Signor Presidente dello Stato d’Israele,
Fin dall’infanzia ho vissuto nell’ambiente dei sopravvissuti ai campi della morte. Ho visto i numeri tatuati sulle braccia, ho sentito il racconto delle torture; ho conosciuto lutti indicibili e ho condiviso i loro incubi.
Mi hanno insegnato che questi crimini non devono più accadere; che mai più un uomo, per il fatto di appartenere a un’etnia o a una religione ne disprezzi un altro, faccia strame dei suoi diritti più elementari che sono una vita degna nella sicurezza, l’assenza di ostacoli e la luce, per quanto lontana, di un avvenire di serenità e prosperità.
Ora, signor presidente, io osservo che malgrado molte decine di risoluzioni approvate dalla comunità internazionale, malgrado l’evidenza lampante dell’ingiustizia fatta al popolo palestinese dal 1948, malgrado le speranze nate a Oslo e malgrado il riconoscimento del diritto degli ebrei israeliani a vivere in pace e sicurezza più volte riaffermato dall’Autorità palestinese, le uniche risposte dei governi che si sono succeduti nel suo paese sono state la violenza, il sangue versato, la segregazione, i controlli incessanti, la colonizzazione, le spogliazioni.
Lei mi dirà, signor presidente, che è legittimo, per il suo paese, difendersi contro chi lancia razzi su Israele, o contro i kamikaze che portano via con loro numerose vite israeliane innocenti. A questo io le risponderò che il mio sentimento di umanità non cambia in base alla cittadinanza delle vittime.
Viceversa, signor presidente, lei dirige i destini di un paese che pretende, non solo di rappresentare tutti gli ebrei, ma anche la memoria di coloro che furono vittime del nazismo. È questo che mi riguarda e mi è insopportabile. Conservando nel Memoriale di Yad Vashem, nel cuore dello Stato ebraico, il nome dei miei cari, il suo Stato tiene prigioniera la mia memoria familiare dietro il filo spinato del sionismo per renderlo ostaggio di una sedicente autorità morale che commette ogni giorno l’abominio che è la negazione della giustizia.
Dunque, la prego, tolga il nome di mio nonno dal santuario dedicato alle crudeltà inflitte agli ebrei affinché non giustifichi più quelle inflitte ai palestinesi. Voglia gradire, signor presidente, i sensi della mia rispettosa considerazione.
Jean-Moïse Braitberg (scrittore)
Rimuovete il nome di nostra nonna dal muro di Yad Vashem di MICHAEL NEUMANN e OSHA NEUMANN, 16 marzo 2009
Traduzione di Maurizio Bagatin
Nostra nonna fu vittima proprio di quell’ideale di superiorità etnica per la cui causa Israele ha versato tanto sangue per così lungo tempo. Io ero tra i molti ebrei che non facevano caso all’adesione a tale ideale, nonostante le sofferenze che esso ha inflitto alla nostra razza. Ci sono volute migliaia di vite palestinesi prima che mi rendessi conto di quanto folli eravamo stati.
La nostra complicità è spregevole. Non credo che il popolo ebraico, nel cui nome avete commesso così tanti crimini con un simile compiacimento oltraggioso, possa sbarazzarsi della vergogna che gettate su di noi. La propaganda nazista, nonostante tutte le sue calunnie, non ha mai disonorato né corrotto gli ebrei; voi ci siete riusciti. Non avete il coraggio di assumere la responsabilità dei vostri atti di sadismo: con un’insolenza mai vista prima, vi siete fatti portavoce di un’intera razza, come se la nostra stessa esistenza fosse un’approvazione alla vostra condotta. Avete macchiato i nostri nomi non solo con i vostri atti, ma con le menzogne, i discorsi evasivi, la compiaciuta arroganza e l’infantile moralismo con cui avete ricamato la nostra storia.
coinvolgerla da morta in questo orrore.
Sono cresciuto credendo che gli ebrei fossero un gruppo etnico con la missione storica di trascendere l’etnicità in un fronte unico contro il fascismo. Essere ebreo significava essere anti-fascista. Da tempo Israele mi ha svegliato dal mio sonno dogmatico sull’immutabile relazione tra ebrei e fascisti. È stata macchinata una fusione tra l’immagine di torture e criminali di guerra ebrei e quella di vittime emaciate dei campi di concentramento. Trovo che questa commistione sia oscena. Non voglio farne parte. Avete perso il diritto di essere i custodi della memoria di mia nonna. Non desidero che Yad Vashem sia il suo memoriale.
Osha Neumann è un avvocato difensore a Berkeley e autore di Up Against the Wall MotherF**ker: a Memoir of the 60s with Notes for Next Time
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