“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

mercoledì 25 giugno 2008

Report della delegazione dell'Associazione Giuristi Democratici in Palestina: Cisgiordania-Gaza

Dal 3 all'11 Giugno 2008, una delegazione composta da avvocati e magistrati, organizzata dai Giuristi Democratici in collaborazione con la campagna Freedom Now promossa dall'Arci Toscana (volta alla liberazione di tutti i detenuti minori palestinesi), si è recata in Palestina per uno studio sulle condizioni dei palestinesi minorenni detenuti nelle carceri israeliane.

www.bilin-village.org/
Il 6 Giugno la delegazione ha partecipato alla terza conferenza internazionale di Bil'in Terza Conferenza Annuale (4-6 giugno) organizzata dal Comitato popolare e di resistenza nonviolenta di Bil'in, vicino Ramallah, a cui hanno preso parte la Vice Presidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini, contro il Muro di separazioneche ha separato la popolazione dalle terre coltivabili.
La manifestazione si svolge tutti i venerdì ed è tradizionalmente pacifica; gli abitanti hanno anche vinto un ricorso alla Corte Suprema israeliana che ha dichiarato l'illegittimità del tracciato del Muro, che deve essere rimosso, ma la sentenza non è stata eseguita così la popolazione continua la sua protesta.
Quando il nostro corteo ha raggiunto la rete di separazione, senza preavviso ed in assenza di provocazioni, i soldati hanno sparato una raffica di lacrimogeni ad altezza d'uomo, uno dei quali ha colpito il magistrato Giulio Toscano a pochi centimetri dall'occhio.
http://www.dci-pal.org/
La nostra delegazione ha incontrato gli avvocati della sezione palestinese di Defence For Children International nelle loro sedi di Ramallah, Hebron e Betlemme, il Ministro per i detenuti palestinesi, oltre a altre associazioni, sia israeliane che palestinesi (Hamoked, Ichad, Al Haq, l'Hebron Riabilitiation Center, l'associazione FreeMarwan Barghoutih,), che si occupano a vario titolo delle discriminazioni perpetrate dallo stato di Israele ai danni della popolazione palestinese nei territori occupati. Importanti anche gli incontri con ex detenuti minorenni, che hanno testimoniato gli abusi e le violenze subite nelle carceri israeliane.
Dall'inizio della seconda Intifada, nel settembre 2000, sono stati arrestati più di 7000 minori, ed attualmente ve ne sono oltre 300 detenuti nelle carceri israeliane. Uno degli Ordini Militari israeliani che disciplinano ogni aspetto della vita nei Territori Occupati, stabilisce che i palestinesi diventano maggiorenni a 16 anni di età, in spregio alla Convenzione internazionale sui Diritti dei Fanciulli, ratificata anche da Israele, ed al fatto che, viceversa, gli israeliani (risiedano essi in Israele o nelle colonie deiTerritori), raggiungono la maggiore età a 18 anni.
Per i minori palestinesi non esistono norme di procedura speciali, né un codice penale minorile, né speciali centri di detenzione, né personale specializzato nel trattamento dei minorenni.
L'arresto, l'interrogatorio, il processo, la detenzione dei minori non si differenziano per nulla rispetto ai maggiorenni; l'unica differenza consiste nella misura della pena, ma incredibilmente l'età dell'imputato è valutata con riferimento al momento della condanna, e non della commissione del reato.
I minori vengono tenuti nelle stesse celle in promiscuità con gli adulti.
Tutte le carceri per palestinesi sono site nel territorio israeliano, così come i Tribunali Militari, in violazione della IV Convenzione di Ginevra (ratificata da Israele), che vieta la deportazione della popolazione residente nel territorio occupato all'interno dello stato occupante.
La nostra delegazione ha assistito ad alcuni processi celebrati nel carcere militare di Ofer. I minori vengono portati in udienza a gruppi di due, con mani e piedi incatenati; durante l'udienza vengono tolte solo le manette ai polsi. Il processo si svolge davanti a una corte marziale composta solo da militari, e in lingua ebraica, con l'ausiliodi un interprete che traduce solo una parte ridotta di quanto viene detto in udienza.
Le udienze durano circa 10 minuti per ogni imputato, e vengono continuamente introdotti altri imputati, che si avvicendano velocemente.
All'udienza possono assistere i parenti, ma è loro vietato avvicinarsi ai detenuti. Una guardia li fa sistematicamente sedere nei posti più lontani, in ultima fila.
Gli avvocati palestinesi devono conoscere la lingua ebraica e richiedere alle autorità il permesso per entrare in territorio israeliano per incontrare i clienti e partecipare ai processi; altrettanto devono fare i parenti dei detenuti; per ottenere un permesso ci vogliono spesso parecchi mesi, e sovente viene negato. Ai parenti di età compresa tra i 16 ed i 35 anni, è vietato ogni visita ai detenuti.
Ai genitori arrestati, in occasione delle visite di figli molto piccoli, è vietato anche di abbracciarli.
I detenuti della Striscia di Gaza stanno ancora peggio, in quanto da più di un anno è preclusa la visita di congiunti.
Nelle carceri le condizioni igienico-sanitarie sono disastrose, è negato l'accesso a trattamenti sanitari adeguati, così come del tutto inadeguata è la possibilità per i minori detenuti di proseguire gli studi e godere di una qualsivoglia istruzione (una media di due ore la settimana di lezione, quando ci sono, senza alcuna distinzione per classi e per età).
Il 50% delle condanne nei confronti dei minori è relativa al lancio di sassi, punito con pene fino a 10 anni di reclusione e che costituisce di per sé un crimine anche qualora questi sassi non colpiscano né persone nei veicoli ma siano semplicemente indirizzati verso "infrastrutture" di sicurezza, come ad esempio il muro di separazione, Per i reati per i quali è prevista una pena massima inferiore a 10 anni, non è prevista nemmeno la necessità dell'assistenza di un difensore.
Alcuni testimoni:
Abbiamo incontrato un ragazzo di 14 anni, prelevato da uomini in borghese presso la propria abitazione alle 4 di notte, spruzzato con il gas sulla faccia, colpito più volte anche quando era in terra, e durante gli interrogatori, costretto a firmare una confessione in ebraico, lingua a lui sconosciuta (come la gran parte degli arrestati); è stato condannato a 4 mesi e mezzo di reclusione per aver lanciato un sasso nella direzione del Muro, senza neppure colpirlo. Durante la detenzione gli è stato consentito di vedere i genitori solo per due volte.
Ad Hebron abbiamo incontrato i bambini di una famiglia, composta da sei fratelli, tutti minorenni, la più piccola dei quali di soli 4 anni, i cui genitori da oltre tre anni sono entrambi trattenuti in detenzione amministrativa (detenzione che viene disposta per motivi di "sicurezza" per la durata massima di sei mesi prorogabili per un numero indefinito di volte e senza necessità di contestare all'imputato alcuna incriminazione). Questi sei fratellini vivono soli con la nonna materna, e hanno visto i genitori pochissime volte.Vivono con un sussidio dell'ANP di 300 euro mensili, ed hanno smesso di andare a scuola. Israele ha offerto alla sola madre la possibilità di riacquistare la libertà a condizione che accetti di trasferirsi per sempre in Giordania.
Il quadro offerto alla delegazione di giuristi è estremamente angosciante.
La politica di Israele è volta a stroncare le nuove generazioni di palestinesi, procedendo ad arresti di massa di bambini dai 13 anni in su, trattenuti anche a più riprese per anni nelle carceri israeliane, privi di istruzione e di adeguate cure, destinati a crescere in carceri in cattive condizioni fisiche, di salute e culturali, e, molto probabilmente, marchiati per sempre da un desiderio di vendetta nei confronti degli israeliani.
"You welcome", ci ripetevano in continuazione questi ragazzi, mentre ci raccontavano le loro storie; col nodo in gola, a volte, era difficile fare delle domande.

Giugno 2008, Delegazione Giuristi Democratici




Una lettera di Ahmad Sa'adat dalle carceri israeliane


A. Sa'adat è il Segretario generale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina attualmente detenuto nella prigione di Hadarim. Fu rapito, con altri cinque palestinesi, dai militari israeliani il 14 marzo 2006 dopo un assedio armato della prigione di Jericho, dove era detenuto sotto la custodia statunitense, inglese e delle Autorità palestinese.

Il diario di Paola

Diario di viaggio in Palestina: 2-6 novembre 2007
di Paola Canarutto (Rete-ECO, Ebrei Contro l'Occupazione)

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3 novembre
Oggi, appuntamento con la Union of Health Work Committees (UHWC) nella loro sede di al-Bireh, cittadina vicino a Ramallah. Ahmad Maslamani., il direttore, mi spiega che fare: “Prendi il pullman fino a Qalandya. Di lì, sali su un taxi, e telefonami con il cellulare, che spiego al guidatore dove portarti”. Funziona. Così verso i 16.000 euro avuti dalla Regione e i 3.100 ricevuti dalla sezione torinese “Dolores Ibarruri” del PdCI. Quindi, Ahmad mi consegna a Y.: è lui a portarmi in auto a Marda, per vedere di persona l'ambulatorio. […]

Per arrivare a Marda, tre posti di blocco. “Posso fotografare i soldati?” chiedo a Y.. “No, mi raccomando”, fa lui, preoccupato. “È pericoloso”. Marda è interamente circondata da un recinto invalicabile. All'unico ingresso aperto, un cancello, che gli israeliani possono chiudere a piacimento; hanno chiuso l'altra strada con cumuli di pietre. Dall'altra parte della 'barriera', terreno del villaggio, accessibile ora solo ai coloni di Ariel: per gli abitanti di Marda, gli olivi che lì crescono sono ormai irraggiungibili.

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Al ritorno, solo due posti di blocco: uno di quelli incontrati al mattino, mi spiega Y., era un 'flying checkpoint'. In cambio, l'attesa è ben più lunga: i militari sono molto più interessati a controllare chi cerca di dirigersi a sud, verso Gerusalemme, che chi va nella direzione opposta. Y., 33 anni, non ha figli. “Non sono sposato: sono stato in carcere, e fino a poco fa non avevo un lavoro; ora mi occupo delle relazioni esterne per l'UHWC. Ho preso il master all'università di Bir Zeit, e vorrei proseguire gli studi. Ma gli israeliani mi proibiscono di andare all'estero: sono classificato come un 'pericolo per la sicurezza', perché sono stato in prigione”. Mi mostra le colonie, che si vedono dalla strada. Una è costituita da roulotte, visibilmente collegate alla rete elettrica. “È ancora provvisoria”, spiega Y., assuefatto allo sviluppo degli insediamenti ebraici: “fra un po', diventerà definitiva”. Gli chiedo cosa si aspetta, dal punto di vista politico, per i prossimi 6-12 mesi. Si stringe nelle spalle: “Annapolis è una presa in giro: tutto continuerà come prima. Olmert ha promesso di liberare 300 prigionieri, ma poi ne arresta 35 tutte le notti: quanto ci mette a riequilibrare il conto? It's the Jews, sono gli ebrei”. Mi mordo le labbra e taccio: ora vorrei solo a tornare a Gerusalemme senza incidenti.

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Delle due corsie della strada principale di Ramallah, una è inaccessibile al traffico: ci lavorano stradini con rulli compressori. Un cartello spiega che i fondi proventono 'From the American People to the Palestinian People'. Gli USA stanno ricostruendo la strada distrutta dal passaggio dei carri armati israeliani. Basta una giornata in Cisgiordania per farmi riflettere che, perché le trattative fra Abu Mazen e Olmert non fossero puramente aria fritta, destinata al consumo degli occidentali, basterebbe che il primo ponesse, come condizione per partecipare agli incontri, l'abolizione dei posti di blocco. Questo però non avviene. Di Gaza si scrive che è una prigione a cielo aperto. Ma ottenere il permesso per andarvi è un'operazione superiore alle mie forze. La Cisgiordania, invece, pare un insieme di gabbie, in cui il passaggio da una all'altra è possibile solo se ciò piace agli occupanti. Incontri fra palestinesi ed israeliani, che non siano i soldati, praticamente non ci sono più: gli israeliani non possono entrare nelle zone palestinesi, dell'inverso, neanche parlare. Chi risiede a Ramallah, non si può - da anni - andare a Gerusalemme: è per questo che Y. non ha potuto riaccompagnarmi indietro.

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6 novembre
L'incontro di oggi è con Jeff Halper, che spiega i presupposti del suo lavoro. “L'ICAHD ("Comitato israeliano contro la demolizione delle case dei palestinesi" http://www.icahd.org/eng/; ndr) esiste dal '97, cioè dal governo Netanyahu – da quando era diventato chiaro che il processo di pace si era interrotto. Dal 1987, Israele ha distrutto 18.000 case palestinesi nei Territori Occupati (T.O.). Ma gli israeliani non usano il termine 'palestinesi': si adopera è un indistinto 'arabi'. Quando ci si comincia a chiedere se esiste una qualche possibilità di successo per la soluzione dei due stati, la sinistra sionista, inclusi il partito Meretz e Uri Avnery, ha paura. In assenza di uno stato palestinese, si ha l'apartheid. Se si arriva ai due stati, si può scindere l'occupazione dallo stato di Israele 'in sé'. È ormai chiaro a tutti che la soluzione bi-statale non può avere successo; è un'idea tipica del sionismo. Questo vuole tutto il Paese, tutta la terra di Israele. Gli israeliani vedono l'insieme come 'Eretz Israel'; i palestinesi, come uno stato palestinese. Non penso che si porrà fine all'occupazione; il problema vero, peraltro, è se si può avere uno stato ebraico. La storia degli stati binazionali non è felice: vedi il Libano, ma ora anche il Belgio. Se si arriva ad un solo stato, i palestinesi saranno la maggioranza, ma saranno pur sempre gli ebrei a godere di maggiore istruzione ed a tenere le leve dell'economia. Abbiamo come parola d'ordine che si deve por fine all'occupazione. Per gli israeliani, la soluzione di uno stato solo è un 'non starter'. Anche i palestinesi, d'altra parte, vogliono uno stato loro. In realtà, solo il 10% tiene davvero per Hamas. Se non si lotta, la situazione evolve spontaneamente verso uno stato unico. Per i palestinesi, questo è l'obiettivo – con una fase intermedia di bi-statale. La struttura dell'occupazione non è casuale: esiste uno schema preordinato dietro il posizionamento delle colonie e delle strade. Scopo di Israele è arrivare ad un bantustan, ad un ministato palestinese non in grado di sopravvivere economicamente.

[…]
La demolizione di case non è iniziata nel '67, ma nel '48: è allora che Israele ha distrutto circa 500 villaggi. Ora, i profughi ed i loro discendenti sono 4 milioni e mezzo. Nel '67, Israele ha inaugurato l'occupazione di Gerusalemme distruggendo le case davanti al Muro del Pianto: una donna non è riuscita a fuggire, ed è rimasta sepolta tra le macerie. La distruzione di case è insita al potere israeliano, ed alla cacciata dei palestinesi: è per questo che è essenziale combatterla. La sinistra israeliana riconosciuta arriva al Meretz, a Peace Now: Michel Waschawski (israeliano co-fondatore del centro di informazione alternativa AIC: http://www.alternativenews.org/; ndr) ed io non facciamo parte dell'insieme. In Israele mancano persino i termini per inquadrare e comprendere quel che scrive Avraham Burg, per il quale uno stato 'ebraico e democratico' è dinamite. Occorre far attenzione all'uso del linguaggio, delle definizioni. A Rafah, l'esercito israeliano (IDF) ha sostenuto di aver distrutto 52 case. Chris McGreal, del Guardian, ha sostenuto che erano centinaia. Il problema è come l'IDF ha fatto i conti: e case di cui erano restate le fondamenta e due pilastri non erano state definite 'distrutte'.
Si stanno distruggendo le culture palestinesi”.

[…]

leggi tutto:

http://www.rete-eco.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1886:diario-di-viaggio-in-palestina&catid=1:rete-eco&Itemid=25

http://www.unacitta.it/pagineinternazionalismo/Canarutto.html

lunedì 16 giugno 2008

1948 – 2008 Sessanta anni di distruzione della Palestina


Incontro – dibattito con:
Ismat Shakshir e Yousef Habash
Health Work Commitees (HWC ) - Palestina

Lunedì 23 giugno ore 19,30
Bottega del Mondo Ex-Aequo
Via Altabella 7/a (angolo via Fossalta) – Bologna

L’occupazione dei territori palestinesi comporta nella popolazione palestinese condizioni di vita in cui sono negati i diritti umani più elementari ed una situazione sanitaria devastata ed appannaggio dei capricci degli occupanti. L’HWC (Health Work Committees; http://www.hwc-pal.org/) è una ONG palestinese impegnata nel promuovere e potenziare l’autoderminazione del popolo palestinese mediante la difesa dei diritti, in particolare del diritto alla salute fornendo servizi sanitari e di formazione in ambito medico accessibili a tutti, soprattutto ai più poveri ed emarginati. L’HWC gestisce 14 centri sanitari in Cisgiordania, promuove e coordina programmi e progetti anche di cooperazione internazionale.

"Se sei venuto per aiutarmi stai perdendo il tuo tempo. Ma se sei venuto perché la tua liberazione è legata alla mia, allora lavoriamo insieme"
If you have come to help me, you are wasting your time. But if you have come because your liberation is bond up mine, then let us work together.

domenica 1 giugno 2008

I palestinesi insegnano ...anche strangolati dal'occupazione

Permacultura in Palestina
di Marinella Correggia
il Manifesto, 31 maggio 2008

I duemilaseicento abitanti di Marda, nella regione Salfit a nord di Gerusalemme, vivono all'ombra di Ariel, uno dei principali insediamenti di coloni nella West Bank. Il villaggio e i suoi abitanti hanno perso metà della terra nella costruzione di Ariel e continua a perderne a causa del muro. La penuria in denaro da parte della comunità locale è tale che le due scuole sono state chiuse per mesi, di recente. Sono all'ordine del giorno incursioni armate, restrizioni nei movimenti, carenze idriche mentre gli orti di Ariel sono lussureggianti. L'impressione è che il villaggio sia a poco a poco ma sistematicamente strangolato, le sue risorse annesse agli insediamenti. Insomma fare agricoltura in una zona simile è sempre più difficile. Ancora più particolare è che lì esista e lavori un centro di permacultura come la Marda Permaculture Farm, avviata da Murad Al Khuffash. La permacultura, cos'è? Una filosofia molto pratica che progetta insediamenti umani imitando il più possibile gli ecosistemi naturali. L'obiettivo è ripristinare sistemi produttivi umani e naturali equilibrati e stabili, in grado di automantenersi e rinnovarsi con bassi input di energia. Il concetto di permanenza in economia fu sviluppato dall'economista gandhiano J.C. Kumarappa. La permacultura come modello agricolo fu sviluppata alla fine degli anni 70 dall'australiano Bill Mollison. Comprende la produzione di alimenti, fibra ed energia, creando cicli naturali e favorendo le relazioni sinergiche fra gli elementi. Si applica anche alla progettazione di comunità e sistemi economici. Insomma soluzioni pratiche ai problemi con i quali ci si confronta a livello globale. Policolture, pacciamature, concimazioni verdi, la vita del suolo favorita cercando l'equilibrio per evitare infestazioni o malerbe, coltivazioni senza lavorazione della terra, tutto per la transizione verso una agricoltura veramente rigenerativa. Ciò si accompagna alla raccolta dell'acqua piovana, al riciclo dei rifiuti e dei nutrienti domestici e locali, al compostaggio anche delle deiezioni umane, alle autocostruzioni con pietra, terra, paglia, pneumatici. Comunità, auto-conoscenza con gli altri, lavoro in gruppo completano il quadro. Insomma, prendersi cura della terra, condividere le risorse, prendersi cura della gente sono considerati i principi etici di fondo. Molti ecovillaggi in giro per il mondo fondano la loro organizzazione materiale e sociale su questi principi. Il bello è che Murad li sta applicando anima e braccia nella Marda Permaculture Farm. «Ci sono diversi modi di lottare contro l'occupazione; il mio è diffondere la permacultura», dice Murad Al Khuffash. Nel contesto palestinese con meno terra e meno acqua di prima a causa degli insediamenti israeliani, la sfida è non solo resistere ma riuscire a realizzare un'agricoltura intensiva su piccole superfici. Ottimizzando le risorse e l'organizzazione del lavoro ci si può riuscire, ci sono esperienze di orti che in pochi metri quadrati nutrono un'intera famiglia. La Marda Farm con poche risorse a disposizione - alcune raccolte a livello internazionale dallo storico agroecovillaggio pacifista internazionalista The Farm, nato negli Usa negli anni 70 - sta organizzando corsi pratici per piccoli coltivatori e abitanti dei 22 villaggi dell'area Salfit. Il primo obiettivo è riconnettere le persone con la terra, la terra che rivendicano come popolo, e ridurre non solo la povertà nella regione ma anche la dipendenza da Israele. La permacultura per principio si plasma sulle situazioni locali. Nel caso specifico, i seminari riguardano il «disegno» di orti e frutteti biointensivi (l'impostazione iniziale è fondamentale), il compostaggio, la protezione ecologica delle colture, il mantenimento dei tradizionali terrazzamenti palestinesi. Ma anche la raccolta e il risparmio dell'acqua, la depurazione e riuso delle acque grigie, l'autoproduzione di energia per scopi agricoli e domestici, la conversione dei rifiuti in risorsa, la costruzione di case con materiali naturali dell'area come pietre, argilla e paglia.

PER SOSTENERE IL VILLAGGIO DI MARDA:


acquista il libro "L'occupazione - Vivere in Palestina"
reportage fotografico di M. Trotter e P. Luzzati



Condizioni disumane di vita nella striscia di Gaza



Desmond Tutu: "Ho pianto davanti a Gaza in rovina"
Intervista di Umberto De Giovannangeli a Desmond Tutu, Premio Nobel per la Pace e simbolo della lotta all’Apartheid (Unità del 30 maggio)

"…«Quello in atto da mesi e mesi a Gaza è un assedio illegale; il blocco costituisce una violazione flagrante dei diritti umani ed è contrario agli insegnamenti delle sacre scritture, cristiane ed ebraiche e della tradizione ebraica di adoperarsi per i più deboli. Faccio davvero fatica a trovare le parole adatte per descrivere ciò che abbiamo visto e inteso. Di certo, tutto ciò è inaccettabile. La cosa più inconcepibile e mai giustificabile, è quello che si sta facendo ad un popolo per garantire la propria sicurezza (di Israele). Ciò che ho visto mi ricorda molto quello che accadeva a noi neri in Sudafrica, durante l’apartheid. Non mi riferisco solo a Gaza. Ricordo ancora un mio precedente viaggio in Terra Santa. Ricordo come se fosse oggi l’umiliazione dei palestinesi ai check points e ai blocchi stradali, soffrivano come noi quando i giovani poliziotti bianchi ci impedivano di circolare»…".
http://www.forumpalestina.org/news/2008/Maggio08/31-05-08DesmondTutu.htm
Sessant’anni dopo la Nakba - L’assedio di Gaza distrugge l’ambiente
di Motasem Dalloul giornalista indipendente a Gaza
"…Punizione collettiva
Secondo Zekra Ajjour, un attivista per i diritti umani a Gaza, "Tutte queste azioni sono considerate violazioni degli accordi e delle dichiarazioni dei diritti umani”."Queste azioni violano la Quarta Convenzione di Ginevra, poiché sono considerate una punizione collettiva", ha detto. Distruggere l'ambiente di Gaza è anche una violazione della Dichiarazione di Stoccolma del 1972 che afferma "L’uomo ha il diritto fondamentale ad un ambiente di qualità che permetta una vita dignitosa e sana"Rispetto all'ambiente, la Dichiarazione dice, "Le risorse naturali della terra, incluse aria, acqua, terra, flora e fauna e specialmente esemplari rappresentativi di ecosistemi naturali devono essere salvaguardati per il beneficio delle presenti e future generazioni."Ajjour ha aggiunto che l'ONU pubblicò una Risoluzione Speciale, 52/20/1997 che dice che Israele come potenza occupante non deve privare o danneggiare le naturali risorse nei Territori occupati palestinesi e che i palestinesi hanno il diritto di chiedere risarcimenti se questo dovesse accadere…".
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