“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

giovedì 18 giugno 2009

Obama e le cose non dette

Il discorso di Obama al mondo musulmano è stata l’ennesima e amara conferma della posizione della nuova amministrazione americana .
Ennesima in quanto preannunciata dall’imbarazzante silenzio sui fatti di Gaza durante la transizione presidenziale (..) , amara perché determinate omissioni in un discorso così importante mettono in scena parte del problema, molto meno della realtà dei fatti.

Intanto si torna a parlare della soluzione dei 2 stati senza fare accenno ai confini del ’67.
E l’entusiasmo fa parlare di cambiamento… e a proposito di cambiamenti ecco l'arcipelago Cisgiordania oggi.





Qui riporto le impressioni di Noam Chomsky sul discorso del Cairo (da Institute for Public Accuracy)

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"Da un titolo di CNN, che fa riferimento ai progetti di Obama per il suo discorso del 4 giugno al Cairo , si legge 'Obama prova a raggiungere l'anima del mondo musulmano"
Forse questo è il suo intento ma più significativo è il contenuto nascosto dietro un’affermazione retorica o semplicemente omessa.

Concentrandosi solo su Israele e Palestina - nessun riferimento sostanziale a qualsiasi altra cosa - Obama ha invitato gli arabi e gli israeliani a non 'puntarsi il dito' a vicenda e a non 'vedere questo conflitto da un unico punto di vista'.
Vi è, tuttavia, una terza parte, quella degli Stati Uniti, che ha svolto un ruolo decisivo nel sostenere l'attuale conflitto.
Obama non ha dato alcun segnale della possibilità che il suo ruolo possa cambiare o che possa essere una cosa da prendere in considerazione.

Coloro che razionalmente hanno familiarità con la storia concluderanno quindi che Obama proseguirà nel percorso di reiezionismo unilaterale degli Stati Uniti.

Obama ha ancora una volta elogiato l’iniziativa di Pace Araba aggiungendo solo che gli Arabi devono considerarla come ‘un importante inizio ma non come la fine delle loro responsabilità.’ ' Come dovrebbe vederla invece l’amministrazione Obama?
Obama e i suoi consulenti sono sicuramente a conoscenza del fatto che l’iniziativa ribadisce l´oramai consolidato consenso internazionale che chiede la soluzione di due Stati sui confini internazionali (precedenti al giugno'67), forse con 'minori e reciproche modifiche´ ( per prendere in prestito le parole del governo USA che negli anni ‘70 improvvisamente scomparvero ai giudizi dell’opinione pubblica ) vietando una risoluzione del Consiglio di sicurezza sostenuta dagli Arabi e tacitamente dall'OLP (`il confronto degli stati ' Egitto, Iran, Siria), con lo stesso essenziale contenuto dell’iniziativa di Pace araba.
L’unica eccezione è che quest'ultimo invito va al di là, invitando gli Stati arabi a normalizzare le relazioni con Israele nel contesto di questo assetto politico.
Obama ha invitato gli Stati Arabi a procedere alla normalizzazione, ignorando tuttavia con cura la cruciale soluzione politica che è la sua prima condizione.
L’iniziativa non può essere un ‘inizio’ se gli Stati Uniti continuano a rifiutare di accettare i suoi principi fondamentali o semplicemente di riconoscerli.

In fondo l'obiettivo della gestione Obama, più chiaramente enunciato dal senatore John Kerry, il presidente della commissione Affari Esteri del Senato, è di forgiare un'alleanza tra Israele e gli Stati Arabi 'moderati' contro l'Iran.
Ma il termine 'moderato' non ha nulla a che fare con il carattere dello Stato, ma intende segnalare la sua volontà di conformarsi alle richieste degli Stati Uniti.

"Che cosa farà Israele per andare incontro agli Arabi per la normalizzazione delle relazioni?”
La posizione più severa che finora è stata pronunciata dall’amministrazione Obama è che Israele dovrà conformarsi alla fase I della Road Map del 2003, che recita: 'Israele blocca tutte le attività di insediamento (compresa la crescita naturale degli insediamenti). '
Tutte le parti dichiarano di accettare la Road Map, senza però considerare che Israele ha immediatamente aggiunto 14 riserve e ciò la rende di fatto inutilizzabile.

Trascurato il dibattito sugli insediamenti, il fatto è che anche se Israele dovesse accettare la 1a fase della Road Map, questo lascerebbe in piedi l'intero progetto di regolamento che è già stato elaborato con il sostegno determinante degli Stati Uniti, per assicurarsi che Israele abbia le preziose terre all'interno dell´illegale 'muro di separazione' (comprese le principali fonti di approvvigionamento idrico della regione), così come la Valle del Giordano, imprigionando così quel che resta, che viene suddiviso in cantoni da insediamento e importanti infrastrutture estendendosi molto più a Oriente.

Nessun riferimento al fatto che Israele si sta spostando verso la "Grande Gerusalemme", sito dei suoi attuali e principali programmi di sviluppo, sradicando molti arabi e facendo in modo che ciò che rimarrà ai palestinesi sarà lontano dal centro della loro identità culturale così come della loro vita economica e socio-politica.
Nessun riferimento al fatto che tutto questo accade in violazione del diritto internazionale, come ammesso dal governo di Israele, dopo la conquista del 1967, e ribadito dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dalla Corte internazionale di giustizia.
Ancora nessun riferimento sulle riuscite operazioni , in atto dal 1991, di separare la Cisgiordania da Gaza, fino al risultato di una prigione in cui la sopravvivenza è appena possibile minando ulteriormente le speranze di uno Stato palestinese autonomo.

Vale la pena ricordare che non vi è mai stata una rottura del reiezionismo USA-Israel.
Il presidente Clinton ha riconosciuto che i termini che aveva offerto al fallito incontro di Camp David nel 2000 non erano accettabili per nessun palestinese, e in dicembre, propose i suoi 'parametri' che seppur fumosi erano comunque un segno di maggiore disponibilità.
Clinton annunciò che le due parti avevano accettato i parametri, anche se entrambe avevano espresso delle riserve. I negoziatori israeliani e palestinesi si incontrarono a Taba, Egitto, per appianare le divergenze e si ebbero notevoli progressi. Annunciarono, durante la loro ultima conferenza stampa congiunta, che una completa risoluzione avrebbe potuto essere raggiunta in pochi giorni.
Ma Israele sospese i negoziati prematuramente, e di fatto non sono stati mai formalmente ripresi.
L'unica eccezione indica che, se un presidente americano è disposto a tollerare una significativa soluzione diplomatica, questa può essere molto probabilmente raggiunta.

E’ opportuno ricordare anche che l'amministrazione di George Bush andò un po' al di là delle parole per opporsi ai progetti di insediamento illegali israeliani, e cioè, mediante il sostegno economico degli Stati Uniti. Al contrario, i funzionari dell´amministrazione Obama hanno dichiarato che tali misure "non sono in discussione' e che le eventuali pressioni su Israele perché si attenga alla Road Map saranno 'in gran parte simboliche’, così come riporta il New York Times (Helene Cooper, 1 giugno).

Ci sarebbe altro da dire, ma questo non aiuterebbe lo spaventoso scenario di ciò che Obama sta anticipando col suo discorso al mondo musulmano.

da http://rough-moleskine.blogspot.com/2009/06/il-discorso-di-obama-al-mondo-musulmano.html

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