“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

giovedì 18 giugno 2009

Obama e le cose non dette

Il discorso di Obama al mondo musulmano è stata l’ennesima e amara conferma della posizione della nuova amministrazione americana .
Ennesima in quanto preannunciata dall’imbarazzante silenzio sui fatti di Gaza durante la transizione presidenziale (..) , amara perché determinate omissioni in un discorso così importante mettono in scena parte del problema, molto meno della realtà dei fatti.

Intanto si torna a parlare della soluzione dei 2 stati senza fare accenno ai confini del ’67.
E l’entusiasmo fa parlare di cambiamento… e a proposito di cambiamenti ecco l'arcipelago Cisgiordania oggi.





Qui riporto le impressioni di Noam Chomsky sul discorso del Cairo (da Institute for Public Accuracy)

…….

"Da un titolo di CNN, che fa riferimento ai progetti di Obama per il suo discorso del 4 giugno al Cairo , si legge 'Obama prova a raggiungere l'anima del mondo musulmano"
Forse questo è il suo intento ma più significativo è il contenuto nascosto dietro un’affermazione retorica o semplicemente omessa.

Concentrandosi solo su Israele e Palestina - nessun riferimento sostanziale a qualsiasi altra cosa - Obama ha invitato gli arabi e gli israeliani a non 'puntarsi il dito' a vicenda e a non 'vedere questo conflitto da un unico punto di vista'.
Vi è, tuttavia, una terza parte, quella degli Stati Uniti, che ha svolto un ruolo decisivo nel sostenere l'attuale conflitto.
Obama non ha dato alcun segnale della possibilità che il suo ruolo possa cambiare o che possa essere una cosa da prendere in considerazione.

Coloro che razionalmente hanno familiarità con la storia concluderanno quindi che Obama proseguirà nel percorso di reiezionismo unilaterale degli Stati Uniti.

Obama ha ancora una volta elogiato l’iniziativa di Pace Araba aggiungendo solo che gli Arabi devono considerarla come ‘un importante inizio ma non come la fine delle loro responsabilità.’ ' Come dovrebbe vederla invece l’amministrazione Obama?
Obama e i suoi consulenti sono sicuramente a conoscenza del fatto che l’iniziativa ribadisce l´oramai consolidato consenso internazionale che chiede la soluzione di due Stati sui confini internazionali (precedenti al giugno'67), forse con 'minori e reciproche modifiche´ ( per prendere in prestito le parole del governo USA che negli anni ‘70 improvvisamente scomparvero ai giudizi dell’opinione pubblica ) vietando una risoluzione del Consiglio di sicurezza sostenuta dagli Arabi e tacitamente dall'OLP (`il confronto degli stati ' Egitto, Iran, Siria), con lo stesso essenziale contenuto dell’iniziativa di Pace araba.
L’unica eccezione è che quest'ultimo invito va al di là, invitando gli Stati arabi a normalizzare le relazioni con Israele nel contesto di questo assetto politico.
Obama ha invitato gli Stati Arabi a procedere alla normalizzazione, ignorando tuttavia con cura la cruciale soluzione politica che è la sua prima condizione.
L’iniziativa non può essere un ‘inizio’ se gli Stati Uniti continuano a rifiutare di accettare i suoi principi fondamentali o semplicemente di riconoscerli.

In fondo l'obiettivo della gestione Obama, più chiaramente enunciato dal senatore John Kerry, il presidente della commissione Affari Esteri del Senato, è di forgiare un'alleanza tra Israele e gli Stati Arabi 'moderati' contro l'Iran.
Ma il termine 'moderato' non ha nulla a che fare con il carattere dello Stato, ma intende segnalare la sua volontà di conformarsi alle richieste degli Stati Uniti.

"Che cosa farà Israele per andare incontro agli Arabi per la normalizzazione delle relazioni?”
La posizione più severa che finora è stata pronunciata dall’amministrazione Obama è che Israele dovrà conformarsi alla fase I della Road Map del 2003, che recita: 'Israele blocca tutte le attività di insediamento (compresa la crescita naturale degli insediamenti). '
Tutte le parti dichiarano di accettare la Road Map, senza però considerare che Israele ha immediatamente aggiunto 14 riserve e ciò la rende di fatto inutilizzabile.

Trascurato il dibattito sugli insediamenti, il fatto è che anche se Israele dovesse accettare la 1a fase della Road Map, questo lascerebbe in piedi l'intero progetto di regolamento che è già stato elaborato con il sostegno determinante degli Stati Uniti, per assicurarsi che Israele abbia le preziose terre all'interno dell´illegale 'muro di separazione' (comprese le principali fonti di approvvigionamento idrico della regione), così come la Valle del Giordano, imprigionando così quel che resta, che viene suddiviso in cantoni da insediamento e importanti infrastrutture estendendosi molto più a Oriente.

Nessun riferimento al fatto che Israele si sta spostando verso la "Grande Gerusalemme", sito dei suoi attuali e principali programmi di sviluppo, sradicando molti arabi e facendo in modo che ciò che rimarrà ai palestinesi sarà lontano dal centro della loro identità culturale così come della loro vita economica e socio-politica.
Nessun riferimento al fatto che tutto questo accade in violazione del diritto internazionale, come ammesso dal governo di Israele, dopo la conquista del 1967, e ribadito dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dalla Corte internazionale di giustizia.
Ancora nessun riferimento sulle riuscite operazioni , in atto dal 1991, di separare la Cisgiordania da Gaza, fino al risultato di una prigione in cui la sopravvivenza è appena possibile minando ulteriormente le speranze di uno Stato palestinese autonomo.

Vale la pena ricordare che non vi è mai stata una rottura del reiezionismo USA-Israel.
Il presidente Clinton ha riconosciuto che i termini che aveva offerto al fallito incontro di Camp David nel 2000 non erano accettabili per nessun palestinese, e in dicembre, propose i suoi 'parametri' che seppur fumosi erano comunque un segno di maggiore disponibilità.
Clinton annunciò che le due parti avevano accettato i parametri, anche se entrambe avevano espresso delle riserve. I negoziatori israeliani e palestinesi si incontrarono a Taba, Egitto, per appianare le divergenze e si ebbero notevoli progressi. Annunciarono, durante la loro ultima conferenza stampa congiunta, che una completa risoluzione avrebbe potuto essere raggiunta in pochi giorni.
Ma Israele sospese i negoziati prematuramente, e di fatto non sono stati mai formalmente ripresi.
L'unica eccezione indica che, se un presidente americano è disposto a tollerare una significativa soluzione diplomatica, questa può essere molto probabilmente raggiunta.

E’ opportuno ricordare anche che l'amministrazione di George Bush andò un po' al di là delle parole per opporsi ai progetti di insediamento illegali israeliani, e cioè, mediante il sostegno economico degli Stati Uniti. Al contrario, i funzionari dell´amministrazione Obama hanno dichiarato che tali misure "non sono in discussione' e che le eventuali pressioni su Israele perché si attenga alla Road Map saranno 'in gran parte simboliche’, così come riporta il New York Times (Helene Cooper, 1 giugno).

Ci sarebbe altro da dire, ma questo non aiuterebbe lo spaventoso scenario di ciò che Obama sta anticipando col suo discorso al mondo musulmano.

da http://rough-moleskine.blogspot.com/2009/06/il-discorso-di-obama-al-mondo-musulmano.html

Intervista ad Ilan Pappe alla Fiera del Libro di Torino 2009

“I giovani israeliani vengono istruiti a pensare che oggi come nel 1948 combattono un nemico barbaro. Non gli vengono dati gli strumenti per capire per quale motivo un palestinese si fa esplodere, perché l'Olp combatteva Israele o perché Hamas lancia i razzi Qassam". Intervista allo storico israeliano che insegna all'Università di Exeter, in Inghilterra. Ad Haifa, non gli è stato rinnovato il contratto.

da Rimini Gaza. Movimento per restare umani
http://comunitasociale.ning.com/profiles/blogs/ilan-pappe-alla-fiera-del

LE "GENEROSE" OFFERTE DI NETHANYAU. UN VELENOSO INGANNO DA RESPINGERE

Dopo il discorso del premier israeliano all’Università Bar Ilan, considerato la risposta al discorso di Barck Obama all’Università del Cairo, è bene essere chiari. Non solo lo Stato di Israele, per bocca del suo capo del governo, non ha fatto alcun passo avanti, ma ha inteso ribadire con forza, addirittura con arroganza, la sua unilaterale visione del mondo, della storia ed anche dell’attualità.

Nethanyau non ha fatto altro che riaffermare i capisaldi dell’ideologia sionista, a partire dalla negazione del diritto dei Palestinesi ad uno Stato degno di questo nome, che è cosa diversa dal bantustan privo di sovranità vagamente ipotizzato dal premier israeliano, in perfetta ed assoluta continuità con i suoi predecessori. Quanto alle responsabilità storiche, Nethanyau ha nuovamente rovesciato sui Palestinesi e gli Arabi la colpa di non aver mai accettato una prospettiva di pace e convivenza, facendo risalire agli scontri del 1920 con i primi coloni sionisti l’inizio di un rifiuto arabo che arriva fino ai nostri giorni, passando per la guerra del 1948, le prime azioni dei fedayn negli anni 50 e la guerra del 1967. Del resto, per il premier israeliano è chiaro che il diritto del popolo ebraico ad occupare la terra palestinese risale alla bellezza di 3500 anni fa, smentendo, quindi, che la nascita di Israele sia una diretta conseguenza dell’Olocausto: “Il diritto di stabilire il nostro Stato sovrano qui, nella Terra di Israele, deriva da un semplice fatto: Eretz Israel è il luogo di nascita del popolo ebraico”. Conseguentemente, chi ha abitato la terra di Palestina per secoli e secoli, non ha alcun diritto su quella terra, tanto è vero che la precondizione per qualunque colloquio con i Palestinesi è la seguente: “I Palestinesi devono riconoscere Israele come lo Stato del popolo ebraico”. E tanti saluti a quel milione e mezzo di cittadini israeliani che ebrei non sono, per non parlare dei profughi della diaspora palestinese, che nella terra di Israele non dovranno mai più mettere piede.

Sulla base di questi presupposti, non c’è da stupirsi se lo “Stato” immaginato da Nethanyau per i Palestinesi non abbia nulla a che vedere con i principi di sovranità che contraddistinguono gli Stati veri e propri: può, infatti, definirsi Stato un’entità privata della sua capitale storica (Gerusalemme), di confini certi e del controllo sugli stessi, del controllo del suo spazio aereo e – lo supponiamo – anche delle sue acque territoriali? “Niente esercito, nessun controllo dello spazio aereo. Misure reali ed efficaci (da parte della comunità internazionale, guidata dagli U.S.A., dice Nethanyau) per impedire che vi arrivino armi, non come succede adesso a Gaza. I Palestinesi non possono stipulare trattati militari”. Se a tutto questo aggiungiamo che, nella visione di Nethanyau, non è nemmeno pensabile frenare quella che chiama la “crescita naturale” delle colonie ebraiche, appare evidente che nemmeno l’arrendevolissima Autorità Palestinese di Abu Mazen può permettersi di accettare ufficialmente queste condizioni.

*****

Il futuro delineato dalle parole di Nethanyau non potrebbe essere più nero, per i Palestinesi, per l’intero Medio Oriente, per tutta l’area che va dal Mediterraneo al Caucaso. E’ un futuro di guerra, anche in aperto contrasto con la nuova amministrazione U.S.A., come, del resto, era scritto a chiare lettere nel documento elaborato dai servizi di intelligence israeliani, trasmesso alla Knesset lo scorso autunno, ben prima delle elezioni presidenziali nordamericane. Resta da vedere se il governo israeliano avrà veramente la forza di agire contro gli indirizzi dell’amministrazione Obama o se, di converso, l’amministrazione Obama avrà veramente la forza di autonomizzarsi, almeno in parte, da quella Israel Lobby che ha condizionato la politica mediorientale degli U.S.A. dalla presidenza Eisenhower in poi.

Allo stato attuale, le prime reazioni al discorso di Nethanyau non autorizzano il minimo ottimismo. L’amministrazione U.S.A., contro ogni evidenza, lo ha definito “un passo avanti”, anche se non si capisce verso cosa, e lo stesso ha fatto l’Unione Europea. L’ Autorità Palestinese, la Lega Araba e tutti i governi arabi – compreso il moderatissimo e servile Egitto – lo hanno, invece, bollato per quello che è: la pietra tombale di ogni possibile negoziato. Hamas lo ha definito un discorso razzista e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina un proclama di guerra ed un insulto alla comunità internazionale. Arrivando a casa nostra, non possiamo non notare come, dopo il discorso del premier israeliano, Claudio Pagliara sia tornato a parlare a reti RAI unificate, lodando la proposta dello Stato palestinese “smilitarizzato”, senza che qualcuno abbia fatto sentire una voce di dissenso. Siamo pronti a scommettere che, di fronte alle reazioni negative dei Palestinesi e del mondo arabo, ripartirà il tormentone politico-mediatico sulle “generose offerte”, che l’altro ieri erano quelle di Barak, ieri quelle di Sharon ed Olmert, oggi sono quelle di Nethanyau.

In questo scenario, la sola cosa ragionevole da fare è quella di rilanciare la solidarietà con il popolo palestinese e il boicottaggio dell’economia di guerra israeliana. La sola alternativa, è la complicità – palese o occulta, poco importa – con il delirio di onnipotenza sionista, un delirio che si mostra pronto a scatenare nuove guerre e nuovi genocidi nella convinzione di assicurarsi, per questa via, la perpetuazione del proprio dominio. Mai come oggi, lottare per la Palestina significa lottare per la pace.

il Forum Palestina (www.Forumpalestina.org)

Cisgiordania, oltre 3mila appartamenti costruiti nelle colonie a partire dal 2008

Osservatorio Iraq, 11 giugno 2009

Sono oltre 3.200 le unità abitative costruite nelle colonie israeliane in Cisgiordania nel corso dell’ultimo anno e mezzo.

È quanto si apprende da un articolo pubblicato oggi dal quotidiano israeliano Yedioth Ahrnoth.

Stando a quanto scrive la più popolare testata israeliana, migliaia di nuovi appartamenti sono attualmente in costruzione e altri ne verranno annunciati entro l’anno.

Nel dettaglio, sono 900 le unità abitative in via di realizzazione nella colonia di Ma’ale Adumim, a Gerusalemme est, 750 quelle di Givat Ze’ev, nel settore nordovest della città santa, 617 a Modi’in, a ovest di Ramallah.

Altre 270 residenze e 27 e fabbriche sono in costruzione ad Ariel e Barqan, a sud di Nablus, e 327 a Bitar Illit, a ovest di Bethlehem.

L’attuale governo israeliano, guidato dal leader del Likud Benjamin Netanyahu, si è impegnato a combattere gli “avamposti” (le colonie giudicate illegali anche dallo Stato ebraico, oltre che dalla comunità internazionale), ma ha detto anche di essere intenzionato a consentire la “crescita naturale” degli insediamenti esistenti.


[c.m.m.]

http://www.osservatorioiraq.it/modules.php?name=News&file=article&sid=7744


domenica 7 giugno 2009

ADERISCI ALLA CAMPAGNA DI BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni)

13 giugno: II giornata di mobilitazione nazionale della Campagna Boicottaggio - Disinvestimento - Sanzioni verso Israele

La campagna BDS è stata lanciata da organizzazioni della società civile palestinese, che richiamandosi all’esempio della lotta per l’abolizione dell’Apartheid in Sud Africa, hanno chiesto la solidarietà internazionale. La campagna BDS ha lo scopo di denunciare e incidere sull’economia criminale israeliana, attraverso il boicottaggio delle merci israeliane, il disinvestimento dall’economia israeliana, la sospensione dei rapporti accademici e delle collaborazioni con lo Stato e gli enti locali, la verifica delle possibili iniziative legali (sanzioni) per la condanna dei criminali di guerra ed il risarcimento dei danni provocati in questi anni di occupazione, distruzione e massacri.

OBIETTIVI DELLA CAMPAGNA ITALIANA BDS:
I prodotti provenienti dallo Stato di Israele (generalmente identificati dal codice a barre con le prime tre cifre 729).
Jaffa e Carmel: prodotti ortofrutticoli israeliani. Le società Jaffa e Carmel controllano le esportazioni dei prodotti ortofrutticoli israeliani, provenienti da Israele, dalle colonie nei territori occupati e anche dai coltivatori palestinesi i quali, in mancanza di altri canali di distribuzione, sono costretti a lasciare buona parte del ricavato dei loro prodotti alle società.
THEVA: prodotti farmaceutici israeliani. L’azienda THEVA in Italia e in Francia ha acquisito una posizione dominante nel mercato dei farmaci generici e da banco.
L’OREAL: prodotti cosmetici. Oltre ad essere uno dei maggiori investimenti israeliani, il gruppo L’OREAL commercializza prodotti realizzati con materiali provenienti dai territori palestinesi occupati, come i Sali del Mar Morto.
LAVAZZA: azienda che da oltre due decenni è leader nel mercato israeliano del caffè, delle macchine per bar e uffici, dell’architettura e dell’arredamento dei locali, attraverso la ditta israeliana Gils Coffee Ltd. Il boicottaggio della Lavazza è raccomandato anche dall’organizzazione pacifista israeliana Gush Shalom e dalla Coalizione delle Donne per la Pace israeliana, an che per il legame diretto fra la Lavazza stessa e la Eden Springs Ltd, azienda che imbottiglia e distribuisce l’acqua delle Alture del Golan, territorio siriano occupato e colonizzato illegalmente da Israele dal 1967.

LA CAMPAGNA ITALIANA BDS CHIEDE, INOLTRE:
- La revoca delle collaborazioni al progetto “Saving children”, con il quale la Regione Emilia Romagna, insieme con le regioni Toscana e Piemonte elargisce fondi alla sanità israeliana per curare i bambini palestinesi feriti dagli stessi Israeliani!

- La revoca degli accordi di cooperazione tecnologica fra la Regione Emilia Romagna e il centro industriale israeliano Matimop.

- Chiediamo alle istituzioni accademiche ed ai singoli dipartimenti e docenti di sospendere a loro volta ogni rapporto con le università israeliane, in solidarietà con le università palestinesi cui l’occupazione impedisce da anni di portare avanti i propri programmi.

Primi firmatari:
Comitato Palestina Bologna - Sopra i Ponti - Un ponte per... Bologna - Rete dei Comunisti - Lazzaretto Occupato - RdB/CUB - Crash - Prometeo - Aula 1 Autogestita - PCL fed. Bologna - PRC fed. Bologna - Fmlu/CUB

sabato 6 giugno 2009

Il passaggio sulla Palestina nel discorso di Barak Obama al Cairo

"I forti legami degli Stati Uniti con Israele sono noti. Questo legame è indistruttibile e l'aspirazione ad una patria per gli ebrei è radicata in una storia tragica che nessuno può negare. Al tempo stesso, è allo stesso modo innegabile che il popolo palestinese abbia sofferto nella ricerca di una patria. La situazione della gente palestinese è intollerabile. E l'America non girerà le spalle alla legittima aspirazione palestinese alla dignità, a ciò che è opportuno e ad uno stato proprio. L'unica soluzione è che l'aspiarazione di entrambe le parti sia realizzata attraverso due stati, dove israeliani e palestinesi possano vivere in pace e sicurezza. E' nell'interesse di Israele, della Palestina, dell'America e del mondo. I palestinesi devono abbandonare la violenza. Hamas deve riconoscere gli accordi passati ed il diritto di Israele ad esistere. Israele deve rispettare l'obbligo di permettere ai palestinesi di vivere, lavorare e sviluppare la propria società".

....due stati? dove e come?



martedì 2 giugno 2009

Ora la priorità è quella di essere uniti

"Ora la priorità è quella di essere uniti come palestinesi"
Intervista a Khalida Jarrar del FPLP*
di Enrico Bartolomei**

Cominciamo dal parere del FPLP sull’amministrazione Obama e sul nuovo governo israeliano. Pensa che la nuova amministrazione americana porterà qualche cambiamento al conflitto israelo-palestinese?

Noi non riteniamo che i singoli possano fare molto per la politica di un paese. Credo che Obama non porterà alcun cambiamento sostanziale, almeno per quanto riguarda la politica estera americana. Stiamo parlando di politiche istituzionali e non di quelle dei singoli. Naturalmente, ogni presidente, ogni partito ha un approccio diverso sul modo di attuare la politica estera, e non ci saranno più le folli politiche come quelle portate avanti da Bush, ma Obama non può cambiare il sistema, e le contraddizioni sono all'interno del sistema stesso: il sistema economico capitalista, la visione imperialista che ha portato all’occupazione militare in Iraq e in Afghanistan.
Verso il Medio Oriente e, in particolare, riguardo la causa palestinese, parlano ancora di "processo di pace", che per noi non significa nulla. Non è un vero processo di pace e credo che la priorità per gli Stati Uniti ora sarà la crisi finanziaria ed i problemi economici all'interno del sistema capitalistico stesso. Pertanto, non siamo ottimisti, Obama non modificherà il sistema e, di conseguenza, per i palestinesi la situazione non cambierà di molto.

Riguardo il governo israeliano? Sembra al momento che non si impegnerà nella soluzione dei due Stati...

Il governo israeliano? Le elezioni dimostrano che il governo israeliano sta andando sempre più verso l'estrema destra. La novità è che Lieberman è riuscito ad ottenere un maggiore consenso ed una poltrona nel governo come ministro degli Esteri. Egli stesso rappresenta apertamente, ora a livello ufficiale, il razzismo, le politiche di pulizia etnica del governo israeliano nei confronti dei palestinesi. Sta aumentando il numero di insediamenti e delle demolizioni di case a Gerusalemme.

Quindi, parlare o non parlare con loro?
Io appartengo ad un partito che fin dall'inizio va dicendo che questo processo di pace non porterà a nessuna pace o giustizia per i palestinesi. Abbiamo chiesto di interrompere qualsiasi tipo di negoziazione con i governi israeliani, con questo in particolare. Noi non crediamo in un processo di pace sulla base dei colloqui personali, individuali, senza che si applichino autenticamente le risoluzioni internazionali relative alla causa palestinese ed il riconoscimento dei diritti fondamentali dei palestinesi. Io non parlo solo del diritto di creare uno Stato palestinese pienamente indipendente, ma anche del diritto all’autodeterminazione e del diritto al ritorno per i profughi palestinesi. Non vi è alcuna necessità di discussioni o compromessi su tali diritti fondamentali inalienabili, che dovrebbero realizzarsi soltanto attraverso una conferenza internazionale sulla base del diritto internazionale e delle relative risoluzioni ONU.

Colloqui del Cairo: pensa che una qualche riconciliazione tra Hamas e Fatah sia realistica?

Sono pessimista sulla possibilità di una riunificazione. Non credo che ci siano delle reali trattative tra i due partiti in materia di riunificazione, ma colloqui individuali. Ciascun partito utilizzerà il suo potere per creare i meccanismi al fine di ottenere più potere e dominare l’area che già controlla. Pensiamo che ci debba essere una discussione, senza interferenze esterne e precondizioni, su come dovrebbe essere formato il nuovo governo. Come partiti politici palestinesi, noi abbiamo in comune la condizione di essere sotto un’occupazione: per questo dovremmo rispettarci a vicenda e utilizzare solo strumenti democratici per risolvere i problemi, invece di controllare le cose attraverso l'uso della forza. Abbiamo bisogno di tenere le elezioni, di cambiare la legge elettorale, per dare a tutti i partiti politici la possibilità di partecipare. Dobbiamo porre fine a questo terribile meccanismo per cui il feudo Hamas-Fatah, anche grazie alle interferenze esterne, controlla ogni cosa.

Un numero crescente di critici e dissidenti verso la dirigenza dell’Autorità Palestinese (AP) sta diventando un obiettivo per l'apparato di sicurezza dell'AP in Cisgiordania.
Pensa che l'AP stia diventando sempre più autoritaria e le sue forze di sicurezza militarizzate? E cosa pensa del loro coordinamento con gli israeliani?

Questo aspetto è parte dell’accordo della Road Map. Rifiutiamo categoricamente il coordinamento tra le forze di sicurezza palestinesi e israeliane e pensiamo che debba essere immediatamente interrotto. Tutte le forze di sicurezza dovrebbero aiutare i palestinesi nella loro lotta e difendere i diritti dei propri cittadini, invece di collaborare con l'occupante. Questa è una delle questioni ora sul tavolo del dialogo. Siamo contrari a qualsiasi tipo di forze di sicurezza legate ai partiti politici, come è adesso in Cisgiordania e Gaza. Sono molto preoccupata per la violazione dei diritti umani dei palestinesi: sia in Cisgiordania che a Gaza ci sono prigionieri politici, omicidi, chiusure delle istituzioni del partito rivale. A Gaza, Hamas non permette a Fatah di tenere la normale attività politica e, a parti invertite, accade la stessa cosa in Cisgiordania. Le prime vittime di queste politiche sono i diritti umani degli stessi palestinesi.

L'Autorità Palestinese continua a ritenere che i negoziati di pace siano il modo migliore per raggiungere la pace e la giustizia per i palestinesi. Pensa che l’ANP rappresenti gli interessi del popolo palestinese?

Appartengo ad un partito che si è opposto al cosiddetto processo di pace sin dall'inizio. Non siamo d'accordo con il percorso dei negoziati isolati e continui e chiediamo che l’AP ponga fine a questa politica che non porta da nessuna parte. Noi vediamo che Israele usa i negoziati di pace come uno strumento e una copertura per le sue azioni sul terreno, per le costanti aggressioni ed attacchi contro i palestinesi e la loro terra.

C'è la necessità di un'altra forma di rappresentanza per i palestinesi? L’OLP non è forse sorpassato dai tempi?

Non abbiamo bisogno di creare un’altra istituzione. Noi vediamo l'OLP come una rappresentanza politica dei palestinesi dentro e fuori la Palestina ed il simbolo della loro lotta. L’ANP non rappresenta tutti i palestinesi, la maggior parte dei quali sono i rifugiati all’estero, dovrebbe solo essere un’istituzione che aiuta i superstiti palestinesi sotto occupazione. Quindi, abbiamo bisogno di una rappresentanza politica: ritengo che si debba salvare l'OLP riformandolo. Prima di tutto una politica di revisione è necessaria: dobbiamo imparare dalla lezione del passato e fermare la politica dei negoziati e degli accordi di pace vani. In secondo luogo, ci deve essere una riforma democratica all'interno della stessa OLP. Elezioni per un Consiglio Nazionale Palestinese [il parlamento dell’OLP, NdT] dovrebbero essere tenute in modo da dare a tutto il popolo palestinese la possibilità di essere adeguatamente rappresentato. Da queste elezioni saranno creati un Comitato Centrale e un Comitato Esecutivo.
Vede, un altro aspetto del conflitto tra Hamas e Fatah è la questione della rappresentanza: Fatah non vuole che Hamas entri nell'OLP al fine di mantenerne l'egemonia. Al contrario, Hamas vuole avere una forma alternativa di rappresentanza, perché ha vinto le elezioni. Noi vediamo nell’OLP la casa di tutti i palestinesi e uno strumento di rappresentanza nella lotta per l'autodeterminazione.

Parliamo della sinistra palestinese. Può una sinistra divisa rappresentare una terza via realistica tra Hamas e Fatah?

Le critiche alla frammentazione dei partiti di sinistra sono giuste: essa è fonte di grande debolezza. Noi riteniamo che la sinistra debba essere unificata. Non sto parlando di un nuovo partito o di una immediata riunificazione, ma di una coalizione di tutti i gruppi di sinistra e progressisti, delle organizzazioni di base e dei singoli intorno ad una piattaforma politica minima. Questo potrebbe essere il primo passo di un processo che conduca verso una sinistra unitaria. In caso contrario questa situazione, in cui Hamas e Fatah controllano tutto, ci accompagnerà per lungo tempo. Solo se i partiti palestinesi di sinistra e democratici, insieme con le singole persone, si unificano in una coalizione, la sinistra può rappresentare una terza via. Stiamo lavorando su questo. In alcuni consigli studenteschi si sono già tenute elezioni unitarie, i movimenti femminili di sinistra stanno discutendo un documento per formare una coalizione ...

Quali sono gli ostacoli concreti all'unificazione della sinistra?

I principali ostacoli sono di carattere politico. Per esempio abbiamo opinioni diverse sul processo di pace: alcuni partiti sono d'accordo con gli accordi di Oslo, la Road Map, ecc. Tuttavia, come ho detto prima, questo non deve impedirci di trovare un accordo su una agenda politica minima.

Mi sembra che i gruppi di sinistra in generale, e il FPLP, siano di fronte ad una crisi di consenso nella società palestinese: Perché? Dove è andata la sinistra? Cosa state facendo per essere più presenti e visibili nella società civile palestinese (organizzazioni non governative, organizzazioni di base, movimenti popolari)?

Questa è la sfida: nessun partito politico di sinistra può fare molto da solo. Ora i gruppi di sinistra si trovano ad affrontare una situazione difficile: non abbiamo potere, né denaro, né sostegno internazionale. Anche nel mondo arabo, i gruppi islamici fanno la parte del leone. Ci troviamo di fronte a problemi interni, come quello economico. Siamo partiti poveri e, se si vogliono aumentare i programmi sociali, si ha bisogno dei soldi per farlo. Come si può competere con Hamas, che ha infrastrutture e fondi in gran quantità? La gente non vuole solo parole, ma azioni sul piano sociale.
Abbiamo anche bisogno di poter contare sull’aspetto volontario. Qui si pone la domanda: come incoraggiare il volontarismo quando si devono affrontare così tanti ostacoli geografici? A livello internazionale, soprattutto dopo il crollo dell'Unione Sovietica, abbiamo perduto il sostegno, la copertura, e qualsiasi tipo di protezione. Ci sentiamo vulnerabili: se si dice di essere un membro del FPLP, si finisce in carcere il giorno stesso. Ma la sua critica è giusta, dobbiamo rivedere la nostra politica, tornare nei movimenti di base, essere più presenti...
... come nella resistenza popolare nonviolenta contro il Muro...
Abbiamo già condiviso le attività a Bil'in, Ni'lin, al-Ma'sara, siamo dentro questi comitati popolari.

Avete rapporti con il movimento israeliano e internazionale contro l’occupazione?

Noi pensiamo che la nostra lotta nazionale abbia bisogno del sostegno attivo del movimento di solidarietà internazionale. Per quanto riguarda i movimenti israeliani, noi chiediamo a loro il pieno riconoscimento dei diritti palestinesi...

Non crede che sia giunto il momento per il FPLP di indirizzare maggiori energie alle lotte di base e popolari, e di attribuire meno importanza al confronto militare?

Il FPLP crede in tutti i tipi di resistenza e, naturalmente, la principale è la resistenza popolare (il boicottaggio delle merci, il boicottaggio accademico e culturale, le manifestazioni pacifiche contro il muro e gli insediamenti). Nessun partito sostiene solo la resistenza militare. La lotta armata può essere condivisa solo da singoli individui, e si modifica a seconda della situazione, ma la lotta popolare è la parte più grande e ad essa può unirsi moltissima gente. Non critichiamo in linea di principio la resistenza armata, perché siamo di fronte ad una occupazione per niente benevola, bensì ad un’occupazione militare. Concordo sul fatto che si dovrebbe aumentare la nostra resistenza popolare contro il muro, gli insediamenti, ecc. C'è un collegamento tra i due tipi di resistenza.
Forse non è il momento giusto per una terza Intifada, anche vedendo che la reazione in Cisgiordania durante l'attacco israeliano su Gaza non è stata così forte come ci si sarebbe potuto aspettare...
La reazione non è stata forte a causa del ruolo svolto dalle forze di sicurezza palestinesi e perché, e questo è il motivo principale, siamo divisi a livello nazionale. Vede, l'Intifada ha bisogno di leader, ma non abbiamo leader. Ha bisogno di essere unitaria, ma non c'è la minima unità. Penso che il momento per una terza Intifada verrà, il popolo non aspetterà il peggioramento senza fine dell’occupazione, ma ora la priorità è quella di essere uniti come palestinesi.

Il FPLP è un partito laico e marxista ma avete posizioni politiche molto più vicine ad un partito religioso come Hamas piuttosto che agli altri partiti laici. Come spiega questa contraddizione?

Non credo che politicamente siamo così vicini ad Hamas. Ad esempio, critichiamo il suo approccio politico e la sua convinzione su un cessate il fuoco a lungo termine come modo per porre fine all’occupazione. Ci sono delle similitudini, naturalmente: siamo entrambi contro gli accordi di Oslo, la Road Map, la trappola dei negoziati di pace. E come per altri movimenti rivoluzionari, per esempio in America Latina, possono esserci in alcuni momenti storici alcuni tipi di rapporti tra marxismo e religione. Dobbiamo definire la fase in cui ci troviamo per stabilire le priorità: come palestinesi, ci troviamo di fronte ad una lotta nazionale e democratica. Si deve guardare all'agenda politica in relazione all’occupazione: ora la nostra lotta nazionale unitaria deve essere la priorità, altre volte le questioni sociali e democratiche saranno in cima all'agenda politica. Prima di tutto, penso che si debba lavorare per creare un fronte nazionale unitario tra tutti i partiti per far cessare immediatamente l’occupazione.

* Khalida Jarrar è membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e del Consiglio Legislativo Palestinese [parlamento dell’ANP, NdT]
** da AIC - www.alternativenews.org/english/1921-an-interview-with-khalida-jarrar-of-the-popular-front-for-the-liberation-of-palestine-pflp.html

Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

breve resoconto della giornata del 28 maggio del Comitato Acqua Bene Comune di Bari: dalla Regione Puglia al Comune di Bari

MANIFESTAZIONE DAVANTI AL CONSIGLIO DELLA REGIONE PUGLIA. Eravamo quasi in 100 persone a presidiare e manifestare davanti al Consiglio Regionale il dissenso verso alcune decisioni "ambigue" della Regione Puglia come il patrocinio concesso al Convegno H2Obiettivo, organizzato da Federutility con AQP SpA e la prima multinazionale idrica, VEOLIA EAU e la candidatura di Bari ad ospitare il Forum Mondiale dell'Acqua 2015. L’obiettivo era quello di coinvolgere i Consiglieri quali componenti dell’organo legislativo, rappresentativo di tutti i cittadini della Regione.

La manifestazione è andata avanti per tutta la mattinata. Abbiamo spiegato – alternandoci al megafono - cosa sta accadendo e le ragioni del nostro dissenso, abbiamo coinvolto i passanti, raccolto firme e parlato con la stampa…che questa volta – quantomeno - non ci ha ignorato (la rassegna stampa la trovate sul sito www.acquabenecomune.org).

Risultati:
- i consiglieri Bonasora (Sinistra e Liberà) e Ventricelli (Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo) sono venuti ad incontrarci.

- Una delegazione di 15 persone ha incontrato i gruppi consiliari (Verdi, Comunisti Italiani, PD, Primavera Pugliese, Socialisti Autonomisti, PDL e PRC nella persona dell’Europarlamentare Vittorio Agnoletto) e consegnato un plico informativo e la richiesta di presentare una mozione entro la prossima settimana con la quale i consiglieri chiedono al Governo Regionale di ritirare la candidatura di Bari e di aprire la discussione con la società pugliese (cosa che lo stesso Presidente Vendola ha dichiarato di essere pronto a fare durante il Consiglio dello scorso 25 febbraio…ma noi stiamo ancora aspettando!).

Più di un gruppo consigliare si è impegnato a presentare la mozione entro la prossima settimana.

Il Presidente Vendola non si è presentato all’apertura del Convegno “H2Obiettivo”, come era previsto nel programma. E’, invece, intervenuto il Presidente del Consiglio Pepe che si è dichiarato contrario alla privatizzazione dell’acqua (“La lavorazione e la produzione hanno certamente dei costi ma questo non significa dover trasformare l’acqua in merce. I cittadini devono contribuire ma spetta alle istituzioni garantire il diritto di questa risorsa a tutti, con un occhio sempre attento alle fasce più deboli”.)

Forse, la settimana prossima, “riusciremo” FINALMENTE a incontrare il Presidente Vendola. E’ quanto ci è stato detto dalla sua segreteria particolare contattata da un funzionario del Movimento Per la Sinistra che ha ricevuto la delegazione.

COMUNE DI BARI. INCONTRO CON IL CAPOGABINETTO DEL SINDACO, On. Vito Leccese.

Una delegazione di otto persone del Comitato Pugliese “Acqua Bene Comune” ha incontrato il Capogabinetto del Sindaco, Vito Leccese, per chiedere al Comune di ritirare la proposta di candidatura della città di Bari ad ospitare il Forum Mondiale sull’Acqua, come un atto di coerenza politica e di responsabilità verso i cittadini.

Il dott. Leccese ha detto che non c’è alcuna candidatura ufficiale di Bari e ci ha assicurato che il Sindaco Emiliano chiarirà la Sua posizione al più presto. Noi aspettiamo!

COMITATO di SOLIDARIETA' con il POPOLO PALESTINESE in TERRA di BARI

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