“Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla, che io possa fondare la mia strada pietra su pietra.
Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così che si conosca dove abbia termine il viaggio.”

Mahmud Darwish

sabato 16 aprile 2011

Chi ha ucciso Vittorio Arrigoni? E perchè? Alcuni dubbi su uno strano sequestro e un tragico assassinio

di Marco Santopadre, Radio Città Aperta

Il complottismo a tutti i costi spesso porta fuori strada nell’analisi di vicende oscure e ambigue, come è quella di Vittorio Arrigoni. Ma non può essere considerata seria e credibile l’analisi di un evento che non tenga razionalmente conto della ‘fabbrica del falso’ all’opera costantemente per renderne più difficile la lettura.

Soprattutto se ha a che fare con un teatro - quello palestinese e medio orientale più in generale - dove in azione non ci sono solo attori riconoscibili e facilmente individuabili, ma anche gruppi, sigle e attori che rendono il quadro più torbido e spesso sono l’espressione di interessi e apparati che agiscono per conto terzi. A volte senza neanche esserne al corrente...


Con il passare del tempo gli elementi di ambiguità, le domande e i sospetti su quanto avvenuto a Gaza nel giro delle ultime 24 ore si fanno sempre più pressanti e numerose. E tornano alla mente vicende altrettanto oscure e torbide, come quelle che hanno avuto come protagonisti Enzo Baldoni o Giuliana Sgrena.

Mentre migliaia di persone con le lacrime agli occhi e il cuore gonfio di dolore sono nelle strade e nelle piazze d’Italia e di Palestina per dare un ultimo, combattivo saluto a Vittorio Arrigoni, si fa strada la domanda: chi ha assassinato Vik, e perché?

Le notizie da Gaza arrivano col contagocce, e sono frammentarie. L’isolamento israeliano e internazionale al quale è sottoposto quel fazzoletto di terra nel quale sopravvivono a stento un milione e mezzo di anime assediate non permette la libera circolazione delle notizie. Anche per questo era preziosa l’opera instancabile, minuziosa e precisa di informazione su quel che accadeva a Gaza alla quale Vittorio ci aveva in questi anni abituati.

Anche grandi catene televisive o giornali nazionali erano stati in qualche modo obbligati – durante i bombardamenti israeliani al fosforo o i sanguinosi assalti alle carovane di aiuti via terra o via mare – a interpellare Vittorio per farsi raccontare eventi che nessun altro giornalista poteva – o voleva – riportare. Era pericoloso fare quello che faceva Arrigoni: si rischiava la vita sotto le bombe sganciate dai caccia israeliani sulle povere case palestinesi, oppure sotto il fuoco dei proiettili sparati dai soldati di Tel Aviv contro i contadini o i pescatori palestinesi che Vittorio e altri attivisti dell’ISM cercavano, con la propria semplice presenza fisica, di proteggere. Ma ora, scampato a tanti pericoli, Vittorio è morto per mano di quegli stessi palestinesi alla cui causa il 36enne si era votato. E’ questo, in fondo, il messaggio che gli assassini hanno voluto lanciare: i palestinesi hanno assassinato Vittorio Arrigoni, amico dei palestinesi. Ed è quello che stanno facendo notare, tronfi, i giornalacci filoisraeliani o il solito Pagliara da Gerusalemme. Ma è davvero così?

Come dicevamo, il complottismo e la dietrologia senza freni rischiano di portarci fuori strada. Però le domande che non sembrano trovare finora risposta sono molte:

- perché un gruppo palestinese, per quanto radicale, ha preso di mira un personaggio che nulla aveva a che fare né con gli occupanti israeliani né con le odiate autorità di Hamas accusate di aver incarcerato alcuni suoi leader?

- Perché il gruppo ‘salafita’ ha rapito un internazionalista ed un amico della causa palestinese, e non un dirigente di Hamas, o un funzionario dell’ONU o di qualche altra agenzia internazionale, che poteva valere ben di più come moneta di scambio?

- Nel farneticante testo che accompagna le immagini del video di youtube nel quale si dava l’ultimatum – non rispettato – e si avanzavano le richieste del gruppo dei rapitori, si accusa l’Italia di partecipare con i propri soldati all’occupazione militare di paesi islamici. Non sapeva – come tutti a Gaza sapevano – che il governo italiano mal soffriva la presenza in Palestina di un testimone scomodo come Vittorio e che nulla avrebbe fatto per trattare e per aiutarlo? Non ha caso Frattini ieri ha affidato la gestione della vicenda al consolato italiano a Gerusalemme invece che all'ambasciata italiana al Cairo, che ha molta più esperienza e conoscenze su quanto avviene all'interno e intorno a Gaza...

- Perché il gruppo, se veramente era interessato ad ottenere, attraverso il rapimento di Vittorio, la liberazione di alcuni suoi leader, non ha portato veramente avanti la trattativa, cercando di ottenere qualche risultato concreto, ed invece lo ha ucciso poche ore dopo averlo sequestrato?

Anche i dubbi sulla sigla utilizzata dai sequestratori sono molti: poco dopo il ritrovamento del cadavere di Vittorio in un appartamento di Gaza City molti dei gruppi salafiti accusati del sequestro - Jund Al Islam, Jund Ansar Allah, Jund Allah - e la stessa rete informale di gruppi vicini ad Al Qaeda, hanno in qualche modo smentito il proprio coinvolgimento nella vicenda. sui siti vicini ad Al Qaida sono anche comparsi, nelle ultime ore, dei banner nel quale l'uccisione di Vittorio Arrigoni viene definito un “atto criminale”.

Stando al video postato ieri su You Tube, il gruppo islamista radicale coinvolto sembrava essere il Tawhid Al Jihad. Il testo del video infatti chiedeva il rilascio di Abu Walid Al Madqisi, “emiro” del Tawhid Al Jihad. Ma poi la stessa al-Tawhid wal-Jihad ha risolutamente negato, tramite un comunicato, di essere responsabile dell’assassinio di Vittorio, anche se lo definisce «la conseguenza naturale della politica di Hamas contro i salafiti». Anche la sigla ‘Brigata Mohammed Bin Moslama’ è risultata sconosciuta.

Insomma autori del criminale - e stupido - gesto sarebbero dei palestinesi salafiti, ma che usano la sigla e il nome di un altro gruppo, e non una propria sigla, che colpiscono un nemico acerrimo di Israele, fonte di informazioni e denunce per centinaia di gruppi di solidarietà con la causa palestinese in tutto il mondo e neanche particolarmente collaborativo – se non in nome della realpolitik – con le odiate e rivali autorità di Hamas. Un oggettivo e innegabile regalo ad Israele, senza dubbio. Al di là dell’identità e delle reali intenzioni dei rapitori e degli assassini di Arrigoni – ancora tutte da definire - a guadagnarci dalla sua morte è solo Tel Aviv che da ora in poi non dovrà più fare i conti con uno scomodo ed autorevole testimone dei suoi crimini contro la popolazione di Gaza.

Che poi gli assassini di Vittorio siano alcuni dei suoi amati palestinesi, come vanno già dicendo alcuni dei giornalacci filoisraeliani, è tutto da dimostrare. Già in altri territori abitati dai palestinesi - i campi profughi del Libano, della Siria o della Giordania, ad esempio – abbiamo visto all’opera gruppi qaedisti o salafiti più attivi contro i propri fratelli palestinesi che contro gli israeliani o le autorità di governi ritenuti oppressivi. E spesso la regia delle provocatorie e controproducenti azioni di questi gruppi – formati da qualche palestinese ma soprattutto da miliziani provenienti da Afghanistan, Giordania, Egitto, Algeria, e addirittura da alcuni paesi occidentali – risiedeva a parecchia distanza. Laddove cioè i servizi segreti israeliani, o sauditi, o statunitensi, tentano di utilizzare le proprie pedine per dividere i palestinesi e fomentare divisioni più utili ai loro nemici che al conseguimento della loro libertà.

Che esistano gruppi fondamentalisti palestinesi interessati più al loro ruolo che alla causa del loro popolo è possibile. Che nel mondo arabo e islamico esista una rete più o meno formale di gruppi armati o terroristici legati ad Al Qaeda ed in concorrenza e competizione sia con le forze nazionaliste sia con quelle islamiche è certo e dimostrato. Non tutto ciò che si muove in questa ambigua e spesso informe galassia può essere considerato una creatura della Cia o del Mossad.

Ma la morte di Arrigoni non ci sembra il tragico epilogo di un goffo e maldestro tentativo di un gruppo islamico di farsi propaganda, ma il ricercato risultato di quella che appare ormai come una vera e propria esecuzione. L’esecuzione di un testimone dei crimini perpetrati finora dall’occupazione israeliana e, a questo punto è lecito sospettarlo, del possibile testimone di altri crimini che forse Tsahal si appresta a compiere contro i palestinesi.

Restiamo umani. O, almeno, proviamoci…

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