ed infermieri prendeva servizio presso lo stesso ospedale, dove ha lavorato insieme ai colleghi palestinesi per settimane. Si è trattato di un’iniziativa importantissima, di cui tutti gli amici della resistenza palestinese sono legittimamente orgogliosi, ma che non può e non deve restare un episodio.

Insieme alla Direzione dell’ospedale Al Awda, abbiamo deciso di rilanciare la campagna di sottoscrizione S.O.S. GAZA, finalizzandola ad un obiettivo ambizioso: dotare l’ospedale di una macchina per la Tomografia Assiale Computerizzata (T.A.C.), uno strumento indispensabile per la diagnostica, di cui il milione e mezzo di Palestinesi della Striscia sono sprovvisti, perché la sola macchina esistente è fuori uso ormai da tempo.

In questa campagna, non saremo soli: insieme a noi, coordinati direttamente dall’ospedale Al Awda, collaboreranno associazioni e comitati di solidarietà europei, statunitensi ed arabi, in quella che possiamo definire senza retorica una grande iniziativa di solidarietà internazionalista.

Un volontario a Gaza ci segnala il seguente Blog riguardante Al Awda
http://usg2009.blogspot.com/

mercoledì 15 aprile 2009

Israele e la demolizione delle case palestinesi


di Azzurra Meringolo
Ripresa la demolizione di case per vari motivi da parte delle autorità israeliane. Sono 19mila le abitazioni palestinesi demolite a Gerusalemme Est e nei Territori occupati dal 1967. L'accordo segreto nella nuova coalizione di governo per aumentare le colonie ebraiche.
(31/03/09)

"Non mi sposterò da questa tenda finché la legge non mi darà ragione. Questa terra, santa per cristiani, ebrei e mussulmani, quella che io chiamo Palestina, è così bella che la vogliono tutti, ma non per questo possono portarmi via di forza da casa mia.”

Fawzieh continuava a scandire con voce calma e determinata queste parole alle persone che si avvicinavano alla sua nuova casa, una tenda piantata nel mezzo di un parcheggio, per dimostrarle il loro appoggio. E’accaduto a Shiek Jarrah, Gerusalemme Est, e la casa dove Fawzieh al Khurd viveva dal 1956 è una delle 28 abitazioni che il governo giordano e le Nazioni Unite avevano costruito per ospitare le famiglie palestinesi che nel 1948, anno della naqba, erano state costrette a scappare dalle loro case. Con il passare del tempo però il governo israeliano si è rifiutato di riconoscere questa decisione ed ha iniziato a rivendicare un diritto di proprietà su queste terre sulle quali si vuole costruire l’ennesima colonia all’interno dei territori palestinesi.

Quando la polizia israeliana ha sfondato la porta della casa di Fawzieh erano le 3 e mezza di mattina del 10 novembre scorso; Fawzieh è stata legata, suo marito, paralizzato e gravemente malato, è stato abbandonato davanti alla porta dei vicini. I soldati hanno preso i mobili e hanno chiuso la casa, lasciando la donna e i suoi cinque figli in mezzo ad una strada.

Fawzieh, il cui marito è morto pochi giorni dopo, si è trasferita nella sua nuova dimora, una tenda costruita con l’ aiuto delle altre 27 famiglie del quartiere che, sapendo che da un momento all’altro avrebbero subito lo stesso trattamento, hanno cercato di richiamare l’attenzione internazionale. E’ anche per questo che nella settimana successiva all’accaduto, le forze israeliane hanno smantellato due volte la tenda che era diventata un simbolo visibile della protesta e della resistenza dei palestinesi di Gerusalemme Est.

L’eco della violenza israeliana è arrivato fino a Bruxelles dove, a fine novembre, il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione nella quale ha accusato Israele di agire contro il diritto internazionale. Non solo il governo di Israele non potrebbe espandere la sua giurisdizione su Gerusalemme Est, ma le sue continue incursioni all’interno dei territori di competenza palestinese sono state descritte come un chiaro esempio della crescita dell’attività illegale che i coloni ebrei portano avanti all’interno del territorio palestinese.

http://temi.repubblica.it/limes/israele-e-la-demolizione-delle-case-palestinesi/3345
http://temi.repubblica.it/limes/israele-e-la-demolizione-delle-case-palestinesi/3345?h=1
http://temi.repubblica.it/limes/israele-e-la-demolizione-delle-case-palestinesi/3345?h=2
http://temi.repubblica.it/limes/israele-e-la-demolizione-delle-case-palestinesi/3345?h=3

La marina israeliana bombarda una barca palestinese. Tel Aviv vuole avere il controllo totale del mare davanti a Gaza....perchè c'è il gas

Fonti ufficiali palestinesi hanno definito “una montatura finalizzata all’escalation israeliana contro i pescatori palestinesi” il caso del battello intercettato lunedì da una motovedetta della Marina di Israele ed esploso poco dopo. Non risulta che a bordo del natante, subito colato a picco, vi fosse alcun passeggero. Il capo di Stato maggiore della Difesa israeliana Gaby Ashkenazi ha affermato che il peschereccio era “carico di trappole esplosive e presumiamo puntasse ad attaccare qualche natante israeliano. Una circostanza che non si è verificata grazie al rispetto delle regole da parte dei nostri uomini”. La tesi degli israeliani è che qualcuno da terra abbia telecomandato l'esplosione del battello senza riuscire, tuttavia, a centrare l'obiettivo desiderato Secondo invece fonti del ministero dell’Agricoltura dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) riprese dall’agenzia Ma’an il battello è esploso solo dopo essere stato bombardato dagli israeliani che cercano scuse “per atti di pirateria e distruzione”. Lo stesso dicastero ha sottolineato di aver raccolto le parole di “testimoni oculari” secondo i quali il natante non trasportava alcun tipo di esplosivo. Il ministero dell’Agricoltura ha anche denunciato “sequestri di decine di pescatori da parte di Israele che cerca di farne dei collaboratori”. Sempre Ma’an informa infine che martedì navi israeliane hanno bombardato il braccio di mare al largo della costa settentrionale di Gaza, nei pressi di As-Sudaniya senza però causare feriti. In realtà la posta in gioco sembra essere quella del totale controllo del mare davanti alla Striscia di Gaza perchè alcune rilevazioni hanno individuato giacimenti di gas. La scorsa settimana il ministro israeliano delle infrastutture aveva annunciato l'interesse ufficiale di Israele per quei giacimenti.

La guerra e il gas naturale: l’invasione di Gaza e i giacimenti di gas in mare
http://www.osservatorioiraq.it/modules.php?name=News&file=article&sid=6999

lunedì 13 aprile 2009

“SPARARE E PIANGERE”, CONFESSIONI DI SOLDATI ISRAELIANI VISTE DA UN REFUSENIK

di Luca Mazzucato

NEW YORK. Le storie agghiaccianti dei giovani soldati di ritorno da Gaza aprono uno spiraglio su una guerra essenzialmente “off limits” per i media occidentali, a cui l'esercito israeliano ha vietato l'ingresso a Gaza. In una recente inchiesta di ha'aretz, i soldati raccontano di rastrellamenti e stragi di civili inermi, vecchi, donne e bambini uccisi a sangue freddo. Amira Hass, corrispondente da Gaza, scrive del ritrovamento di un documento dal titolo incredibile: “Regole d'ingaggio: sparate anche sui soccorsi.” L'uccisione di decine di paramedici palestinesi durante la guerra non sarebbe dunque un incidente. Abbiamo chiesto una spiegazione ad un refusenik israeliano: Itai, un dottorando di fisica all'Università di New York. Itai era un soldato dell'IDF da quattro anni, quando nel 2002 decise di non prendere più parte alle attività dell'esercito di Occupazione, e si rifiutò di servire nei Territori. La sua reazione alle confessioni dei soldati non è di sorpresa: è sempre lo stesso spunto per entrare nella dinamica nazionale dello “sparare piangendo.”

Per il suo rifiuto a servire, Itai finì in prigione per la prima volta durante l'operazione Defensive Shield nel 2002. Fu scarcerato e poi, per il protrarsi della sua obiezione, finì in prigione ancora nel 2003. Itai non si dichiara un pacifista. Si rifiuta di prendere parte alla difesa di Israele perché è uno stato razzista: il sionismo è in sé un movimento razzista. Ci spiega che le confessioni dei soldati riguardo a quelli che si configurano come crimini di guerra sarebbe parte dello stesso copione cominciato quarant'anni fa.

“Soldati che sparano e piangono. Sparano ma soffrono interiormente perché uccidere è difficile. Soldati che quindi soffrono, si umanizzano, arrivano a trasformarsi nelle vittime, per il peso del conflitto interiore. Il termine “sparare piangendo” è stato coniato da Amos Oz nel suo libro “La parola dei soldati,” uscito subito dopo la guerra del '67. Su ispirazione del Labor Party, Oz creò il mito del soldato israeliano fiero, ma allo stesso tempo in cerca della sua anima, in crisi esistenziale per le terribili azioni a cui la difesa del suo paese in guerra lo costringe. Nel libro, discussioni di riservisti dei kibbutzim, sulla stesso tono di quelli che si sentono oggi. I “good old boys” allora erano per la maggior parte nelle unità di combattimento, che ora invece sono piene di coloni. Spero che il libro di Oz non sia tradotto in Italia, è propaganda nazionalista. L'immagine che ne scaturisce è di un'elité militare che vuole essere ricordata possente ma riflessiva anche nel momento della vittoria.

“Qual è il meccanismo innescato dallo “sparare piangendo”?
“Oz e questo tipo di intellettuali sono strumentali nello sforzo di rappresentare Israele come una entità occidentale. Ma ovviamente non lo è: una democrazia occidentale, ma per soli ebrei, uno stato sociale, ma per soli ebrei. È dunque un'entità coloniale. Dato che la disponibilità di informazioni, quella sì in Israele è pari ai paesi occidentali, è ancora più grave girare la testa altrove. Oz offre l'autocompiacimento: soffriamo commettendo atrocità e discutiamo di questo problema, dunque siamo occidentali: L' “israelità” sarebbe in realtà europea. Migliora le relazioni internazionali: potete dialogare con noi israeliani, perché siamo come voi.”

In che contesto sono state raccolte queste recenti discussioni dei soldati?
“I soldati di oggi sono la diretta continuazione della “brava gente” dei kibbutzim. È avvenuto in una scuola dove ti preparano per servire nell'esercito, prima di arruolarti. I coloni sono famosi per queste scuole, ma ce ne sono di secolari, non religiose. Questi ragazzi provengono da famiglie ricche e sono l'elité dell'esercito, per esempio piloti dell'aviazione. Si tratta di una rimpatriata, i soldati già usciti dalla scuola, che sono stati a Gaza, tornano per parlare della loro esperienza con i giovani che si stanno per arruolare. Chi racconta di aver ucciso una donna a sangue freddo non è pieno di rimpianto ma dice, questo è quello che è successo lì e che toccherà anche a voi. C'erano giornalisti nella stanza, quindi un'inchiesta ha riportato le testimonianze. E ora la sinistra si mostra scandalizzata mentre il capo di stato maggiore dichiara di non credere alle testimonianze e che l'IDF resta sempre l'esercito più etico del mondo. Lo stesso copione.”

Può portare a qualcosa questa inchiesta di ha'aretz, potrà cambiare qualcosa in Israele?
“Fa sempre bene parlarne, i giornalisti che scrivono su ha'aretz lo fanno perché sono giustamente indignati, una delle poche voci fuori dal coro. Ma se la storia viene poi usata, come sta succedendo, per ribadire la moralità dell'esercito israeliano e che si tratta di piccoli anche se gravi errori, allora è “business as usual.” L'unica speranza è che il mondo si stanchi di vedere gli israeliani giocare la carta del “siamo anche noi europei” ancora e poi ancora. Che Israele diventi il prossimo Sudafrica: boicottaggio dall'estero, opposizione attiva all'interno, che chieda alla popolazione israeliana di scegliere da che parte stare. Gli israeliani ora hanno la botte piena e la moglie ubriaca: sono un movimento coloniale, ma inscenano una democrazia occidentale. Una cosa che mi ha colpito è stata l'ultima manifestazione a cui sono stato a San Francisco, contro la guerra a Gaza: sulla metropolitana era pieno di gente normale che andava alla manifestazione, oltre agli studenti, anche nonne con bambini e impiegati. In America sempre più persone si rendono conto di cos'è veramente lo stato d'Israele.”

Il documento sulle regole di ingaggio, scoperto da Amira Hass in una delle postazioni dell'esercito israeliano a Gaza, riporta che i soldati potevano sparare sui soccorsi, quando lo ritenevano una tattica necessaria. Chi è responsabile di questi ordini?
“Un tempo le regole di ingaggio era una pratica ben definita, ma fin dalla prima intifada divennero un'iniziativa del comandante locale dell'unità di combattimento, un luogotenente: non si può quindi accusare nessun generale più in alto nella catena di comando di aver dato questi ordini. Questo apre una finestra sul funzionamento dell'esercito, sul campo tutto è permesso, per evitare che muoiano soldati israeliani. Ed ecco gli scudi umani, i cecchini nelle aree densamente abitate. Un altro fenomeno sono le magliette che i soldati si fanno stampare al ritorno da Gaza. Al centro del mirino una donna incinta e la scritta: uno sparo, due morti. Oppure un bambino nel mirino e la scritta: non scappare, morirai stanco. Queste magliette sono non la causa del problema, ma il sintomo che il livello di brutalità nell'esercito è umanamente inaccettabile.”

Portavi anche tu queste magliette quando eri nell'esercito?
“L'unica maglietta che conservo da quegli anni è quella che mi hanno dato in prigione. Quelle magliette di cattivo gusto le portano in molti. I soldati israeliani ne hanno bisogno perché portare camicie brune o camicie nere rischierebbe di metterli a disagio.”

http://www.altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=98543&mode=thread&order=0&thold=0

Dichiarazione di Obiezione

Omri Evron,

Tel Aviv 12 ottobre 2006

Io, Omri Evron, rifiuto di servire nell’esercito perché sono fedele ai miei principi morali. Mi rifiuto di arruolarmi per protesta contro la lunga occupazione militare del popolo palestinese, un’occupazione che acuisce e semina terrore e odio tra i popoli. Mi oppongo a partecipare alla crudele guerra nei territori occupati, una guerra finanziata per proteggere le colonie israeliane e mantenere l’ideologia del “Grande Israele”. Mi rifiuto di servire un’ideologia che non riconosce i diritti di tutte le nazioni all’indipendenza e alla coesistenza pacifica. Non sono in alcun modo pronto a contribuire all’oppressione sistematica di una popolazione civile e alla deprivazione dei loro diritti – come è portata avanti dal regime di apartheid e dai militari israeliani nei territori occupati. Sono offeso dalla morte per fame e dall’incarcerazione di milioni di persone dietro a muri e posti di blocco. Mi rifiuto di arruolarmi perché non credo che la violenza sia una soluzione e che la guerra porti la pace.

Mi rifiuto di servire l’industria delle armi, le mega corporations, gli avidi appaltatori, i predicatori del razzismo ed i leader cinici il cui business è la continuazione della sofferenza e che derubano i popoli dei loro basilari diritti umani. Mi rifiuto per cercare di attirare l’attenzione sul fatto che non tutti sono pronti ad essere indottrinati e cooptati da cause nazionaliste e razziste. Con questo atto voglio esprimere la mia solidarietà a tutti i prigionieri per la libertà in questo mondo. Mi rifiuto di credere alle bugie che scavano divisione ed antagonismo tra i lavoratori dalle due parti del confine, in modo che essi non possano unire le loro mani nella lotta per i loro diritti. Vorrei che la mia obiezione fosse un messaggio di pace e solidarietà, che fosse un richiamo per tutti quelli che uccidono - e vengono addestrati ad uccidere nell’interesse di qualcun altro - a deporre le armi e unirsi alla lotta per un mondo più giusto.

So che questo mio atto è un’infrazione della legge israeliana, ma sono costretto ad oppormi dai miei valori democratici, umanitari ed egualitari. La legge militare su milioni di Palestinesi non è democratica. E’ mio compito oppormi a qualunque legge che renda possibile privare altri dei loro diritti e della loro libertà, o di trattarli con una violenza che nega la loro fondamentale umanità.

Rifiuto la guerra nazionalista “per la pace delle colonie”.

Rifiuto l’oppressione sistematica e l’umiliazione dei civili.

Rifiuto l’occupazione e la legge militare che impedisce ad una popolazione civile di determinare la propria sorte.

Rifiuto l’apartheid ed il regime razzista.

Rifiuto di considerare un popolo mio nemico per ragioni di razza, origine etnica o religione.

Rifiuto di prendere parte al ciclo sanguinoso che distrugge entrambi i popoli.

Rifiuto per richiedere solidarietà internazionale per la pace ed il benessere di tutte le nazioni che vogliono vivere in libertà e libere dallo sfruttamento, l’oppressione e la guerra.

Rifiuto di uccidere! Rifiuto di opprimere! Rifiuto di occupare!

Dichiaro la mia fedeltà alla pace e rifiuto di servire la guerra e l’occupazione

sabato 11 aprile 2009

da Gaza all'Abruzzo senza ritorno

terremoto.jpg

ANSA

Kader è ancora sotto le macerie: era scappato da Gaza lasciandosi alle spalle la distruzione della guerra per cercare nello studio un futuro migliore: uno qualunque, sempre meglio delle bombe e della paura. Alle 3,32, quando la terra ha tremato per 20 lunghissimi secondi, lui era lì, nella Casa dello Studente dell'Aquila, sbriciolata come cartapesta.

Quanti altri ce ne sono, lì sotto con Kader, nessuno lo sa di preciso: al completo, l'edificio può ospitare 140 ragazzi, ma alcuni dicono che la scorsa notte ce ne fossero un'ottantina. Per le vacanze di Pasqua in molti erano partiti già venerdì e si sono salvati. Anche altri hanno avuto fortuna, come i sei ragazzi che dopo 15 ore sono stati estratti, feriti ma vivi. Le voci si sono rincorse per tutto il giorno: prima li hanno dati nella Casa dello Studente, poi in una palazzina a 100 metri di distanza, abitata sempre da studenti e crollata per intero. Ovunque fossero, è un mezzo miracolo in una giornata buia e triste. Li hanno tirati fuori scavando a mani nude o con i picconi: pezzo dopo pezzo, blocco di cemento dopo blocco di cemento.

7 aprile 2009

http://www.associazionezaatar.org/index.php?option=com_content&task=view&id=577&Itemid=1

venerdì 10 aprile 2009

Le aziende di Tel Aviv colpite e la Fiom si schiera

di Michelangelo Cocco *

Il 4 febbraio scorso i lavoratori del porto di Durban iscritti al Cosatu - la principale confederazione sindacale nazionale - si sono rifiutati di scaricare le merci trasportate nello scalo sudafricano da una nave israeliana. Pochi giorni dopo l'Hampshire college del Massachusetts lanciava la sua campagna di boicottaggio contro 200 aziende (tra cui Caterpillar, Motorola, General electric, Terex) accusate di fornire materiali e servizi all'esercito di Tel Aviv che da 42 anni occupa la Cisgiordania. Nel 1977 l'Hampshire fu la prima istituzione culturale statunitense a disinvestire dal Sudafrica segregazionista, mentre i portuali di Durban hanno espresso la loro solidarietà ai palestinesi rispolverando la forma di protesta introdotta dai loro compagni scandinavi nel 1963 - quattro anni dopo la nascita del Movimento anti-apartheid - quando incrociarono le braccia per bloccare i carichi provenienti dal regime segregazionista di Pretoria. A questi due casi fortemente simbolici, nelle ultime settimane se ne sono aggiunti decine di altri che hanno dato nuova linfa al movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds) contro Israele. Lanciata nel 2005 sotto forma di appello da parte di 170 organizzazioni della società civile palestinese, la campagna Bds si propone di «esercitare una pressione non violenta per portare lo Stato d'Israele a cessare le sue violazioni del diritto internazionale».
Non c'è dubbio che a far guadagnare alla causa l'appoggio di istituzioni che vanno dai sindacati norvegesi ai docenti e impiegati universitari del Quebec, a decine di ong in Gran Bretagna e negli Stati Uniti sia stata la recente offensiva israeliana contro Gaza, col suo lascito di oltre 1.300 palestinesi uccisi in tre settimane di bombardamenti.
E a dare sanzione ufficiale ai successi del movimento Bds ci ha pensato, il 30 marzo scorso, la Confindustria israeliana. «Oltre ai problemi e alle difficoltà derivanti dalla crisi economica globale, il 21% degli esportatori locali lamenta che sta avendo problemi a vendere prodotti israeliani a causa di un boicottaggio anti-israeliano, specialmente da parte della Gran Bretagna e dei paesi scandinavi» ha dichiarato al Jerusalem post Yair Rotloi, il presidente dell'associazione.
Omar Barghouti, promotore della campagna per il boicottaggio accademico e culturale d'Israele (Pacbi), sottolinea il carattere «strutturato e istituzionalizzato raggiunto dal movimento». «Dopo i massacri di Gaza - spiega Barghouti - abbiamo chiesto un cambiamento di mentalità: ognuno lo faccia nelle forme e con i mezzi più idonei alle diverse realtà nazionali, ma aiutateci col boicottaggio, che è l'unico strumento per aiutarci a liberarci dall'oppressione».
Secondo Barghouti «Israele è più vulnerabile di quanto non fosse il Sudafrica segregazionista, perché la sua economia dipende interamente da agricoltura, servizi e produzione bellica».
Proprio alla collaborazione dell'Italia con l'industria degli armamenti di Tel Aviv ha rivolto la sua attenzione la Fiom, il primo sindacato italiano a prendere in considerazione il boicottaggio.
Altre organizzazioni da sempre attive nel sostegno alla causa palestinese come ForumPalestina e International solidarity movement Italia e, più recentemente, la stessa rete Action for peace - di cui la Fiom fa parte - hanno indicato la via maestra del boicottaggio delle merci israeliane (quelle il cui codice a barre inizia con i numeri 729).
Venerdì scorso, dopo che la stampa israeliana aveva riportato l'intenzione di Finmeccanica di stipulare accordi di collaborazione con le principali aziende militari israeliane, rappresentanti dei metalmeccanici della Cgil hanno volantinato fuori alla sede romana di Finmeccanica. «Abbiamo anche incontrato l'azienda e chiesto chiarimenti sui tipi di produzioni, eventuali cooperazioni con aziende israeliane e tecnologie a cui si coopera poi vedremo i delegati e i lavoratori per discutere eventuali iniziative» racconta Alessandra Mecozzi, che di Fiom è la responsabile internazionale. Nell'attesa di eventuali iniziative da organizzare coi lavoratori, Fiom chiede l'immediata sospensione dell'accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele entrato in vigore nel 2005.

* da IL Manifesto del 9 aprile

Per il boicottaggio della edizione 2009 della Fiera del Libro di Torino

Comunicato stampa Assemblea Free Palestine

Torino, 10 aprile 2009

L’Egitto sarà l'ospite d'onore della edizione 2009 della Fiera del Libro di Torino.

Gli organizzatori, a partire dal presidente Rolando Picchioni, tessera P2 2095, non si smentiscono.

Un altro stato canaglia sembra destinato ad occupare gli spazi della Fiera .

Dopo le vicende di queste ultime settimane, che hanno interessato il premio Grinzane, non dovrebbero sussistere dubbi sulla natura e gli scopi di queste fiere delle vanità, espressione del degrado morale, culturale e politico della città.

Lo scorso anno l’ospite d’onore è stato lo Stato di Israele, uno stato canaglia, ma “democratico”, come ha confermato la feroce spedizione punitiva sionista, iniziata il 27 dicembre, contro la popolazione inerme della Striscia di Gaza, chiusa, con la complicità del mondo occidentale, in un vero e proprio campo di concentramento.

Recentemente, sabato 4 aprile, nel decennale della morte di Giulio Einaudi, si è rivisto a Torino, invitato dai soliti noti, Abraham Yehoshua, un razzista con le mani grondanti di sangue.

Enzo Bianchi e Eugenio Scalfari hanno ritenuto doveroso fargli bordone.

L’Egitto è un regime totalitario e brutale dove da decenni sono in vigore leggi d’emergenza che consentono a una oligarchia corrotta e spietata di tenere sotto un controllo strettissimo la popolazione. Oltre un milione di poliziotti e anche l’esercito sono impegnati nella repressione

Un paese dove poche migliaia di persone, con alla testa Hosni Mubarak, note come la classe di Sharm El Sheikh, ha in mano finanza e economia e l’80% della ricchezza nazionale.

Un paese dove la libertà di espressione e di opinione è duramente colpita, come sono colpite tutte le persone che in qualche maniera tentano di esprimere una posizione critica (attualmente in Egitto si contano circa 30.000 prigionieri politici). La stampa e i siti internet sono sotto censura.

L’Egitto, ospite d’onore a Torino nel mese di maggio, è noto nel mondo per le torture alle quali vengono sottoposti gli oppositori. La tortura è una prassi per estorcere informazioni, piegare la resistenza dei prigionieri e per far il lavoro sporco per altri paesi, ospitando, ad esempio, carceri segrete della CIA.

Dal 1979 l’Egitto vive in “pace” con i suoi vicini, Israele compresa, contribuendo attivamente all’assedio israeliano della Striscia di Gaza e a mantenere 1,5 milioni di palestinesi sotto un embargo feroce. L’Egitto collabora con gli israeliani per colpire la resistenza palestinese, vende il gas naturale sotto costo a Israele che ne impedisce la fornitura, insieme al gasolio, ai palestinesi.

Come lo scorso anno con lo Stato di Israele ci mobiliteremo a livello locale e nazionale per contestare la presenza dell’Egitto come ospite d’onore della Fiera del Libro.

Boicottare l’Egitto e continuare a boicottare lo Stato di Israele!

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